È inutile riepilogare una storia senza fine riguardante le acciaierie di Taranto, che hanno cambiato spesso padrone, passando dal privato al pubblico e viceversa.
Il guaio di quello stabilimento industriale è che è fortemente inquinante, ma nel corso dei decenni le proprietà, ripetiamo, pubbliche e private, non hanno mai messo in atto un piano serio per trasformarlo in uno stabilimento sostenibile.
Ogni volta, le diverse proprietà si sono nascoste dietro la giusta esigenza delle famiglie tarantine, che, fra dipendenti diretti e indotto, riguarda qualche decina di migliaia di persone, quindi un pilastro fondamentale per l’economia di quella Città, con la conseguenza che il piano di trasformazione non è stato mai attuato.
È intervenuta anche la magistratura con sequestri successivi, poi superati da norme e altri espedienti che hanno fatto prolungare la vita del vecchio stabilimento senza procedere alla sua radicale trasformazione necessaria.
Frattanto, la produzione di acciaio è calata nonostante vi sia un solido mercato con la relativa richiesta di prodotti.
Frattanto, lo stabilimento di Piombino è invece in espansione, tanto che Danieli e Metinvest hanno pronti due miliardi per il suo rilancio.
Sorge qui il sospetto che ancora una volta si favorisca l’acciaio del settentrione e si lasci per strada quello del sud, cioè quello di Taranto. Ma forse la nostra è un’illazione e speriamo sarà smentita da chi deve gestire.
Il ministro del Mimit, Adolfo Urso, sta facendo l’impossibile per risolvere la questione, ma la proprietà privata, l’indiana ArcelorMittal, è altalenante: in un certo momento si dichiara disponibile di cedere le proprie quote, poi riapre il dialogo trattando, ma non si capisce bene che cosa abbia veramente intenzione di fare. Nel frattempo, in India, investe decine di miliardi in nuovi stabilimenti, trovando nella propria patria evidentemente elementi più favorevoli di quelli che vi sono a Taranto, ove, ripetiamo, la questione di fondo è il piano di ristrutturazione dello stabilimento affinché diventi meno inquinante.
Lo Stato ha già investito una quota di minoranza pari al quaranta per cento, ma non sa se sia opportuno acquisire la quota del socio privato e quindi gestire con un normale consiglio di amministrazione la società, oppure spingere lo stesso socio privato a tornare sui propri passi offrendo condizioni interessanti.
Ma al di là di queste schermaglie senza fine e a cui invece bisognerebbe mettere un punto, la questione di fondo rimane la necessità del cospicuo investimento per trasformare l’intero stabilimento, il che, probabilmente, comporterebbe anche il fermo temporaneo di alcuni altiforni o forse di tutti, il che avrebbe un costo per lo Stato in quanto dovrebbe sopportare la cassa integrazione per i dipendenti, un abbassamento del loro tenore di vita perché l’assegno di cassa integrazione è parecchio inferiore allo stipendio e la necessità di un forte investimento, appunto, per tutta l’opera di bonifica del territorio e di innovazione del macchinario per il processo produttivo.
Tutto quello che scriviamo sembra ovvio, ma non è semplice perché il groviglio di interessi è tale che si è stratificato e appesantito nel corso di questi decenni. Ora è però giunto il momento di arrivare a una conclusione di questo tira e molla perché non solo danneggia quella Città e tutto il territorio pugliese, ma danneggia anche l’immagine dell’Italia che è stata sempre un Paese ad alta produzione di acciaio, che, tolto Taranto, rimane esclusivamente nel nord.
Si tratta quindi di arrivare a una conclusione operativa, dentro o fuori il soglio privato, e poi al piano di rilancio dell’impianto e, successivamente, magari, quando questo dovesse funzionare, metterlo di nuovo sul mercato per farlo acquisire dalla proprietà privata. Un po’ quello che è stato fatto con Ita Airways, che seppure sia costato al contribuente italiano diverse centinaia di milioni di perdita all’anno, pare che oggi si sposi felicemente con Lufthansa e quindi facendo uscire la proprietà pubblica da un altro settore che ha causato notevoli danni.
Ci auguriamo che ciò accada anche per Taranto, al più presto.