PALERMO – L’albo dei formatori della formazione professionale continua a veder aumentare i suoi numeri. Gli aggiornamenti dell’elenco si susseguono, ed ogni volta l’elenco si allunga. E se ancora c’è confusione su quello che sarà il futuro degli oltre 8 mila iscritti “storici”, che fanno risalire la propria data di assunzione a prima del 31 dicembre 2008 e per i quali si continua a parlare di albo ad esaurimento (che dovrebbero essere rientrati in servizio almeno in parte con l’avviso 2, avviato alla fine del 2018 ed ancora in corso con alterne fortune), accanto si sta formando un silenzioso esercito di nuovi iscritti.
L’ultimo elenco pubblicato pochi giorni fa annovera oltre 4 mila aspiranti lavoratori, che possiedono i requisiti per poter accedere al settore. Numeri altissimi, oltre 12 mila persone che vorrebbero lavorare nel settore, da veterani o da neofiti, che stridono con ciò che è la realtà dei fatti. Il comparto infatti, vive una condizione di totale “precariato”: fermo per oltre tre anni, ha ripreso con finanziamenti che rimangono ben lontani, in termini di cifre, da quelli che potrebbero permettere a tutti i lavoratori di lunga data di rientrare in servizio.
Sarebbero necessari oltre 300 milioni di euro all’anno, mentre con l’avviso 2 ne sono stati messi a disposizione meno della metà, e ancora oggi, a distanza di oltre un anno dal fatidico click day, l’11 giugno 2018, quando gli enti hanno dovuto correre contro il tempo per inserire corsisti e battere sul filo dei secondi i propri avversari, nulla si sa su quello che sarà il futuro della formazione professionale siciliana. E già con l’Avviso 2 diverse sono state le contrarietà.
Da una parte, si è continuato ad insistere sull’Albo dei formatori e sul fatto che gli enti per realizzare i corsi debbano anzitutto fare riferimento a questo elenco di circa 8 mila persone che sono poi i dipendenti storici.
In tal modo l’ente di formazione resta ostaggio del suo stesso personale che deve continuare a mantenere, come tra l’altro impone il governo regionale nel subordinare il suo finanziamento, e di conseguenza può creare solo corsi che siano coerenti con il corpo docente che ha già, senza potersi aprire a nuove attività più consone alle richieste del mercato.
Tante le proposte fatte nel corso del tempo, ma nessuna è stata effettivamente applicata: i prepensionamenti, l’offerta di incentivi per la fuoriuscita dal comparto, la riqualificazione del personale per essere inserito in altre realtà regionali, una riforma regionale unitaria che permetterebbe di utilizzare le risorse umane in maniera più uniforme ed efficace, spostandolo ove ce ne fosse necessità, in base alle esigenze del territorio e del tessuto economico preminente. Perché, come già ampiamente dimostrato con i numeri, la formazione così come impostata nei decenni scorsi non ha fatto altro che produrre il nulla più assoluto nell’Isola sfornando sempre gli stessi corsi: dal 2004 al 2015 sono stati spesi 2,6 miliardi di euro per circa 18 mila ore finanziate di corsi di formazione, sulla base del “rendiconto” fatto dal dipartimento regionale della Formazione. Ed è sui risultati prodotti, che chiaramente si ripercuotono nella realtà di oggi, che si realizza davvero il danno.
La scadente qualità dei corsi, ed il mancato controllo della Regione, hanno portato ad effetti disastrosi: nell’ultima annata di corsi (2015) non si è formato un solo operatore dell’abbigliamento o dell’edilizia, così come nessun tecnico termoidraulico.