PALERMO – La scuola resta al centro del dibattito politico e non solo per le polemiche che hanno visto coinvolto il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, dopo l’aggressione al liceo di Firenze.
Il mondo della scuola discute in questi giorni anche dei rischi legati all’autonomia differenziata.
Ne abbiamo parlato con Caterina Altamore, docente e Responsabile Scuola del Pd Sicilia che si è schierata apertamente contro la riforma proposta dal ministro Calderoli e condannando la scelta del Presidente della Regione, Renato Schifani, di appoggiarla.
Partiamo dai fatti di Firenze. La politica non deve entrare nelle scuole: cosa ne pensa?
“La politica entra nelle scuole per Costituzione. Parlare di Costituzione, diritti, doveri, accoglienza e democrazia, è politica o educazione? La scuola non lavora solo per le competenze, l’obiettivo è quello di formare cittadini. Ai miei alunni dico sempre di avere curiosità, di conoscere. Poi, sono liberi di scegliere. Abbiamo subito dato la nostra solidarietà alla dirigente e condannato le parole del ministro”.
Uno dei temi caldi di questo momento, è quello dell’autonomia differenziata. In cosa verrebbe danneggiata la scuola siciliana? E come mai Schifani ha votato a favore?
“Gravissimo svendere così la nostra terra. Ogni giorno, leggiamo della Sicilia ai primi posti per dispersione e abbandono scolastico. A Sud la scuola viaggia più lentamente perché non ha risorse e strutture. Noi continueremo a difendere una scuola che sia unica e statale. Come Responsabile Scuola ho riunito il dipartimento e ho incontrato i Deputati del Pd all’Ars e il sindacato. Stiamo realizzando una raccolta firme contro questo un colpo mortale per la scuola pubblica italiana. Speravamo che la Regione difendesse la scuola. Non è una questione schieramento. Ci aspettavamo un no unanime all’autonomia differenziata e vorremmo capire il perché di questa scelta”.
Altro tema è quello della proposta di differenziazione retributiva per gli insegnanti. Lei è d’accordo?
“Fermiamo questa tendenza a togliere sempre, fermiamo queste spinte verso la divisione. Facciamo lo stesso lavoro di educatrici e educatori che, come tale, va valorizzato a prescindere dal territorio dove si insegna. La scuola è presidio dello Stato. È istituzione. Abbandonare i territori significa mostrare che lo Stato se ne va, soprattutto in territori dove servirebbe di più. Situazioni di disagio e povertà si affrontano dando maggiori mezzi, maggiori risorse e portando la scuola e le istituzioni nei luoghi dimenticati delle nostre città. Serve il tempo pieno e progetti che vadano oltre l’orario scolastico, che rendano le scuole un luogo di comunità, non ulteriori differenze”.
Perché tutte le volte che si parla di introdurre meccanismi di premialità per i professori più bravi, il dibattito finisce sempre nel nulla? Il sistema istruzione ha forse paura di scoprire quanti sono gli insegnanti davvero meritevoli?
“Un metodo per valutare gli insegnati c’è, all’inizio della carriera. Un insegnante ha vinto un concorso e per questo è già meritevole. Hanno lauree, master, anni di precariato. Non esiste la paura di essere valutati. Tempo fa si pensò di dare ai dirigenti la possibilità di valutare. È una scelta pericolosa che limita la libertà di insegnamento e l’attività sindacale. Chi è l’insegnante meritevole? Chi dedica la vita alla didattica? Chi ha incarichi? Chi ha gli alunni coi voti migliori? Servono retribuzioni più alte e formazione. Pensiamo anche a un anno sabatico periodico in cui gli insegnanti possano continuare a formarsi durante la propria carriera. Al ministro consiglio di prendersi cura degli insegnanti perché hanno in mano il futuro dei nostri figli e del Paese”.