Un’Isola di munnizza: da Catania a Palermo cumuli di rifiuti ciclicamente si ammassano sulle strade causando delle vere e proprie emergenze sanitarie. Questi disagi sono causati, oltre che dall’inciviltà di alcuni e da una differenziata che ancora non decolla, anche dall’implosione dell’attuale sistema di smaltimento dei rifiuti che si poggia in larga parte sull’utilizzo di discariche private che adesso sono al collasso e non sanno più dove abbancare rifiuti.
Il primo sito ad aver fatto i conti con la saturazione è quello che serve circa 200 comuni della Sicilia orientale: quello posizionato tra Lentini e Catania e gestito dalla Sicula Trasporti Spa. Ma anche le altre discariche siciliane stanno per esaurire gli spazi per abbancare rifiuti. Come quella pubblica di Bellolampo, nel palermitano, dove (nonostante precedano spediti i lavori per un ulteriore ampliamento) è in corso l’iter per autorizzare l’utilizzo della terza vasca bis: in assenza di questa autorizzazione il Comune di Palermo non saprebbe più dove conferire.
Con la maggior parte delle discariche al limite della saturazione (le stime parlano di due anni di tempo prima della saturazione totale), il dipartimento Acqua e rifiuti della Regione da oltre sei mesi ha cominciato il risiko dei conferimenti: i rifiuti prodotti in Sicilia orientale vengono smaltiti in Sicilia occidentale e viceversa.
Una “soluzione” dannosa dal punto di vista ambientale e che non fa altro che accelerare la saturazione delle poche discariche in cui è rimasto spazio. Il risultato è un sempre più probabile invio dei rifiuti fuori dalla regione a costi triplicati e una Tari alle stelle per i cittadini che già pagano la tassa dei rifiuti più cara d’Italia.
Un passo in avanti, anche se estremamente timido, per la risoluzione dell’eterna emergenza rifiuti della Sicilia è sicuramente rappresentato dall’avviso esplorativo della Regione per la raccolta di manifestazioni di interesse per la progettazione, costruzione e futura gestione di due termoutilizzatori. Due impianti che, se vedranno la luce, dovrebbero essere in grado di smaltire da 700 a 900 mila tonnellate di indifferenziato ogni anno. Insomma, sarebbero in grado di mettere fine al contorto sistema di smaltimento dei rifiuti che da anni va avanti in Sicilia.
Il 31 dicembre dovrebbe finalmente chiudersi, dopo ben due proroghe, la finestra temporale per la presentazione delle manifestazioni di interesse da parte delle aziende del settore. Secondo quanto si apprende dall’assessorato regionale dei Rifiuti non dovrebbe esserci un ennesimo slittamento dei termini: sono ben sedici le aziende che hanno presentato le loro proposte. Proposte sulle quali, sempre da parte dell’assessorato guidato da Daniela Baglieri, al momento c’è il riserbo assoluto. Dopo il 31 dicembre, dunque, l’assessorato avrà gli strumenti per redigere un vero e proprio bando che renderà concreta l’apertura ai termovalorizzatori.
Altra nota positiva sul fronte dei rifiuti è senz’altro l’aumento della raccolta differenziata che si sta registrando in molti comuni. Secondo il rapporto Comuni ricicloni di Legambiente, infatti, sono 170 i Comuni che nel 2020 hanno superato il 65% di raccolta differenziata e 33 quelli con una produzione di indifferenziata minore di 75 chili ad abitante.
Secondo l’ultimo rapporto Cittàclima di Legambiente la Sicilia orientale è una delle 14 aree d’Italia più colpite dagli eventi estremi causati dal cambiamento climatico. Una correlazione evidente dato che dal 1960 al 2020 le temperature medie annue solamente a Catania e Palermo sono aumentate di 2,52°. Una situazione che rende sempre più frequenti gli eventi estremi: nell’ultimo anno in Sicilia ce ne sono stati ben 90. Eventi che le città, per come sono costruite, non riescono a reggere. Complice anche il fatto che non sono progettate per essere resilienti al cambiamento climatico: non esistono i cosiddetti piani di adattamento.
Tra i fattori che rendono le città siciliane estremamente vulnerabili al cambiamento climatico ci sono sicuramente tutti quei mali ambientali che il Quotidiano di Sicilia denuncia ormai da anni: la mancanza di verde urbano, la scarsa sostenibilità della mobilità, la cementificazione selvaggia e in molti casi abusiva, il consumo di suolo (nel 2020 sono stati cementificati 400 nuovi ettari) e di contro il non riutilizzo dei tanti palazzi abbandonati che invece rimangono tali.
Su tutti questi fronti, la maggior parte dei comuni è altamente impreparata e lontana dall’approvazione dell’unico strumento utile al cambiamento di rotta: il Paesc (Piano d’azione per l’energia sostenibile e il clima). Un documento che la quasi totalità dei comuni isolani si è impegnata a sottoscrivere aderendo al Patto dei sindaci (un’iniziativa europea) nel 2008.
L’impegno sarebbe quello di ridurre le emissioni climalteranti del 40% entro il 2030, ma ad oggi solo 25 piccole amministrazioni hanno presentato il Paesc all’Ue. Un risultato scadente nonostante i finanziamenti che la Regione Sicilia ha stanziato per spingere i comuni ad approvare il documento: ben 6.584.225 euro.
Il cambiamento climatico sta causando eventi estremi sempre più frequenti e più intensi. In estate la Sicilia è messa in ginocchio dalla mancanza di precipitazioni e dal caldo estremo. In inverno l’Isola diventa teatro di alluvioni, uragani e bombe d’acqua. Una situazione climatica che rende fragile l’intero territorio regionale a causa del dissesto idrogeologico. Fenomeno per cui esiste una struttura apposita guidata da un commissario straordinario: il presidente della Regione Nello Musumeci. Una struttura che funziona e che ha avviato numerosi lavori di messa in sicurezza negli ultimi anni. Lavori che cercano di risolvere un problema ambientale che mette a rischio numerosi cittadini dell’Isola.
Dal 2018 ad oggi, secondo la struttura commissariale contro il dissesto idrogeologico, sono stati programmati ben 420 interventi. Di questi, 120 sarebbero quelli conclusi e 300 sarebbero quelli ancora in corso. Un impegno di risorse umane ed economiche non da poco. Sempre secondo la struttura, infatti, negli ultimi quattro anni sono stati finanziati lavori per 475 milioni di euro. Circa il 70% del budget a disposizione di Musumeci: 795 sono i milioni impegnati per la lotta al dissesto idrogeologico.
Finiscono i lockdown e ritorna lo smog in città. I dati dell’Arpa Sicilia parlano chiaro. “Il periodo tra marzo e maggio 2021 – ha spiegato la responsabile della Uoc Qualità dell’aria dell’Arpa Sicilia Anna Abita in un’intervista pubblicato il 31 agosto scorso – ha registrato dei picchi di concentrazione di particolato Pm10 oltre il valore limite giornaliero (50µg/m3) determinati in parte dall’incursione di polveri sahariane nei primi giorni di maggio e in parte anche dall’eruzione dell’Etna agli inizi di marzo.
Inoltre, si sono rilevati alcuni superamenti dell’obiettivo a lungo termine (120µg/m3) per l’ozono nel mese di maggio e il benzene nelle zone industriali, soprattutto nell’area di Siracusa, dove ha raggiunto elevate concentrazioni orarie. Per il biossido di azoto si valuterà nei primi giorni del 2022 se negli agglomerati urbani sarà superata la concentrazione limite media annua”.
Intanto sulle polveri sottili alcune indicazioni più precise per l’anno in corso arrivano dalle centraline installate nei centri urbani delle grandi città. A Catania, da inizio anno, la nuova strumentazione di viale Vittorio Veneto (una zona ad alto traffico) ha registrato circa 50 sforamenti rispetto ai 35 consentiti per legge. Un dato che, tiene a chiarire il direttore generale dell’Arpa, Vincenzo Infantino, non è dovuto esclusivamente all’attività antropica ma soprattutto a fenomeni naturali.
C’entra certamente la cenere vulcanica o le correnti sahariane, ma non solo: la centralina del Parco Gioeni così come quella di Misterbianco, installate in zone con minor pressione veicolare, non hanno segnato valori preoccupanti. E questo la dice lunga su una delle principali cause dell’inquinamento isolano: il parco auto vecchio e ad alto impatto ambientale.
Uno dei passi in avanti più importanti per contrastare l’inquinamento dell’aria nel 2021 è stato senz’altro il completamento della rete regionale di monitoraggio della qualità dell’aria e il relativo programma di valutazione che, attraverso 53 stazioni di rilevamento su tutto il territorio regionale, è in grado di fornire un’informazione completa sui livelli di inquinamento. Un intervento voluto dal governo Musumeci e realizzato attraverso Arpa Sicilia, che consente di superare definitivamente la procedura di infrazione europea e porre fine alla gestione frammentata delle stazioni esistenti.
A gestire l’intera rete è proprio l’Arpa, secondo le procedure operative di assicurazione e controllo qualità previste dalla normativa nazionale. Delle 53 centraline installate sette si trovano nell’agglomerato di Palermo, cinque a Catania, due a Messina, 30 nelle zone industriali e le altre nove tra Agrigento, Caltanissetta, Enna e Trapani. Insomma, finalmente la Sicilia è in grado di monitorare giornalmente i livelli di inquinamento dell’aria, ottenendo dati fondamentali per capire le fonti di emissione di gas climalteranti e di conseguenza intervenire sulle attività più inquinanti dell’Isola.
La mancata depurazione delle acque è una delle piaghe più dannose per l’ambiente e anche per l’economia. Ancora tanti sono i depuratori vetusti che al posto di svolgere il loro compito non fanno altro che inquinare le coste, i fiumi e i mari.
Un problema che quest’estate ha causato il divieto di balneazione in circa 50 chilometri di costa siciliana, dove sono stati rilevati livelli di batteri fecali superiori ai limiti di legge. Insomma, oltre che all’inquinamento, quando si parla di mancata depurazione si deve considerare anche il problema igienico sanitario.
Ma non solo, perché l’Italia risulta assoggettata a quattro procedimenti di infrazione per il mancato o non adeguato rispetto della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane. E per la procedura 2004/2034 (causa C-251) la Corte di giustizia dell’Ue ha già comminato una sanzione di circa 60 milioni di euro l’anno, ovvero 165.000 euro al giorno, che distribuita per gli “abitanti equivalenti” coinvolti ha un valore di circa dieci euro all’anno per abitante equivalente. Oltre il danno la beffa, in quanto gli agglomerati di questa procedura si trovano per larga prevalenza in Sicilia.
Procedono a buon ritmo i lavori di adeguamento e potenziamento degli impianti di depurazione e quelli per il completamento delle reti di drenaggio urbano. Lavori che sono in capo alla struttura del commissario unico per la depurazione dal maggio del 2020. Attualmente in Sicilia sono in corso di diretta attuazione 66 interventi su 43 agglomerati per un carico generato di circa 3,4 milioni di abitanti equivalenti, il cui costo complessivo è stimato in circa 1,9 miliardi di euro distribuiti in tutte le provincie siciliane, tranne Enna.
Gli investimenti maggiori sono previsti in provincia di Catania con la realizzazione delle reti di drenaggio urbano e dei depuratori consortili di Misterbianco, Acireale, Mascali e Catania per un valore complessivo di circa un miliardo di euro. Sono previsti anche importanti interventi sugli schemi fognari e depurativi della città di Palermo, Messina, Agrigento che garantiranno il drenaggio dei reflui e l’idoneo trattamento depurativo. L’intervento previsto per la città di Catania da 450 milioni di euro è il più rilevante e prevede il completamento della rete di drenaggio urbano della città e l’adeguamento e potenziamento dell’esistente impianto di depurazione di Pantano d’Arci.
A Palermo sono previsti 13 interventi: in primis c’è l’adeguamento e potenziamento dell’impianto di depurazione di Acqua dei Corsari, il completamento del collettore sud-orientale e altri interventi che prevedono il completamento di reti fognarie di zone periferiche della città e altri che mirano ad intercettare ed eliminare attuali situazioni di sversamento di acque nere nel sistema di canali di acque bianche Passo di Rigano e Mortillaro o nel fiume Oreto. Un massiccio lavoro per cercare di portare l’Italia fuori dalla procedura d’infrazione Ue e per garantire una corretta depurazione dei reflui urbani. Lavoro che paga in quanto sei interventi sono già stati ultimati e altri dodici sono stati avviati (di cui sei già in fase di completamento).