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Allarme Simit,“18 mila casi di Hiv non diagnosticati”

Circa 120mila persone in Italia sono sieropositive ma ben 18mila, soprattutto tra i giovani, non sanno di aver contratto l’Hiv. “Numeri che rischiano di aumentare nel momento in cui l’attenzione è tutta concentrata sul Covid-19, rendendo difficile l’offerta del test per la diagnosi di sieropositività e l’assistenza sanitaria delle persone sieropositive”. A spiegarlo è Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società Italiana di Malattie Infettive (Simit), intervenuto alla premiazione online di ‘Devs for Health’, il primo Hackaton sull’Hiv promosso da Gilead.

Spesso l’infezione da Hiv, inizialmente silente, viene diagnosticata anche a distanza di tempo, in media con un ritardo di 4 o 5 anni. “Farmaci eccezionali per l’Hiv – prosegue l’infettivologo – ci permettono ormai di controllare la malattia e di dare a questi pazienti una vita normale. In particolare, la qualità di vita è migliorata in modo notevolissimo, grazie al fatto che chi è curato con gli antiretrovirali, non trasmette la malattia. Abbiamo però tante sfide da vincere”.

Secondo gli obiettivi dell’Organizzazione mondiale della sanità, entro il 2030, il 90% delle persone con Hiv dovranno essere diagnosticate, il 90% di quelle diagnosticate dovranno esser trattate e il 90% di chi è in cura dovrà avere benefici terapeutici.

“Abbiamo raggiunto – prosegue Andreoni – il secondo e terzo obiettivo ma sul primo dobbiamo migliorare: abbiamo tante persone che non sanno di essere infette e questi casi casi sommersi rappresentano un problema per la salute di queste persone e anche un problema di sanità pubblica. Inoltre, questo può condizionare in negativo il decorso dell’infezione e l’efficacia delle terapie, nonché aumentare le possibilità di trasmettere il virus ad altri, con ricadute sulla sanità pubblica”.