ROMA – Una decisione destinata a fare giurisprudenza e a segnare una svolta storica, soprattutto alla luce dei recenti e sempre più frequenti fatti di cronaca. Facciamo riferimento alla sentenza della Corte di Cassazione (Cass. pen., sez. VI, 5 ottobre 2022, n. 39320), che interviene sul grave tema delle aggressioni – in ospedali e pronto soccorso – ai danni degli operatori sanitari. Alla luce del pronunciamento degli “ermellini”, infatti qualsiasi tipo di aggressione nei confronti del personale infermieristico – non solo di carattere fisico ma anche quelle verbale – integra i reati di resistenza a pubblico ufficiale e di interruzione di publico servizio. A commentare la decisione della Suprema Corte è Antonio De Palma, presidente nazionale del sindacato infermieristico Nursing Up, che afferma: “Arriva, possiamo dire finalmente, una sentenza della Cassazione che potrebbe davvero fare giurisprudenza, come si dice in questi casi e che, riguardo alle aggressioni verbali, e non solo fisiche, che vengono perpetrate quasi ogni giorno ai danni degli infermieri nelle corsie degli ospedali. L’ingiustificata rabbia di pazienti e parenti dei pazienti potrebbe costare loro davvero caro”.
“Le violenze – prosegue – spesso poggiano su motivazioni pretestuose e non legittime, e non giustificano affatto agitazione e rabbia che sfociano spesso in offese personali che un professionista non merita di subire durante l’esercizio delle proprie funzioni, soprattutto se in quel momento il professionista è intento a prendersi cura di un malato. Naturalmente non facciamo solo riferimento ai vergognosi momenti, che ahimè si verificano ancora con troppa frequenza, in cui un infermiere rimedia pugni in pieno volto, calci e spintoni. Stiamo parlando di aggressioni fisiche ingiustificate ed esecrabili, che vanno sempre denunciate e naturalmente punite con conseguenze penali e che, lo diciamo da tempo, andrebbero arginate sul nascere con il ripristino, da Nord a Sud, di quei presidi delle forze dell’ordine che rappresentano ancora, purtroppo, una chimera. Fino a quando un operatore sanitario può tollerare anche gli attacchi verbali di un cittadino in preda alla rabbia, che magari si rifiuta di lasciare il reparto dove il professionista sta operando?”.
Episodi simili si verificano spesso durante il delicato momento della cura di un malato e ostacolano di fatto lesercizio delle sue funzioni, magari all’interno di un pronto soccorso, laddove si verificano spesso anche ma, nel caso in questione, da cui è scaturita la sentenza , dopo aver invitato una parente ad uscire dall’unità, tra un’infermiera e la donna era nata una discussione, sfociata in una reiterata aggressione verbale e poi anche in una colluttazione fisica. La professionista ha sporto denuncia e la signora violenta è stata condannata, non solo per lesioni personali, ma anche per i reati di resistenza a pubblico ufficiale e interruzione di pubblico servizio.
In questo caso la Cassazione afferma chiaramente che “nonostante l’infermiere sia ‘solo’ un incaricato di pubblico servizio e non un pubblico ufficiale, l’ostacolo frapposto all’attività da questi svolta (che non può essere sospesa o soggetta a impedimenti) integra il reato di resistenza a pubblico ufficiale, punibile con la reclusione da sei mesi a cinque anni”. A corroborare l’importanza e il valore di questa sentenza ci sono alcuni dati emblematici. Secondo quanto emerge dalla ricerca Cease-it (Violence against nurses in the work place), svolta da otto università italiane, il 32,3% degli infermieri, pari a circa 130mila professionisti, nell’ultimo anno, ha subito violenza durante i turni di lavoro. Ma ben 125mila casi sono casi sommersi. Secondo l’Inail, inoltre, la metà circa delle aggressioni al personale sanitario, è verso gli infermieri: circa 5.000 ogni anno, 13-14 al giorno.