In Sicilia il 50,5% dell’acqua distribuita nelle reti idriche viene dispersa nel sottosuolo ancor prima di poter essere utilizzata, con una maggiorazione di otto punti percentuali rispetto alla tendenza del resto del Paese e ben il doppio della media europea. Ciò vuol dire che per ogni litro del bene di prima necessità immesso negli acquedotti, ve n’è un altro che finisce per essere totalmente sprecato a causa di infrastrutture vetuste e, come più volte ribadito dal QdS, i troppi tubi “vecchi e rotti” di un sistema colabrodo causano disservizi ai cittadini e perdite economiche importanti per le attività agricole e industriali. Un ossimoro se si pensa che proprio nell’Isola, stando alle ultime rilevazioni Anbi, circa il 70% del territorio è a rischio desertificazione. Si tratta di uno spreco che ogni anno ci fa perdere una quantità immensa di “oro trasparente” pari a 340 milioni di m3, l’equivalente del fabbisogno idrico di 4 milioni di persone, in buona sostanza quanto tutti gli abitanti della statunitense Los Angeles.
“Community valore per l’acqua”, la multi-stakeholder istituita da The European House – Ambrosetti sulla gestione della risorsa come driver di competitività e sviluppo industriale sostenibile, in vista della III edizione del “Libro Bianco Valore Acqua per l’Italia” che verrà presentato nel corso della prossima primavera, ha scattato anche per quest’anno una fotografia di un’Italia spaccata in due, in cui il “water service divide” è l’ennesimo motivo di squilibrio tra Nord e Sud. Basti pensare che mentre nel Settentrione l’interruzione del servizio idrico per famiglie e imprese ammonta a circa un’ora complessiva all’anno, nel Mezzogiorno e nelle isole il disservizio raggiunge le 105 ore, il che significa che i siciliani rimangono all’incirca quattro giorni e mezzo senza acqua nelle proprie abitazioni.
Senza dimenticare che nel Meridione il servizio di depurazione non raggiunge un complessivo di 1,6 milioni di abitanti in 339 comuni e, inoltre, in ben 40 centri abitati le fognature sono completamente assenti. Uno scenario da Terzo mondo che comporta una condizione di grave sottosviluppo per 394mila abitanti. E, ancora, mentre in regioni come il Piemonte ci sono 15,8 impianti di depurazione ogni 100 Km2, in Sicilia sono appena 1,5. Un ritardo decennale che ci spiega come mai, stando all’ultimo censimento Istat sulle acque per uso civile, la Sicilia sia tra le cinque regioni del Paese con la maggiore percentuale di dispersione idrica insieme a Sardegna, Lazio, Umbria e Abruzzo.
Le cause di tanta inefficienza vanno in primis ricercate, come evidenziato dal rapporto di The European House Ambrosetti, in una governance “inefficace e frammentata” del servizio, la cui gestione è affidata per la maggiore agli Enti locali, spesso proprio ai singoli Comuni, che non dispongono delle risorse necessarie per far fronte agli investimenti necessari per contenere l’immane spreco in atto. Lo sa bene il governo Musumeci che proprio nelle scorse settimane, tramite il dipartimento regionale Acqua e Rifiuti, ha stanziato una cifra pari a 44,4 milioni di euro valere sui fondi Po Fesr 2014/2020, per la ristrutturazione e il potenziamento della rete idrica nella sola provincia di Agrigento. L’intervento, che dovrà essere portato a compimento entro il 2023, coinvolgerà le infrastrutture di ben 16 Comuni dell’Ambito Territoriale e, più nel dettaglio: Agrigento, Sciacca, Canicattì, Licata, Lucca Sicula, Villafranca Sicula, Sambuca di Sicilia, Montevago, Porto Empedocle, Montallegro, Grotte, Racalmuto, Castrofilippo, Campobello di Licata, San Giovanni Gemini e Ribera. “Dopo anni di inutili chiacchiere – ha affermato il presidente Nello Musumeci – consentiamo alla città di Agrigento di avere finalmente una rete idrica degna di questo nome. Ora tocca agli altri centri urbani che hanno analoghe esigenze. Più progetti esecutivi arriveranno dal territorio e più risorse finanziarie saranno destinate dalla Regione alla riqualificazione delle reti”.
Mentre la Regione cerca di correre ai ripari con interventi mirati, seppur ancora sporadici, per le singole province isolane, la vera grande opportunità per premere l’acceleratore sul recupero del disavanzo siciliano in termini di approvvigionamento idrico è offerta, anche in questo caso, dal Pnrr. Lo scorso 2 Dicembre 2021, infatti, la Conferenza unificata presieduta dal ministro per gli Affari regionali e le autonomie, Gelmini, ha sancito l’intesa sullo schema di decreto del ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili recante “Investimenti in infrastrutture idriche primarie per la sicurezza dell’approvvigionamento idrico” linea d’investimento M2C4 – I4.1 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr)”.
Gli investimenti previsti per le infrastrutture idriche primarie, che ammontano a 2 miliardi di euro per l’Italia, sono volti a garantire la sicurezza dell’approvvigionamento idrico. Rispetto alla cifra totale, 900 milioni sono fondi del Pnrr aggiuntivi su 39 interventi e 1,1 miliardi riguardano risorse a legislazione vigente per 85 interventi. Come emerge dai dati, ben il 40% degli investimenti è destinato alle regioni del Mezzogiorno e, più nel dettaglio, la Sicilia potrà usufruire di ben 239 milioni e 621 mila euro che finanzieranno diversi progetti riguardanti lavori di completamento, adeguamento e manutenzione straordinaria di alcune importanti dighe, nonché interventi per potenziare il sistema idrico. I progetti dovranno rispettare le tempistiche definite dal Pnrr, ovvero l’aggiudicazione dei lavori dovrà avvenire entro il 30 settembre 2023 e il completamento delle attività entro il 31 marzo 2026.
Si tratta di un segnale positivo per l’Isola secondo Giancarlo Cancelleri, sottosegretario al ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili che ai microfoni del QdS ha dichiarato “più che la Regione in sé, il ministero delle Infrastrutture nel dipartimento idrico e delle dighe, che si occupa della costruzione e della messa in funzione delle reti idriche regionali ha un programma piuttosto serrato e noi, oltre a commissariare alcune opere (come la diga di Pietrarossa), stiamo mettendo a disposizione parecchi fondi proprio per cominciare o andare ad ultimare interventi che riteniamo molto importanti. Questo perché la nostra è una rete idrica colabrodo che perde tantissima acqua, molte dighe sono incomplete e quindi abbiamo un’evidente carenza e incapacità di accumulare ‘risorsa buona’ che può servire sia in agricoltura ma anche dal punto di vista potabile, quindi per uso civico e cittadino. Stiamo facendo un grande lavoro per sopperire a questa problematica”. “I tempi – ha aggiunto Cancelleri – sono quelli del Pnrr, ovvero di un 2026 che è un orizzonte temporale entro il quale tutti i progetti dovranno essere completati. I piccoli interventi verranno ultimati prima, quelli di più vasta scala saranno completati a ridosso della scadenza prevista. I progetti ci sono ed è un grande risultato il fatto che alcune delle segnalazioni che la regione Sicilia ha presentato sono state accolte in base a una strategia nazionale di reti idriche che deve essere funzionale a tutto il Paese. Credo che abbiamo fatto un gran lavoro in tal senso perché, in collaborazione con il Ministero, siamo riusciti a mettere a fuoco bisogni e priorità. Nell’intervento complessivo nazionale per le reti idriche moltissima attenzione è stata rivolta alla Sicilia proprio perché la nostra regione ha segnato un’arretratezza enorme da questo punto di vista e quindi ci prefiggiamo di andare ad azzerare questo gap grazie ai progetti e ai finanziamenti che stiamo mettendo in campo”.
Sebbene il Pnrr si prefiguri come un’ottima occasione di rilancio per l’Isola, è anche vero che le risorse messe a disposizione dall’Europa non bastano. Conti alla mano, rispetto ai costi complessivo degli interventi necessari in Sicilia stimati in 254 milioni di euro, ne servono ulteriori 14,4 milioni per coprire in toto il costo previsto. Più nel dettaglio, l’unica spesa ad essere coperta interamente dai fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza riguarda i 121,25 milioni di euro relativi alle risorse già programmate sulla legislazione vigente, definiti come “Interventi coerenti ed imputabili sul Pnrr”. Restano, invece, ancora da coprire i 10,5 milioni per gli interventi da programmare del piano nazionale settore idrico – sezione “Invasi” e sezione “Acquedotti” e i 3,8 milioni per gli interventi relativi alla Potabilizzatore Presidiana e al potenziamento del sistema idrico della Sicilia sud-occidentale.
PALERMO – Il QdS ha intervistato in esclusiva Benedetta Brioschi, project leader di “Valore Acqua per l’Italia – The European House Ambrosetti” per analizzare i dati siciliani relativi alla dispersione delle risorse idriche, evidenziando le cause e le possibili soluzioni all’orizzonte, soprattutto alla luce dei fondi resi disponibili dal Pnrr.
Guardando agli ultimi dati relativi alla Sicilia presenti nel vostro rapporto sul “Water service divide”, quanta acqua viene dispersa in media ogni anno nella nostra isola? E quali le conseguenze di uno spreco così importante?
“La creazione di una filiera dell’acqua italiana sostenibile e resiliente non può prescindere dal superamento del water service divide che caratterizza il servizio idrico italiano, inteso come il divario nello stato del servizio idrico tra i diversi territori italiani. Analizzando il tasso di dispersione idrica nella rete di distribuzione, si osservano rilevanti differenze tra le aree del Paese: rispetto ad una media italiana del 42%, il Sud e le Isole registrano perdite percentuali pari al 51%, 9 punti percentuali più della media. La Regione Sicilia ha una performance in linea con la media del Sud: nella Regione il 50,5% dell’acqua distribuita viene dispersa, il doppio del dato medio dell’Unione Europea. Secondo le analisi della Community Valore Acqua per l’Italia di The European House – Ambrosetti, si tratta di 340 milioni di m3 di acqua dispersa in un anno nella sola Regione siciliana, pari al fabbisogno idrico di oltre 4 milioni di persone. Questo impatta anche sulle performance del servizio: secondo gli ultimi dati Istat, la media italiana di famiglie che presentano irregolarità nel servizio idrico è del 9% ed è tre volte più alta in Sicilia (27%). Nella Regione si registra infatti un’interruzione media del servizio di 4,5 giorni all’anno, rispetto ad una media nazionale del 2,5. Le irregolarità nel servizio comportano a loro volta diversi livelli di soddisfazione da parte delle famiglie: in Sicilia solo il 68% delle famiglie si dichiara molto o abbastanza soddisfatto della qualità del servizio idrico, quasi 20 punti percentuali in meno rispetto alla media italiana (86,6%). Questo divario di performance tra i diversi territori italiani è in gran parte attribuibile a una governance frammentata del ciclo idrico, con un numero limitato di gestori industriali e una pervasiva presenza di enti locali soprattutto nel Sud. Nelle Regioni del Sud, il 24% (rispetto al 2% del Nord e del Centro del Paese) degli affidamenti del servizio idrico integrato sono in economia, ossia direttamente gestiti da enti locali che non hanno la massa critica necessaria per sostenere gli investimenti per colmare il gap infrastrutturale. Le gestioni in economia sono infatti meno efficienti nel mobilitare gli investimenti, con una media di 8 Euro investiti per abitante nel 2019, rispetto a una media nazionale di 46 Euro per abitante nello stesso anno. Nella sola Regione Sicilia, si registrano 257 gestioni del servizio in economia, direttamente affidate a enti locali”.
Quali sono gli investimenti che la Regione può e deve attuare per rimediare? Ritenete che le risorse messe a disposizione tramite il Pnrr possano essere considerate sufficienti per risolvere il problema?
“Il Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) può sicuramente offrire un contributo significativo all’ammodernamento infrastrutturale della Regione e alla creazione di una filiera dell’acqua efficiente sul territorio. La seconda missione del Pnrr, la ‘Rivoluzione Verde’, contiene una componente specifica dedicata alla tutela del territorio e della risorsa idrica: circa 7,8 miliardi di euro al 2026, pari a 1,3 miliardi di Euro all’anno, sono direttamente riconducibili all’acqua su scala nazionale, con diverse attività previste (gestione del rischio alluvionale e idrogeologico, sicurezza dell’approvvigionamento idrico, riduzione delle perdite, monitoraggio e previsione dei cambiamenti climatici, ecc.). Secondo le analisi della Community Valore Acqua per l’Italia di The European House – Ambrosetti, si tratta purtroppo di risorse non sufficienti per colmare il gap infrastrutturale attuale. Per raggiungere un livello minimo di investimenti atti a garantire una copertura delle attuali criticità sarebbero necessarie risorse aggiuntive pari a circa 4 miliardi di euro all’anno (3 volte in più di quanto attualmente stanziato dal Pnrr). A titolo di esempio, abbiamo calcolato che i 4,4 miliardi di euro allocati dal Pnrr per il servizio idrico, equivalenti a 730 milioni di euro addizionali all’anno, sono solo il 20% dell’ammontare necessario per allinearsi alla media europea degli investimenti (equivalente a 3,6 miliardi di euro addizionali all’anno). Analogamente, il Pnrr prevede 3 miliardi di euro per la lotta al cambiamento climatico, pari a circa 500 milioni di euro addizionali l’anno, mentre l’ammontare richiesto dalle Regioni per far fronte ai danni causati da calamità naturali è stato di 1,6 miliardi di Euro solo nel 2019 (un importo destinato a crescere nei prossimi anni)”