Inchiesta

Anidride carbonica, da “killer” dell’ambiente a risorsa energetica

PALERMO – Nel 2021 la percentuale di CO2 in atmosfera ha raggiunto il record annuale medio per colonna di circa 414 parti per milione (ppm), con un picco di 416,1 ppm nel mese di aprile, stando alle ultimi analisi del Copernicus climate change aervice (C3s). Dati che si confermano ancora una volta tutti in rosso e che fanno dell’inquimento atmosferico un “killer silenzioso” dell’ambiente.

L’unica soluzione immediata possibile, dunque, oltre alle classiche procedure di riduzione delle emissione climalteranti, è la conversione di ciò è definito comunemente uno “scarto”, in una vera e propria risorsa e fonte di energia pura e sempre disponibile. “Dal letame nascono i fiori” cantava De Andrè e la ricerca ha fatto passi da giganti in tale direzione, al fine di trasformare la CO2 nella chiave di volta per la transizione verde. Ne abbiamo discusso con Roberto Fiorenza, ricercatore in Chimica Industriale e docente di Chimica Industriale Sostenibile presso il dipartimento di Scienze chimiche dell’Università degli studi di Catania.

Roberto Fiorenza, ricercatore in Chimica Industriale e docente di Chimica Industriale Sostenibile presso il dipartimento di Scienze chimiche dell’Università degli studi di Catania

Professor Fiorenza, quali sono i più comuni sistemi di cattura della CO2? E quali le loro potenzialità e ostacoli?
“I sistemi di cattura della CO2 (dette CCS Carbon Capture and Storage) attualmente più utilizzati a livello industriale prevedono l’utilizzo di solventi particolari (amminici) che hanno una buona affinità con l’anidride carbonica e che quindi possono catturarla. Altre metodiche utilizzate sono lo storage (stoccaggio) per via geologica ovvero attraverso l’immagazzinamento della stessa sottoterra (si utilizza la stessa tecnologia impiegata per le trivellazioni del petrolio) o, in alternativa, la CO2 può essere stoccata in profondità nel mare. Essa infatti può dare vita, in un processo che può durare anche secoli, a degli equilibri che la trasformano lentamente in carbonati (dei sali). Tuttavia, quest’ultime due tecnologie hanno lo svantaggio che allo stato attuale non si hanno abbastanza dati sui possibili effetti sugli ecosistemi terresti e acquatici, mentre l’immagazzinamento con solventi industriali è una procedura costosa”.

A che punto è la ricerca in tal senso? Quali sono le ricerche avviate dal vostro team per la sua cattura e successivo riutilizzo?
“Per poter sfruttare appieno le potenzialità della CO2, l’approccio Ccu (Carbon capture and utilization) è sicuramente quello più innovativo e promettente. Fino a qualche anno fa, infatti, l’anidride carbonica veniva considerata solamente uno scarto di processo, oggi invece a causa dei problemi atmosferici legati alla sua continua emissione è necessaria una sua valorizzazione. La chimica della vita e degli oggetti che ci circondano si basano sulla chimica del carbonio, e a pensarci bene la CO2 è una fonte di carbonio a costo zero essendo uno scarto di processo. Tuttavia, la molecola è molto stabile e ciò richiede energia per trasformarla. Quello che facciamo nell’ambito della ricerca sulla conversione della CO2 è sostanzialmente cercare di replicare un sistema perfetto quale la natura. Le piante, infatti, mediante l’azione della clorofilla e della radiazione solare riescono a convertire la CO2 atmosferica e l’acqua in zuccheri che servono come sostentamento della stessa. Uno degli approcci più interessanti è appunto quello di replicare la fotosintesi con la cosiddetta ‘fotosintesi artificiale’ di quale si occupa anche il nostro gruppo di ricerca. Grazie a dei particolari materiali (detti fotocatalizzatori) è possibile sfruttare la radiazione solare per trasformare la CO2 in ‘solar fuels’ ovvero in altri prodotti a base di carbonio come il metano, il metanolo o l’etanolo che hanno il vantaggio di essere così prodotti attraverso una via totalmente green e sostenibile piuttosto che da fonti fossili come il petrolio. Attualmente si riesce a convertire efficacemente la CO2 in prodotti con 1,2 atomi di carbonio ma in futuro si potranno ottenere catene più lunghe e attuare una vera e propria transizione da un’economia basata su fonti fossili a una a impatto di carbonio zero, perché la stessa CO2 emessa in atmosfera o dai vari processi industriali potrà essere utilizzata per produrre prodotti ad alto valore aggiunto, chiudendo così il ciclo verde sostenibile. Recentemente abbiamo pubblicato un lavoro proprio su l’approccio della fotosintesi artificiale e abbiamo anche collaborato con il gruppo di ricerca del professore Antonio Rescifina del Dipartimento di Scienze del Farmaco e della Salute dell’Università di Catania, per lo studio dell’approccio di cattura e utilizzo della CO2 in prodotti per la chimica organica”

Cosa chiede il mondo della ricerca alle Istituzioni in termini di sostenibilità?
“Gli obiettivi dell’Unione Europea per quanto riguarda le emissioni di CO2 sono molto ambiziosi. Nel continente si è riusciti a ridurre le emissioni di CO2 rispetto al 1990 del 31%. Per il 2030 ci si aspetta una riduzione per più del 55% mentre per il 2050 l’obbiettivo è emissioni zero. Naturalmente ciò richiederà un continuo impegno e risorse per entrambi gli approcci, sia quello dello stoccaggio che poi quello dell’utilizzo della CO2 che è l’approccio necessario per raggiungere questi obbiettivi. Sembra che anche in Italia qualcosa a tal proposito si sta muovendo perché uno dei filoni da sviluppare con il Pnrr è proprio la conversione/valorizzazione della CO2 e i relativi processi di decarbonizzazione.Per cui sembra che ci sia una sempre più crescente attenzione su questa tematica che permetterebbe di trasformare un problema in una risorsa”.

Quali sono, in generale, le tempistiche per attivare una ricerca e, successivamente, rendere operativa la tecnologia?
“Il maggiore problema che richiede tempistiche piuttosto lunghe (da 1 a 3 anni) è quello di passare dalla scala di laboratorio, dove si usano impianti pilota molto piccoli e condizioni piuttosto lontane da quelle reali, a quella tecnico-applicativo di tipo industriale. Per ottenere dei risultati di rilevanza non solo accademica ma anche pratica/tecnologia è necessario lo sviluppo di forti sinergie fra il mondo della ricerca, delle istituzioni e quello industriale. Ciò permetterebbe lo sviluppo di collaborazioni virtuose per cui i risultati del mondo accademico possono essere trasferiti nel più breve tempo possibile al mondo industriale con lo sviluppo di laboratori o di centri di ricerca appositi che possano facilitare questo passaggio”.

Cosa potrebbe fare, nello specifico, la Regione per supportare il vostro settore di ricerca per quanto concerne la conversione di CO2 in energia pulita?
“Al di là della ormai cronica assenza di adeguati fondi per la ricerca, anche se sembra che con il Pnrr qualcosa si stia muovendo, la Regione potrebbe facilitare e incentivare la comunicazione e le possibilità di collaborazione con il mondo industriale mediante appositi kick-off meeting per cercare di colmare il gap fra il mondo accademico e il mondo delle aziende che in modo particolare in Sicilia è ancora molto elevato, e in cui sostanzialmente c’è una assenza di comunicazione”.

Si può effettivamente considerare la CO2 come una fonte di energia rinnovabile?
“Si può fare molto di più. La CO2 può essere considerata una risorsa economica molto importante. Ritengo che sia la chiave insieme con l’idrogeno per iniziare la transizione verde. Ciò richiederà sicuramente molto tempo e lo stesso processo di transizione andrà fatto in maniera progressiva essendo la nostra un’economia basata per più del 90% su fonti fossili. Ma le prospettive oltre che essere affascinati sono alla portata e realizzabili. Come specificato precedentemente la CO2 è molto versatile perché può essere non solo una fonte di energia (convertendola per esempio in metano da usare come gas domestico) ma anche la fonte primaria per la produzione di fuels o prodotti chimici che sono alla base del mondo economico attuale”.

Da CO2 a metanolo, l’ambizioso progetto della startup siciliana Methanet (CONTINUA LA LETTURA)

Da CO2 a metanolo, l’ambizioso progetto della startup siciliana Methanet

Il ceo Antonio Ferraro: “Vogliamo creare un modello replicabile in tutto il mondo partendo dall’Isola”

Antonio Ferraro, ceo della startup Methanet

PALERMO – A fare passi da gigante non è solo il mondo della ricerca bensì anche quello dell’impresa, partendo proprio dalla Sicilia. È il caso della startup siciliana Methanet, guidata dal palermitano Antonio Ferraro che nasce con l’obiettivo di catturare l’anidride carbonica immessa in atmosfera e di trasformarla in metanolo per dar via a un processo circolare che riduce l’impatto di ulteriori emmissioni inquinanti.

Dottor Ferraro, come funziona nello specifico l’innovativa tecnologia da voi messa a punto per trasformare l’anidride carbonica in metanolo?
“MethaNet utilizza una tecnologia innovativa che prevede la cattura dell’anidride carbonica e la sua conseguente trasformazione in metanolo attraverso l’utilizzo dell’idrogeno, generando così un processo circolare che limita l’immissione di ulteriore anidride carbonica nell’aria. Il processo tecnologico, che è stato sviluppato per soddisfare la crescente domanda da parte dell’industria e dei trasporti di combustibili sintetici rinnovabili e sostenibili, richiede una fonte di CO2 e H2: i gas di scarico vengono catturati dai punti di emissione e depurati dalle impurità per produrre CO2 adatta alla sintesi del metanolo; l’idrogeno può essere generato dall’elettrolisi dell’acqua o elaborato dall’idrogeno come sottoprodotto disponibile in alcuni flussi di rifiuti industriali. Dopo aver ottenuto una miscela a purezza e concentrazione sufficienti, è necessario convertire il gas in metanolo grezzo, che viene successivamente separato in metanolo (alla purezza/qualità di progetto) e acqua per il riutilizzo o lo smaltimento”.

Quali sono le potenzialità e gli eventuali ostacoli da voi riscontrati?
“La tecnologia brevettata trasforma le emissioni di anidride carbonica e idrogeno in metanolo per una fonte di energia e materie prime chimiche più verdi e rinnovabili, riducendo tecnicamente, economicamente e praticamente le emissioni di gas serra in settori significativi dell’economia globale. La riduzione delle emissioni di CO2 richiederà una transizione dalle fonti energetiche fossili e un aumento significativo della produzione di energia rinnovabile, ma ci sono ampie lacune da colmare in termini di tecnologia, economia, politica e comportamento. È necessaria una transizione pratica, che offra riduzioni sempre crescenti delle emissioni di gas serra all’interno dei processi industriali e delle catene del valore esistenti, avvicinandoli sempre più alla neutralità del carbonio”.

Quali le applicazioni pratiche?
“Si prevede che il mercato globale del metanolo come sostituto fossile raggiungerà i 500 milioni di tonnellate entro il 2050. Le applicazioni per il metanolo sono già molto diffuse grazie alle sue vantaggiose proprietà: può essere trasportato e conservato in modo facile e sicuro, essendo un liquido a temperatura ambiente; è biodegradabile e un vettore energetico altamente efficiente; brucia in modo pulito e non produce fuliggine o particolato. Ci sono già alcune aziende, specie del Nord Europa e che operano nel settore dei trasporti, che hanno manifestato un forte interesse nell’acquisto del metanolo, e noi siamo ben lieti di portare il nostro contributo alla diffusione di una sensibilità sempre maggiore verso il tema della sostenibilità un po’ in tutto il mondo o, almeno, fin dove c’è possibile arrivare”.

Che progetti avete per il futuro in Sicilia?
“Il nostro obiettivo consiste nella realizzazione di impianti industriali per la produzione di metanolo utilizzando idrogeno e anidride carbonica: in una possibile economia del futuro, verde ed ecosostenibile, il metanolo potrebbe sostituire le comuni tipologie di combustibili fossili come mezzo per l’accumulo di energia, sia come combustibile che come materia prima per la sintesi di idrocarburi e loro derivati. Con MethaNet vogliamo creare un modello replicabile in tutto il mondo partendo dalla Sicilia, dove la collaborazione con le numerose raffinerie presenti renderà più facile l’ottenimento della CO2. In seguito ci proponiamo di ripetere l’esperienza pilota dell’impianto siciliano e costruire nel mondo altri sistemi di produzione”.

Possiamo definire la Co2 come una fonte di energia pulita?
“Pensi al sistema europeo delle quote di emissione (Emissions trading System o Ets) che opera secondo una logica cap & trade, in cui si stabilisce un tetto (cap) al numero di quote che vengono messe a disposizione ogni anno per gli operatori appartenenti ai settori. Dato tale cap, ogni operatore deve restituire le quote pari alle emissioni prodotte. Chi si trova in deficit, può acquistare le quote mancanti in asta (da uno degli Stati membri dell’Ue) o sul mercato da operatori che si trovino in surplus o da soggetti terzi abilitati. Fino al 2012 il sistema non ha avuto un’applicazione efficace per via dei certificati in eccedenza. Dal 2013 (inizio della Fase 3, conclusasi nel 2020) il mercato ha cominciato ad ingranare causa il ridimensionamento dell’offerta. La riduzione delle emissioni globali di gas serra a zero entro il 2050 dipende sempre più dalla nostra capacità di apportare un cambiamento significativo al nostro rapporto con la CO2, forse la componente più critica dell’economia globale che finora abbiamo trattato come un rifiuto da scartare nell’atmosfera. Affinché si ponga fine alla dipendenza dai combustibili fossili, la CO2 deve invece essere considerata una risorsa preziosa da riciclare e riutilizzare. Catturare le emissioni di CO2, combinarle con H2 verde o recuperato per produrre metanolo e reimmetterle nei nostri processi industriali come fonte di energia rinnovabile e materia prima, fornisce un percorso accelerato verso un’economia circolare”.