Editoriale

L’assistenzialismo è un metadone sociale

La pochezza del nostro ceto politico degli ultimi trent’anni ha portato il nostro Paese in una condizione di stasi senza precedenti, anzi in forte contrasto con la turbinosa crescita che vi fu dal 1945 in avanti. Da quell’anno l’Italia semidistrutta e il suo popolo cominciarono a camminare ad alta velocità, senza fermarsi, adottando ogni mezzo per crescere e ricostruire il Paese e ignorando fatica, sacrifici, sudore. Solo così oggi abbiamo un Paese ricostruito, nonostante via via la qualità della sua classe istituzionale sia andata degradandosi.

Un ceto politico scadente non ha la forza morale di adottare provvedimenti equi, che necessariamente scontentano le lobbies – le parti più aggressive, potenti e prepotenti – e quindi cede su tutta la linea.
Non è che questo ceto politico abbia cercato di capire i veri interessi di prospettiva dei cittadini, ma piuttosto come ottenere il consenso di una parte di essi per governare, spesso senza vincere le elezioni.

Cosicché si è esteso l’assistenzialismo con continui provvedimenti di distribuzione di risorse a questo o a quel gruppo, tanto che ai nostri giorni questi strumenti distributivi sono diventati oltre un centinaio.
Sia ben chiaro, non stiamo discutendo del giusto soccorso che bisogna dare alle fasce più deboli della popolazione, esclusivamente formata da fragili, settantenni, ammalati, disabili ed altri; questo è doveroso. Come doverosa è stata l’istituzione dell’assegno unico per i figli, che vengono così sostenuti dallo Stato dal settimo mese di gestazione fino ai ventuno anni.

Contestiamo invece tutti quei sussidi a pioggia che hanno indicazioni di pura forma e non di sostegno.
È vero anche che uno strumento di sostegno come la cassa integrazione sia stato necessario in molti casi, però se ne è abusato senza ritegno, per esempio nel caso dei dipendenti di Alitalia (migliaia) che sono andati in cassa integrazione a stipendio pieno: inaudito!!!
L’effetto più dannoso di questa situazione è che è stata alimentata la furbizia di tanti cattivi cittadini e cittadine, i quali hanno approfittato di questo lassismo per trarre vantaggi egoistici.

In effetti, la nostra popolazione può dividersi in tre grandi categorie: una prima che lavora – molto nel privato, di meno nel pubblico – e che comunque paga imposte e contributi, trattenuti a monte sugli stipendi; un’altra parte, i cinque milioni di partite Iva ove si annida l’evasione; e una terza parte di parassiti che non vuole lavorare, ma che riceve regolarmente un sussidio. Anzi, questi quando lavorano, vogliono essere pagati in nero, alimentando così evasione e corruzione.

Nel 2021 i nuclei familiari che hanno ricevuto il sussidio del Reddito di cittadinanza sono stati 1.737.638, per un totale di 3.891.003 persone assistite con un assegno medio mensile di 546,44 euro. Tutti costoro avevano diritto all’assegno? No, perché l’ufficio dell’Inps lo ha revocato a ben 623 mila persone.
Da questo emerge come l’assistenzialismo sia una forma di droga e chi lo riceve diventa dipendente da esso.

Chi paga per tutto questo? “Pantalone”, si diceva in una famosa commedia di Carlo Goldoni, L’uomo prudente.
Perché si verifica questa estesa forma deprecabile? L’abbiamo già scritto: perché il ceto politico cerca di accaparrare consensi a qualunque costo e per conseguenza non mette in atto il primo strumento di supporto, cioé il controllo preventivo e successivo.

Ora, ci si chiederà, lo Stato ed i suoi organi periferici sono in condizione di effettuare tali controlli, ripetiamo, preventivi e successivi? A noi non sembra perché tutta la macchina burocratica è basata solo su atti formali, che continuano ad avere forma cartacea dal momento che la digitalizzazione viene fortemente osteggiata dai burocrati come una nemica, in quanto essa scoprirebbe gli altarini, cioé corruzione ed evasione, demerito, lentezza delle procedure e via enumerando.
La ricerca del consenso, costi quel che costi, è la causa principale del degrado dell’Italia, ma al momento non si vede un’inversione di rotta.