Inchiesta

Anidride carbonica, da “veleno” a risorsa energetica

ROMA – Non tutta la CO2 viene per nuocere. Anzi, in un futuro sempre più prossimo l’anidride carbonica potrebbe diventare una preziosa fonte energetica. Attualmente esistono 135 progetti per la cattura e lo stoccaggio di CO2 in tutto il mondo, 38 dei quali si trovano in Europa (28% del totale). Il 43% dei progetti mondiali è in fase di sviluppo avanzato, mentre solo il 20% è operativo. Questi numeri sono contenuti nello studio “Proposal for a Zero Carbon technology roadmap”, promosso da Eni in collaborazione con The European House – Ambrosetti e presentato a Roma lo scorso martedì.

La ricerca ha identificato le 100 tecnologie chiave per la decarbonizzazione, tramite l’individuazione di una linea che prevede un mix sinergico e complementare delle diverse soluzioni proposte per tentare, quantomeno, di rispettare un obiettivo che sembra sempre più lontano: contenere l’aumento delle temperature entro la soglia degli 1,5 gradi, così come previsto dall’Accordo di Parigi.

La soluzione più immediata è quella di lavorare sulle emissioni energetiche e non energetiche, considerato che la maggior parte, ovvero il 72% è generata dai combustibili fossili, mentre le emissioni non energetiche rappresentano il 28% del totale registrato in Unione Europea. Più nello specifico, l’elettricità prodotta da fonti rinnovabili e l’impiego di impianti eolici e solari potranno, da sole, contribuire per il 43% alla mitigazione delle emissioni carboniche, mentre la triade composta dalla cattura di CO2, dall’idrogeno verde e dalla bionergia (come i biocarburanti che si producono nello stabilimento Eni a Gela) potranno influire per il 29%.

Gli interventi dovranno essere indirizzati, innanzitutto, a ridurre gli impatti dell’industrie energivore “Hard to abate” (cemento, ferro-acciaio e chimico), in cui il 51% delle emissioni sono generate dai processi industriali, e dei trasporti pesanti (veicoli pesanti, marina e aerei), in cui più del 90% dei consumi dipendono da combustibili fossili. Questa linea d’azione, stando alle stime delle studio, potrebbe contribuire per l’81% alla decarbonizzazione del nostro continente entro il 2050, generando 2.700 miliardi di euro di valore aggiunto e di circa 1,7 milioni di occupati.

Detto in altri termini non basta seguire solo la strada delle fonti rinnovabili (come eolico e solare) per raggiungere gli sfidanti traguardi fissati dall’Europa. Come ha sottolineato Giuseppe Ricci, presidente di Confindustria Energia e direttore generale Energy Evolution Eni, “solo costruendo una traiettoria di decarbonizzazione che ricerchi per ogni ambito e settore la massima efficacia ed efficienza gestendo attentamente la transizione e che non lasci indietro nessuno, stimolando la ricerca e lo sviluppo e valorizzando tutte le tecnologie disponibili e il loro reale potenziale, sarà possibile traguardare tutti gli ambiziosi obiettivi del Fiftfor55 e RepowerEU al 2030 e del Net Zero Carbon al 2050”.

Traguardi da raggiungere a tutti i costi. Stando alle ultime rilevazioni del Copernicus climate change service (C3S), il programma di osservazione della Terra dell’Ue, dedicato a monitorare il nostro pianeta e il suo ambiente, il 2022 ha visto la più alta concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera degli ultimi due milioni di anni. Si tratta, nello specifico, di una media annuale di circa 417 ppm (parti per milione). Non stupisce che l’anno appena trascorso abbia visto in Europa l’estate più calda della storia, con una temperature media di 1,2 ° superiore rispetto al periodo pre-industriale (1850-1900).

I progetti nel mondo

Il principio di base di questa riconversione parte dal capovolgimento della prospettiva finora conosciuta: lo scarto, il “veleno”, da trasformare in risorsa, che non è più solo una linea guida ma un vero e proprio imperativo per tutte le economie del mondo se si considera che, così come indicato dall’Agenzia internazionale per l’energia, nei prossimi 37 anni dobbiamo provvedere all’assorbimento e la rimozione di oltre un miliardo di tonnellate l’anno di anidride carbonica.

Tra i pionieri della Carbon capture vi è l’Islanda in cui è stato installato l’Orca (nell’isola “orka” vuol dire energia positiva), il più grande impianto al mondo per la cattura della CO2, a firma dell’azienda svizzera Climeworks, che ha una tecnologia tale da poter assorbire dall’aria ben 4 mila tonnellate di anidride carbonica. L’obiettivo è quello di “acchiapparla” tramite impianti di aspirazione per nasconderla in caverne sotterranee. A questo punto potrà essere riutilizzata in sicurezza in diversi settori come, ad esempio, miscelandola con l’idrogeno per farne carburante pulito. Una tecnologia che non è più solo utopia, se consideriamo che proprio lo scorso 12 gennaio l’azienda svizzera ha venduto i suoi primi crediti, a testimonianza del crescente interesse delle industrie per una delle soluzioni di riduzione e conversione delle proprie emissioni.

In Novergia sono stati investiti 1,85 miliardi di euro per catturare 0,4 miliardi di CO2 all’anno da un cementificio. La Croazia ha destinato 658 milioni del suo Pnrr per sviluppare progetti innovativi di CCS, sostenere la produzione di biocarburanti avanzati e idrogeno rinnovabili. Altri progetti si segnalano in Germania, Spagna, Inghilterra, Grecia, Belgio, Olanda, Svezia, Finlandia e Danimarca.

Oltreoceano, anche gli Stati Uniti hanno deciso di puntare forte su questa tecnologia. A inizio anno, il presidente Joe Biden ha annunciato la Bipartisan Infrastructure Law, un piano da 3,7 miliardi di dollari per “purificare” l’atmosfera statunitense dall’anidride carbonica, che parte proprio dalla tecnologia Ccs (Carbon capture storage) finalizzata al confinamento geologico della CO2 prodotta nelle combustioni per la produzione di energia elettrica da fonti fossili e nell’operatività di impianti industriali.

La sfida della carbon neutrality in Italia

In Italia il progetto più importante è quello portato avanti da Eni che, lo scorso dicembre, infatti, ha firmato una joint venture (un accordo paritetico) con la Snam (società che gestisce la rete di distribuzione del gas). Le due aziende collaboreranno allo sviluppo e alla gestione della fase 1 del progetto Ccs Ravenna, il primo in Italia, per cui è prevista la cattura di 25mila tonnellate di CO2 dalla centrale Eni di trattamento di gas naturale di Casalborsetti, in provincia di Ravenna. Una volta catturata, la CO2 sarà convogliata verso la piattaforma di Porto Corsini Mare Ovest e infine iniettata nell’omonimo giacimento a gas esaurito. “Un esempio di eccellenza – ha dichiarato l’ad di Eni Claudio Descalzi – volto a valorizzare le sinergie industriali per contribuire al percorso di decarbonizzazione del sistema produttivo italiano”.

L’Isola pioniera

Ma anche la nostra Sicilia non è rimasta indietro. Lo scorso 25 gennaio, infatti, Sasol Italy e Sonatrach Raffineria italiana hanno presentato, presso lo stabilimento di Augusta, il progetto “Hybla”. L’iniziativa ha l’obiettivo di realizzare un impianto all’avanguardia per la produzione di idrogeno e syngas “low carbon” in grado anche di catturare e riutilizzare la CO2 che contribuirà al processo di decarbonizzazione dei due siti (con una riduzione di emissioni CO2 pari a circa 120mila tonnellate all’anno). Il progetto pioneristico andrebbe imitato anche da altre realtà così da porre le basi per la creazione di una vera e propria Valle dell’idrogeno nella nostra Isola.