Invecchiamento della società, fragilità degli anziani in quanto fascia più debole della popolazione: problematica attualissima che investe queste persone sia in relazione alla specifica vulnerabilità personale legata alla pandemia, sia a una debolezza medica collegata alla classica condizione senile della demenza.
Come si presenta la demenza? Quali le terapie e quali le specifiche difficoltà di cura in tempi di pandemia? Quale l’efficacia dei vaccini anti Covid-19 in questa fascia di età?
Lo abbiamo chiesto a Katia Carpi, medico esponente della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG), al fine di inquadrare la situazione clinica attuale e le prospettive aggiornate in termini di cura.
Dottoressa Carpi, parlando di anziani e morbo di Alzheimer, ci può delineare le possibilità di cura oggi, nonché i fattori di rischio in età giovanile?
“Certamente. Sebbene i ricercatori siano da tempo alla ricerca di una terapia specifica, attualmente la malattia di Alzheimer non è guaribile. Esistono tuttavia specifici farmaci che possono migliorare alcuni sintomi cognitivi, comportamentali e funzionali, come gli inibitori della acetilcolinesterasi (efficaci nelle prime fasi della malattia).
Accanto alla terapia farmacologica, per il benessere del paziente sono importanti le terapie cognitivo – comportamentali e il sostegno alle famiglie. Per quanto riguarda i fattori di rischio del morbo di Alzheimer giovanile esiste certamente una predisposizione genetica ed è stata inoltre individuata una correlazione diretta tra il rischio di sviluppare la malattia e la presenza di un gene, l’APOE4,che causa un’aumentata produzione di sostanza amiloide, coinvolta nello sviluppo di malattia di Alzheimer. E’ poi importante ricordare che un’alimentazione poco sana e la scarsa attività fisica sono tutti fattori che possono aumentare il rischio di sviluppare demenza”.
In questo periodo di restrizioni ha riscontrato difficoltà di accesso ai servizi sanitari per i malati di demenza non positivi al covid-19?
“Sì, certamente, anche se questo problema rientra in un quadro generalizzato di calo delle prestazioni sanitarie da quando è iniziata l’emergenza sanitaria Covid – 19 correlata. Peraltro, le persone affette da demenza sono soggetti fragili, per i quali l’allontanamento dai luoghi e dai volti familiari causa spesso paura e quasi sempre peggioramento dei disturbi del comportamento, per contenere i quali è necessaria la presenza di un volto e di una voce conosciuta.
Ecco perché l’isolamento, nel caso invece di documentata infezione da Coronavirus, è particolarmente devastante per la persona con demenza”.
Parlando sempre di anziani, secondo lei quanto risultano efficaci i vaccini anti Covid-19 adesso disponibili, in particolare sulle varianti?
“I vaccini stanno dimostrando la loro piena efficacia: infatti, nel trimestre Gennaio – Marzo 2021, la mortalità nelle RSA lombarde è tornata nella media del triennio 2017/2019 e questo, dopo la strage provocata dal Covid -19 nell’ultimo anno, la dice lunga sulla reale efficacia del vaccino. A mio avviso, i vaccini sono efficaci e sicuri.
Per quanto riguarda le varianti, al momento i vaccini sembrano essere sicuramente efficaci sulla variante inglese (la più diffusa in Italia), mentre si dovrà attendere ancora qualche tempo per valutare la piena efficacia sulle altre varianti. Tengo molto a sottolineare che è il SARS COV-2 ad essere pericoloso, non il vaccino!”.
Ritiene gli anziani una categoria prioritaria per la somministrazione dei vaccini anti Covid-19 rispetto ai giovani e a partire da quale età?
“Certamente, gli anziani appartengono a una categoria di soggetti fragili e, come tali, devono essere protetti il prima possibile con il vaccino: il vaccino è l’unico strumento di tutela che abbiamo. L’efficacia della campagna vaccinale sulla popolazione anziana è stata d’altra parte evidenziata di recente dal presidente dell’ISS, dott.
Silvio Brusaferro, che ha sottolineato il calo dell’età media dei contagi e la costante decrescita dei contagi nella popolazione anziana. Per quanto riguarda l’età, l’anziano è definito tale dopo i 75 anni, ma la presenza di gravi patologie associate, non rara in queste persone, abbassa la soglia d’età in cui urge una vaccinazione precoce”.
Angela Ganci