Cultura e civiltà ebraica

Alla ricerca delle radici

L’adolescenza è quella fase della vita in cui si abbandona il tepore della fanciullezza per una meta ignota, che si desidera ruvida e graffiante, in modo che i segni che ci lascerà possano adornarci come tatuaggi tribali. Il giovane Scibilia non si fermava a specchiarsi nelle vetrine per vedere se quel giorno le sue sembianze avessero qualcosa in comune con i protagonisti dei film polizieschi, in quel periodo più in voga. A lui frullavano in mente pensieri diversi, puzzle fatti di parole e di mezzi discorsi sentiti in famiglia e soprattutto dal nonno Giuseppe, su certe strane abitudini di casa che i suoi coetanei nemmeno conoscevano. Il nonno era una fonte inesauribile di racconti, pronto sempre a rispondere ai suoi interrogativi, ma sempre sottacente sulle origini della famiglia.

Da ragazzo di città abituato a comportamenti sempre omologati, era rimasto particolarmente impressionato quando a seguito di una visita a causa di lutto, per porgere le condoglianze a parenti che vivevano in un lontano paesino, aveva insolitamente trovato la casa dei familiari del defunto con gli specchi coperti da drappi neri. Oppure aveva scoperto che altri suoi parenti le uova anziché bollirle le cucinavano in forno, oppure delle candele accese dalla vecchia zia di papà, che il sabato dopo essersi rassettata le poneva con cura in bella vista. Il nonno era una fonte inesauribile di risposte, tutte che facevano riferimenti a tempi lontani e mai troppo complete e troppo precise, che facevano sempre riferimento alle origini della famiglia. E come se l’augusto signore volesse giocare alla caccia al tesoro con il nipote.

Nel gioco la verità era il tesoro da scoprire. Con il passare degli anni il giovane Scibilia era sempre più di frequente solito fermarsi a ragionare sul nome di famiglia. Era stato proprio nonno Giuseppe, la fonte di questa sua irrequietezza quando, quasi ad avvertirlo, gli aveva detto con tanta naturalezza che i cognomi, che sono pure nomi di città appartengono in prevalenza agli ebrei.

Un vero sasso lanciato nello stagno vista la innegabile circostanza che nel parentato non mancavano i Tropea e i Cordova. Il giovanotto seguendo i pensieri in cui aveva incanalato la sua fantasiosa e ben sveglia mente, arrivò alla considerazione che se nel suo cognome Scibilia, si fosse sostituita la b, con la v, avrebbe avuto un suono assai simile a Siviglia, bella città dell’Andalusia, che in spagnolo si pronuncia Sevilya. Approfondendo scoprì che in ebraico le lettera b e v, bet e vet, hanno molte cose in comune tra loro, compresa la grafia, in quanto sono entrambe una sorta di c ruotata, e vet si distingue da bet per la presenza di un puntino al suo interno. Ed ancora trovò in seguito un antico manuale per i mercanti veneziani, dove riferendosi alla città Siviglia, veniva chiamata Scibilia (antico nome in italiano volgare del 1500 dc). Un’altra tessera venne aggiunta dall’aver appreso chiaramente, ora dai libri e non dalle volute reticenze del nonno, che l’Inquisizione spagnola, nel XV secolo, oltreché in Spagna anche nell’Italia meridionale aveva realizzato una spietata operazione di pulizia etnica contro gli ebrei, costringendoli a scappare o convertirsi, dileguandosi tra i cristiani. A quel punto aveva lanciato una testa di ponte verso un passato ormai lontano, ma certamente non smarrito e presente nel suo sentire; ponte che studiando con passione, man mano andava costruendo in direzione di origini ebraiche della propria famiglia.

Il giovane Scibilia, a questo punto aveva necessità di una verifica pratica, direi sul campo, cosicché patteggiò con il padre, a fronte di un profitto scolastico di tutto rispetto, una vacanza a Tel Aviv, la Manhattan Middle East, come aveva sentito appellarla. Venne finalmente il momento del sospirato viaggio. Arrivato in quella terra, la cosa più di ogni altra che ebbe a meravigliarlo erano i tratti somatici di gran parte delle persone che incontrava in Israele, erano assolutamente simili a quelli degli abitanti della sua Sicilia. Si chiedeva che fine avessero fatto i lineamenti etnici distintivi, che erano così marcatamente diversi in altre parti del mondo dove in precedenza era stato. Poi le ragazze, che incontrava per strada, tantissime bassine, ma tanto carine veri e propri grappoli di vitalità, come le siciliane e le calabresi di quegli anni, bellezze che certamente non annoveravano tra le proprie caratteristiche l’altezza particolarmente slanciata. A quel punto il ponte nato dalle sue fantasticherie di ragazzo era già realizzato e transitabile. Poi fu una vera pioggia di conferme grazie alle nuove conoscenze ed alle amicizie che nell’area ebraica, nella quale era tanto faticosamente approdato, fiorivano con estrema facilità. Cose, sino a quel momento ritenute sicilianissime come ad esempio il marranzano, scoprì che altrove era conosciuto col nome di arpa ebraica.

Melanzane e fichi d’India erano giunti in Sicilia già tre secoli prima dell’era volgare dalla terra d’Israele. E che stupore, scoprire che le palermitanissime panelle, gustose frittelle di farina di ceci, avevano origini mediorientali dove si chiamano falafel. Ed ancora le catanesi graffe in tutte le forme, con crema o senza ma sempre zuccheratissime in Israele erano presenti da sempre con il nome di sufganiot, i dolci tipici della festa di Channukah. Ancor oggi che gli anni sono trascorsi e il nostro amico è divenuto un uomo, a sua volta padre, e del tutto integrato nell’ebraismo ortodosso di rito sefardita, si duole che dalla scuola, dalla cultura ufficiale gli sia stata negata la verità delle sue origini e che gli sia stato presentato l’ebraismo come un fatto etnico ormai superato dalla storia, che sia stata sottaciuta la grande importanza culturale ed economica degli ebrei in Sicilia, sino al 1493, anno in cui erano stati scacciati dai sovrani di Spagna o dopo quella data mandati al rogo dall’inquisizione. Ed infine avevano ricevuto un colpo di grazia dalle leggi razziali del 1938.

Divenuto padre ha raccontato a sua figlia quando ancora la teneva sulle ginocchia che lui era stato bravo, come tutti i protagonisti delle belle fiabe, perché come Pollicino aveva seguito le briciole di verità che il nonno Giuseppe, e poi il padre Giosuè, avevano sparso per terra, per segnargli il cammino verso la luminosa meta Fede degli antichi Padri.