La sanità di mezza Sicilia, la scorsa settimana, è stata scossa da un’inchiesta che ha riguardato diversi professionisti accusati di corruzione e falsità nell’ambito di presunte ingenti quantità di denaro elargite da case farmaceutiche nel corso dell’organizzazione di convegni. Prima del blitz, aveva fatto molto discutere la scelta di uno degli indagati, il prof. Corrado Tamburino, che improvvisamente aveva lasciato la cattedra di Cardiologia dell’Università di Catania e la direzione del dipartimento di Cardiologia del Policlinico universitario per andare a ricoprire un importante incarico in una clinica privata della provincia etnea. Al di là delle vere motivazioni che avevano spinto il luminare catanese a lasciare gli incarichi pubblici, quello che per molti esperti del settore è allarmante è il fatto che ormai moltissimi direttori esperienti e bravi e numerosi medici giovani di livello scelgono di andare a lavorare nel privato, lasciando il settore pubblico con vistose carenze.
Non è un mistero ormai, e se ne parla da anni, che la sanità pubblica viva una carenza quasi cronica di figure professionali, soprattutto in diversi settori specialistici, a partire dal Pronto soccorso per finire alla Cardiologia, Cardiochirurgia, Anestesia e Medicina d’urgenza. Nei centri di periferia addirittura mancano anche ortopedici e pediatri. Nonostante le grandi manovre delle singole aziende sanitarie, appare chiaro che oggi i medici italiani preferiscono una professione nel privato più remunerata e meno problematica, ma soprattutto fuggono da un settore pubblico dove spesso sono soggetti a denunce e a poche tutele.
Qualche mese fa il direttore di un pronto soccorso tra i più grandi della città catanese ha avuto un colloquio con uno dei suoi medici più promettenti. Il medico, rivolgendosi al suo responsabile, gli ha comunicato che da lì a poco tempo si sarebbe dimesso per partecipare al concorso per Medico di famiglia. Quando il responsabile, rimasto basito, gli ha solo detto…”Ma tu sei uno dei medici più promettenti. Non pensi anche alla tua professione, alla carriera e alla soddisfazione?”. Il medico ha risposto secco… ”Da tempo non sono altro che oggetto di aggressioni, di denunce. Io voglio godermi la famiglia!!!”.
Quindi si fugge dal pubblico per evitare guai, ma ancora oggi nessuna autorità ha pensato a come difendere questi medici in prima linea. Non sono previsti al momento incentivi, avanzi di carriera. Oppure un punteggio differente se si finisce negli ospedali di periferia. Qualche giorno fa al pronto soccorso dell’ospedale di Lipari, un paziente è andato in escandescenze per la attesa. Ma di turno al presidio di emergenza c’era soltanto un medico quando in organico dovrebbero essere due. Recentemente poi a un incontro degli infettivologi di tutta la Sicilia è emerso che il 70% dei pazienti che arrivano nei pronto soccorso vengono trattati con terapia antibiotica, salvo poi rendersi conto che per il 40% di questi utenti non era necessario procedere in questo senso col rischio di scatenare una resistenza antibiotica. Ci si è resi conto che, però, i medici agiscono in questo modo proprio per una sorta di medicina difensiva, per mettersi al riparo da eventuali denunce.
Un capitolo a parte si dovrebbe scrivere anche per i medici più quotati che finiscono col lavorare all’estero. Oltre le più rinomate località come gli ospedali inglesi o tedeschi, dalla Sicilia partono fior fiore di medici per andare a lavorare ed operare nei ricchissimi paesi del Golfo persico dove bastano pochi anno di professione in mezzo a moschee sfavillanti per tornare carichi di oro. La crisi è comunque causata da molteplici fattori, e tra questi oltre alla ormai acclarata disaffezione dei medici, al numero chiuso nei corsi di specializzazione universitari e anche dal fatto che nell’ultimo decennio i vari ministri che si sono succeduti al dicastero della Sanità italiana hanno fatto poco o nulla per pianificare le uscite e le entrate alla professione.
Dalla fine del Covid in poi sono andati in pensione migliaia di medici in tutta Italia, ma numeri alla mano d’un tratto ci si è accorti che quando in un anno uscivano dalla professione mille medici, le assunzioni erano di molto inferiori. Oggi abbiamo reparti dove i vuoti di organico sono vistosissimi e dove nessuno sa come e dove trovare i medici necessari. Si è quindi pensato a trovare professionisti all’estero e un anno fa il governo Schifani ha emesso un decreto per la ricerca di medici stranieri. Ma all’appello hanno risposto soltanto qualche centinaio di professionisti, provenienti soprattutto dall’America del sud, Cuba e Argentina in testa. Troppo poco per trovare gli oltre mille professionisti che mancano in tutti gli ospedali dell’isola.
Ma c’è un altro particolare del quale nessuno al momento vuole parlare. A denunciarlo sono soltanto i sindacati. Silenzio dal governo. L’autonomia differenziata appena approvata rischia di aumentare il deserto sanitario delle regioni più povere, come la Sicilia. Quando il governo avrà pianificato con i governatori di alcune regioni del nord (Zaia e Fontana in testa, che già bussano alla porta di palazzo Chigi) come procedere nel delegare ai presidenti alcune prerogative, come la sanità, non è possibile escludere che per incrementare i loro servizi questi presidenti di regioni di Veneto, Lombardia, Piemonte, Emila… facciano bandi aperti per assumere medici da ogni parte della penisola, con l’aggravante che nell’ultimo report dei 20 ospedali più quotati d’Italia, non uno è stato indicato in Siclia. Allora sì che lo smembramento dell’Italia diverrà realtà, con l’aggravante che poi le regioni del Sud vedranno sempre più cittadini che andranno a curarsi al Nord, territori nei quali già finisce una buona fetta delle risorse sanitarie statali destinate per i rimborsi.
G.B.
“Si sta a mio giudizio generando una sorta di corsa dei medici verso il privato come se il settore pubblico non dia più quella garanzia di stabilità e sicurezza che c’era una volta. Anche sul piano della retribuzione…”. Lo ha detto il segretario regionale della Uil Medici, Fortunato Parisi che punta il dito contro un clima di lassismo delle istituzioni. “C’è un fuggi fuggi dal pubblico che non ha senso”.
Ma il vostro sindacato come se lo spiega?
“Dobbiamo anche tenere contro che nel pubblico vanno rispettati tutti gli standard previsti dalla legge e il pubblico in qualche modo deve garantire queste disposizioni. Nel privato, invece, l’organizzazione è affidata ai dirigenti responsabili. Io ho sempre sostenuto che il privato, che quasi sempre è convenzionato, deve rispettare tutte le prerogative che ingessano il pubblico, perché lavora con le risorse pubbliche, ma non ha l’obbligo dell’emergenza urgenza, e inoltre si sceglie l’utenza che vuole in base ai Drg”.
Il guaio maggiore è che i medici nel pubblico continuano a mancare, soprattutto negli ospedali periferici e non in quelli delle città…
“Se vogliamo affrontare il grave problema della carenza di medici bisogna mettere in pratica quanto annunciato. Si è detto che dal terzo anno in poi i colleghi specializzandi possono andare a lavorare nelle corsie col controllo di un tutor? Bene, facciamolo. E facciamo le convenzioni con le Università che chiaramente intendono essere pagate. Quindi dobbiamo far sì che questi specializzandi lavorino già negli ospedali. Il progetto era stato presentato come una panacea alle difficoltà, ma finora, salvo alcune eccezioni, non è mai decollato in maniera concreta”.
E poi c’è l’autonomia differenziata…
“Non mi lasci dire… Quello che accadrà è evidente a tutti…”.
G.B.
“È massimo l’impegno profuso dalla Direzione generale dell’Azienda sanitaria provinciale di Agrigento per ripristinare nel più breve tempo possibile la funzionalità del reparto di ortopedia del presidio ospedaliero ‘Giovanni Paolo II’ di Sciacca, messa a dura prova dalla oramai cronica carenza di personale medico che penalizza l’intera rete ospedaliera regionale. Ai provvedimenti già avviati per sopperire alle criticità, stiamo aggiungendo ulteriori soluzioni per bruciare i tempi e restituire al comprensorio saccense la completa gamma di prestazioni offerte dal reparto”. Così il direttore generale Asp di Agrigento Giuseppe Capodieci annuncia martedì 9 luglio la temporanea chiusura dell’ortopedia di Sciacca.
“Stiamo cercando di risolvere la situazione ma abbiamo un doppio problema – ha precisato Adriano Cracò, direttore UOC Controllo di gestione e Sistemi informativi statistici aziendali dell’Asp di Agrigento- Infatti abbiamo la possibilità di continuare ad operare grazie ad una convenzione stipulata con delle equipe esterne che vengono dal ‘Buccheri La Ferla’ di Palermo, ma poi abbiamo problemi nella gestione del post operatorio per cui stiamo intervenendo sulla possibilità di mandare a tal fine dei medici da Agrigento a Sciacca, stiamo firmando contratti con agenzie interinali per portare medici in pensione all’interno dell’ortopedia di Sciacca, stiamo gestendo i concorsi per l’assunzione di medici e specializzandi e in più vorremmo fare arrivare 2 o 3 medici argentini”.
La sofferenza delle strutture ospedaliere nella provincia girgentina è chiaramente visibile dai numeri, infatti, ci sono grosse carenza d’organico sia di medici sia di infermieri. Al San Giovanni Di Dio di Agrigento sono vacanti il 39% dei posti per dirigenti medici e l’8% di quelli spettanti agli infermieri. A Licata la percentuale dei posti vacanti in organico per dirigenti medici è del 69% e del 19% di infermieri. Come nel resto della Sicilia i reparti maggiormente in affanno sono l’ortopedia, il pronto soccorso, psichiatria, rianimazione e pediatria. Possiamo, quindi, dedurre che tutti i professionisti che si licenziano dal settore pubblico si riversino in quello privato? Spesso sì, ma ci sono anche altre motivazioni come ha riferito ancora il dottore Cracò: “Molti medici ospedalieri che hanno titolo, si dimettono dall’attività ospedaliera per accedere al contratto di medici specialisti interni, con contratto diverso vanno quindi a lavorare per i distretti sanitari di base, in cui sono più riparati e tranquilli, ma questo è un fenomeno che impoverisce i ranghi ospedalieri su cui si dovrebbe intervenire”.
Il territorio siciliano è molto vario, per cui se i dati di Agrigento ci forniscono il polso della situazione, ci sono anche realtà diverse con altri tipi di problematiche: “Trapani ha pochissime strutture private, quindi più che di fuga verso il privato io parlerei di ricerca da parte dei giovani di dimensioni più stimolanti, che consentano loro di accrescere la propria qualificazione professionale – ha dichiarato Ferdinando Croce, nel direttore generale dell’Asp di Trapani –. Quindi è proprio questo lo sforzo che devono fare le aziende pubbliche, cioè quello di rendere attrattivo il contesto lavorativo tramite una serie di investimenti, infatti a Trapani sto avviando l’ammodernamento di tutta la dotazione infrastrutturale tecnologica che metterà i professionisti nelle condizioni di essere invogliati ad effettuare interventi più importanti, difficili e complessi, ma tutto ciò si deve affiancare ad iniziative relative al reclutamento dando, dove è possibile, degli incentivi o indennità di disagio”.
“Pantelleria è sede di ospedale e comunque tutte le Egadi hanno le guardie mediche e poliambulatori, quindi è importante preventivare degli incentivi per i medici che sono disponibili a restare sulle isole – conclude Croce -, spero che la Regione a breve possa dare questo tipo di disponibilità”.
S.S.
“Se nel pubblico non si prevede una promozione e una incentivazione adeguata dei medici, la situazione tenderà sempre a peggiorare”. Lo dice il direttore sanitario dell’Asp Catania, Antonino Rapisarda, riferendosi alla carenza di medici nell’ambito pubblico. Rapisarda al momento ricopre anche l’incarico a tempo di direttore generale dell’azienda dopo la sospensione del commissario La Ganga per le note vicende giudiziarie che lo vedono indagato a Messina. “Purtroppo – continua il responsabile facente funzione oggi registriamo sempre una migrazione di medici dal settore pubblico e dalla nostra azienda e le nuove assunzioni sono in numero minore rispetto a coloro che lasciano per andare in pensione”.
La situazione nella sua azienda è migliorata o peggiorata negli ultimi tempi?
“Abbiamo in parte risolto la carenza stipulando delle convenzioni con le aziende ospedaliere e anche contrattualizzando diversi medici pensionati. In questo modo stiamo tenendo, ma la situazione resta seria”.
I nuovi contratti ai pensionati sono una apertura della legge Madia?
“Sì. Il governo ha dato una deroga all’utilizzo dei medici pensionati che vengono contrattualizzati come liberi professionisti, visto che recentemente il governo con un decreto ha cessato il rapporto con le cooperative che gestivano i medici gettonisti che, va detto però, per noi erano una manna perché coprivano tante aree sguarnite. Comunque alcuni di loro li abbiamo contrattualizzati con accordi a tempo”.
Quali sono le aree mediche in cui avete maggiori emergenze?
“Principalmente abbiamo carenze nei reparti di emergenza. Nei pronto soccorso per intenderci. Ma cominciano a mancare anche medici ginecologi, ortopedici…”.
Per superare il nodo del numero chiuso nelle Università si è fatto qualcosa?
“Finora molto poco. Poi c’è anche il problema dei colleghi che vanno a lavorare all’estero, soprattutto in questo momento nei paesi arabi dove i contratti sono faraonici. Quindi camminiamo sempre su un sottile filo…”.
Quali sono le aree della provincia dove riscontrate maggiore emergenza di medici?
“L’area del Calatino, con Caltagirone e Militello è quella che soffre di più”.
G.B.