Inchiesta

Anche il Mediterraneo è a rischio “desertificazione”. Dall’inquinamento alla pesca illegale, in Sicilia mare sotto attacco

Un ambiente che interessa a milioni di persone, ma che poi, al momento di prendersene cura, sembra interessare a pochi. Sono i mari italiani e tra questi, chiaramente, quelli che circondano la Sicilia non fanno eccezione. La fotografia, impietosa, è arrivata nel giro di pochi mesi dai numerosi rapporti che associazioni ambientaliste e autorità annualmente elaborano per descrivere lo stato di salute delle acque costiere e non. Il tema è uno di quelli centrale nell’epoca contemporanea perché attraversa il principale problema che l’uomo è chiamato a fronteggiare: garantirsi un futuro sul pianeta. Per quanto, però, la sensibilità sui temi ambientali sia senz’altro aumentata negli ultimi anni, lo scarto con quanto non è stato fatto nei decenni passati – a cui va aggiunta la tenacia di chi contrappone una filosofia negazionista tanto verso i cambiamenti climatici quanto la necessità di alzare il piede dall’acceleratore della crescita senza freni – è ancora ampio.

Le impronte lasciate dall’attività umana sull’ambiente

In questi casi, l’approccio migliore da utilizzare è quello di rifarsi ai numeri ufficiali. Ai dati che periodicamente descrivono le diverse impronte lasciate dall’attività umana sull’ambiente. Parlando di mari, il pensiero di tutti, complice anche l’estate e il desiderio diffuso di vacanze al mare, va alla balneabilità e, di conseguenza, alle difficoltà che ancora oggi l’intero Paese – a dire il vero più al Sud che al Nord, e con la Sicilia nei bassifondi della classifica dei più virtuosi – affronta nella gestione adeguata dei reflui. La depurazione, nonostante i miliardi di euro investiti dall’Unione europea, lascia ancora a desiderare e a ricordarlo a tutti sono le quattro infrazioni comunitarie che interessano l’Italia.

Le inadempienze in tema di scarichi a mare della Sicilia

Una di esse, già oggetto di due sentenze di condanna da parte della Corte di giustizia europea, interessa anche la Sicilia e riguarda le inadempienze in tema di scarichi a mare in aree non sensibili. La questione non è soltanto ideologica o ambientale, ma anche economica: “Si è previsto per l’Italia il pagamento di una sanzione di trenta milioni di euro a semestre, pari a 165mila euro al giorno, circa dieci euro l’anno ad abitante equivalente, per gli iniziali 123 interventi in 75 agglomerati, prevalentemente dislocati in Sicilia, Calabria e Campania”, si legge sul sito del commissario unico per la depurazione, attualmente guidato dal catanese Fabio Fatuzzo.

Fauna e flora continuano a fare i conti con l’inquinamento

Parlare di mare significa però soprattutto prendere in considerazioni le specie animali e vegetali che in quell’ambiente ci vivono. Fauna e flora continuano a fare i conti da una parte con le variazioni causate dai cambiamenti climatici, ma anche con il poco rispetto da parte dell’uomo e, più in generale, con lo sfruttamento dei fondali. “La crisi climatica mette a rischio ben la metà della produzione mondiale di pesce, con gravi conseguenze per le piccole comunità che vivono di pesca. Anche nel nostro mare il cambiamento climatico sta causando effetti come la tropicalizzazione, con specie autoctone costrette a spostarsi a causa dell’aumento delle temperature e lasciare il posto alle specie invasive”, si legge in un recente rapporto del Wwf. Sono circa mille le nuove specie invasive che hanno iniziato a popolare i mari, “causando riduzioni delle specie autoctone del 40 per cento in alcune aree, per motivi di competizione o predazione”.

A incidere in negativo sono anche fattori come l’eutrofizzazione del mare – ovvero la presenza di un eccesso di nutrienti nelle acque – e la riduzione degli stock ittici, che insieme hanno causato l’aumento repentino delle meduse, ma anche la riduzione delle praterie di posidonia che causano una “diminuzione della capacità di immagazzinamento dell’anidride carbonica”.

Gli effetti della pesca illegale

Altro nodo cruciale, quando si parla di stato di salute dei mari, è quello riguardante gli effetti della pesca illegale. La Guardia costiera da poche settimane ha concluso in Sicilia orientale l’operazione Bft Fishing Campaign 2024, con il sequestro di otto tonnellate di tonno rosso, la specie più ricercata e anche protetta del Mediterraneo. Guardando appena dietro nel tempo, al 2023, si capisce però che le condizioni di illegalità in mare interessano un po’ tutto il comparto: a livello nazionale sono state 541 le tonnellate di pesce sequestrate l’anno passato, con la contestazione di 4770 illeciti amministrativi – dei quali oltre 1500 legati a problemi con la tracciabilità del pescato – e 182 penali. In totale sono stati irrogate sanzioni per un valore di otto milioni di euro.

Il Mediterraneo è il secondo mare più sfruttato al mondo

“Se nei primi sei mesi dell’anno avessimo consumato solo risorse dei nostri mari, da luglio alla fine dell’anno queste non sarebbero più disponibili e l’Europa dovrebbe ricorrere alle importazioni per sostenere la crescente richiesta dei consumatori – ha denunciato il Wwf a inizio mese –. La domanda europea di prodotti ittici è infatti troppo alta: ogni cittadino europeo consuma in media circa 24 chili di pesce l’anno, e gli italiani superano la media con i loro 31,21 chili di pesce pro capite l’anno”. Stando ai dati dell’associazione ambientalista, con il 58 per cento degli stock ittici sovrapescati, il Mediterraneo è il secondo mare più sfruttato al mondo. E a risentirne, inevitabilmente, è l’ecosistema marino. “Le specie più colpite includono il nasello, la sardina, i gamberi (viola e rosa) e la triglia di fango. Questa situazione è ulteriormente aggravata dalla pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, che mette a rischio gli ecosistemi marini e le economie locali”, avverte il Wwf.

Una situazione, quella dell’illegalità nel mondo della pesca, che contribuisce a rendere la filiera degli illeciti contro gli animali al terzo posto nella classifica dei reati ambientali commessi in Italia. A dirlo è l’ultimo rapporto Ecomafia, presentato nelle scorse settimane da Legambiente. Sono 6.581 i reati contro gli animali registrati nel 2023, tra bracconaggio, traffici di specie protetta, allevamenti e, appunto, pesca illegale.

Interviene Francesco Tiralongo, ittiologo del Dipartimento di scienze biologiche dell’Unict

“In pericolo il futuro degli ambienti marini ma anche il presente non è affatto roseo”

“Come sta il nostro mare? Non bene, continua a mancare la sensibilità ambientale che dovrebbe essere alla base delle azioni dell’uomo specialmente nell’epoca in cui viviamo”. A lanciare l’allarme è Francesco Tiralongo, ricercatore del dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali, Università degli Studi di Catania. Contattato dal Quotidiano di Sicilia, Tiralongo fa il punto sulla situazione degli ecosistemi marini della Sicilia, dove anche quest’anno i problemi non mancano, anzi forse si acuiscono, mentre la corsa alle soluzioni non sembra essere veloce a sufficienza.

“Le criticità sono tante e ognuna di esse contribuisce a mettere in pericolo il futuro degli ambienti marini, ma in realtà è giusto dire che anche il presente non è per niente roseo – commenta Tiralongo –. In questi giorni mi è capitato di sentire gente stupirsi davanti alla notizia dell’inquinamento di zone che rientrano all’interno di aree marine protette. Purtroppo non basta fissare delle tutele per garantire la salvaguardia di quel dato ambiente. In mare non ci sono confini e basta che una fonte inquinante agisca a ridosso di un’area tutelata per ritrovarci con il mare inquinato”.

Il pensiero di tutti va al gap del settore depurazione. “In estate, quando le zone turistiche si affollano tutto emerge in maniera ancora più forte, a causa di infrastrutture inadeguate laddove ci sono. Ma gli effetti negativi non sono causati soltanto dai reflui fognari, ma anche dalla mancata gestione delle cosiddette acque bianche – continua l’esperto –. I residui di bagnoschiuma o shampo, solo per fare un esempio, contengono nutrienti come azoto e fosforo che finendo in mare causano fenomeni di eutrofizzazione che tendono a favorire lo sviluppo abnorme di microalghe”. La cui presenza è tutt’altro che positiva per l’ambiente: “Grandi concentrazioni di microalghe possono rilasciare tossine nocive per l’uomo ma anche per gli organismi acquatici, oltre che causare situazioni di ipossia e anossia, ovvero la carenza o l’assenza di ossigeno nell’acqua”.

In queste settimane si parla molto di vermocane e della sua diffusione sui fondali siciliani. “Proprio domani mi recherò a Marzamemi con una troupe per approfondire la questione, ma i problemi connessi all’aumento delle temperature dei mari riguardano diverse specie – va avanti Tiralongo –. Ci troviamo ormai a fare i conti con la cosiddetta tropicalizzazione dei mari e la conseguenza di una tale situazione è quella di trovarci con specie, un tempo impossibili da trovare dalle nostre parti, che iniziano a contendere gli habitat alle specie da sempre presenti. Basti pensare al granchio blu che nel delta del Po ha pressoché azzerato la produzione di vongole, ma anche gli avvistamenti sempre più frequenti del pesce palla maculato, ovvero una specie che se ingerita dall’uomo può essere potenzialmente letale per la presenza di una tossina particolarmente pericolosa”.

Problema ben più noto ma a oggi per nulla arginato è quello che riguarda l’abbandono di rifiuti in plastica. “Ce ne sono tantissimi lungo le nostre coste e tutto deriva dal malcostume e dall’incapacità di comprendere come questi comportamenti pregiudicano la salute nostra e delle generazioni future – spiega Tiralongo –. Perché quando parliamo di rifiuti in plastica non è solo la bottiglia abbandonata che esteticamente colpisce in negativo, ma anche ciò che quella bottiglia diventerà una volta deterioratasi. Ovvero la trasformazione in microplastiche che finiscono per entrare nel ciclo biologico e finire, tramite i pesci, anche all’interno dei nostri corpi”.

Sul fronte della pesca, Legambiente, Wwf ma la stessa Guardia costiera hanno confermato come gli episodi di pesca illegale rappresentino ancora un fenomeno dalla portata non da sottovalutare. “Mi viene da pensare ai casi in cui la pesca a strascico viene usata fuori dalle regole, per esempio troppo vicino alla costa – commenta il ricercatore –. Si tratta di uno strumento per nulla selettivo che danneggia la fauna nel suo insieme e che dovrebbe essere particolarmente limitato, nell’interesse dello stesso comparto che di pesca vive”.

Infine una battuta sui progetti che in più parti della Sicilia sono stati finanziati per il ripascimento della posidonia oceanica. “Sono interventi importanti, che vanno sostenuti, ma bisogna anche essere franchi: finché non si lavora alle cause si tratta soltanto di soluzioni temporanee”.