Gesti plateali, come l’ingresso con le manette ai polsi a Napoli o senza toga a Messina, o con in mano il codice penale come a Catania, e azioni silenziose altrettanto forti, anche se annunciate date le polemiche di questi giorni, come i cartelli alzati e mostrati a Piercamillo Davigo prima di abbandonare l’aula a Milano.
Nei distretti giudiziari, da Nord a Sud, è stata un’inaugurazione dell’Anno giudiziario caratterizzata dalle sceniche proteste degli avvocati penalisti.
Le proteste dei penalisti a Catania e Messina
La scelta di restare senza toga è stata compiuta “in segno di protesta e di dissenso” nei confronti di chi “non ascolta la voce dell’Avvocatura sulla riforma che ha inciso sul decorso del termine di prescrizione del reato: solo un confronto reale e costruttivo con l’avvocatura avrebbe potuto consentire al Ministro di comprendere le ragioni reali della violazione delle norme sul giusto processo”.
A Catania la protesta dei penalisti sulla riforma è stata espressa da alcuni di loro che, durante il discorso del rappresentante del ministero della Giustizia, si sono alzati in piedi e hanno esibito con le mani alzate i testi del Codice Penale.
“L’abrogazione della prescrizione dopo il primo grado – ha sottolineato Salvatore Liotta, presidente della Camera penale etnea – appare sempre più un cavallo di Troia, per chiudere i conti con la riforma del processo in senso accusatorio e non più inquisitorio e per aprire una strada alla manomissione del diritto all’impugnazione. Su questi temi l’avvocatura penale eserciterà il suo inviolabile diritto di critica e divulgazione sui temi reali della giustizia”.
Sull’argomento, le proteste contro la nuova legge sulla sospensione della prescrizione dopo il primo grado, in vigore dal primo gennaio, in forma meno mediatica, vanno avanti da mesi, con scioperi a ripetizione.
Il pg di Milano contro la riforma della prescrizione
E’ stato, tra l’altro, proprio il Procuratore generale del capoluogo lombardo Roberto Alfonso, nell’ultimo intervento prima della pensione, a usare le parole più dure per criticare la riforma della prescrizione voluta dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede.
Parole che lo stesso Guardasigilli ha ascoltato nell’Aula Magna del Tribunale milanese.
Per Alfonso le nuove norme presentano “rischi di incostituzionalità”, incidendo “sulla ragionevole durata del processo”.
Ritardo nei processi “senza limiti”
Lo stop alla prescrizione, ha detto, “non servirà sicuramente ad accelerare i tempi del processo, semmai li ritarderà ‘senza limiti’ (un messaggio simile è arrivato anche dalla Corte d’Appello di Firenze)”, mentre il problema vero sono gli “spaventosi vuoti di organico e la mancanza di risorse che contribuiscono a determinare tempi lunghi” dei procedimenti.
“Rispetto l’opinione del Procuratore generale, è evidente che, se è una proposta che ho portato avanti, dal mio punto di vista non c’è nessuna incostituzionalità”, ha chiarito Bonafede che ha ribadito, comunque, la sua disponibilità ed apertura al “confronto”, che ci sarà anche nella maggioranza su questo tema nei prossimi giorni.
Bonafede, non sono un manettaro
Lo stesso rispetto, tra l’altro, il ministro, dispiaciuto di certi aggettivi usati nei suoi confronti come “manettaro”, lo ha manifestato anche nei confronti delle “divergenze”, sempre sul fronte prescrizione, dei penalisti.
“Ritengo ingiusto – ha detto Bonafede spiegando la sua posizione sulla prescrizione – che lo Stato dopo aver speso soldi ed energie per l’accertamento dei fatti ad un certo punto debba veder finire quel lavoro nel nulla”.
Bonafede ha rivendicato, tra l’altro, di essere “il primo ministro della Giustizia che ha stabilito un controllo strutturale dell’ispettorato del Ministero su tutti i casi di ingiusta detenzione”.
Ardita (Csm), preoccupati per l’imposizione dei tempi
“Ascoltiamo preoccupati, ma non in silenzio, notizie di possibili riforme che vorrebbero imporre i tempi della Giustizia, prevedendo sanzioni disciplinari per i magistrati in caso di durata superiore a quella prevista” ha detto il componente del Csm, Sebastiano Ardita, ieri a Catania.
“Attendiamo di leggere il testo finale della riforma – ha aggiunto il magistrato – ma vogliamo sperare che le anticipazioni di stampa siano imprecise perché, come abbiamo avuto modo di osservare, rispetto alla durata dei processi, le variabili sono dettate dalle norme che richiamano la responsabilità politica del Governo e del Parlamento. Mentre l’eventuale colpa del giudice, oltre a essere facilmente individuabile, viene prontamente rilevata e rigorosamente sanzionata”.
“Quella di prevedere per legge la durata dei processi – ha osservato Ardita – è dunque una misura disarmante per la sua ingenuità e ricorda tanto l’antecedente del tumulto di San Martino del 1628 ricordato da Manzoni: l’editto con cui il gran cancelliere Ferrer pensò che fosse possibile con un suo provvedimento di abbassare il prezzo del pane. Le conseguenze di quel decreto culminate nella rivolta sono note a tutti. Non è questa dunque – conclude il componente del Csm – la strada da seguire per riformare la giustizia”.
Di Matteo, prescrizione un’ottima riforma
Di parere opposto un altro componente del Csm, Nino Di Matteo, che, parlando a Palermo, ha detto: “Penso che quella della prescrizione sia un’ottima riforma”.
“Ricordo – ha aggiunto – che per molti anni la magistratura, in molte sue componenti, ha auspicato un’interruzione del decorso della prescrizione al momento dell’esercizio dell’azione penale. Alcune perplessità espresse dunque mi lasciano interdetto soprattutto perché contraddicono quello che per molto tempo si è chiesto”.
“Del resto – ha concluso – è una riforma che ci allinea a tanti altri sistemi processuali europei e che sicuramente creerebbe le condizioni per evitare che si formino ulteriori sacche di impunità, soprattutto per i cosiddetti reati dei colletti bianchi”.
Milano e Catania, attacco a Piercamillo Davigo
A Milano il vero obiettivo delle proteste della Camera Penale è stato l’ex pm di Mani Pulite, presidente di sezione della Cassazione e consigliere del Csm Piercamillo Davigo, per aver rilasciato nei giorni scorsi un’intervista con affermazioni che “negano i fondamenti costituzionali del giusto processo, della presunzione di innocenza e del ruolo dell’Avvocato nel processo penale”.
I penalisti avevano già chiesto che venisse sostituito con un altro consigliere e ieri, quando Davigo ha preso la parola, hanno abbandonato l’aula dopo aver mostrato cartelli con tre articoli della Costituzione.
“Non è un gesto contro il singolo. Noi non siamo contro Davigo, ma a difesa dei diritti dei più deboli, degli ultimi, degli imputati e delle vittime”, ha precisato il presidente della Camera penale milanese Andrea Soliani, mentre l’ex pm nel corso della cerimonia non ha fatto alcun cenno alle polemiche e se ne è andato prima che Soliani intervenisse.
E a Catania, Salvatore Liotta ha aggiunto: “le esternazioni del consigliere Davigo sulla funzione difensiva, rappresentata come meramente speculativa e parassitaria, fino a teorizzare ipotesi di responsabilità in solido per le impugnazioni, oltre a essere irricevibili, sono espressioni di gratuita denigrazione di una funzione essenziale per l’amministrazione della Giustizia: puntare alla minimizzazione e alla marginalità del difensore produce un vulnus al diritto di difesa”.