Universo donna

Attendibilità della persona offesa

Per consolidata giurisprudenza di legittimità, le dichiarazioni rese dalla persona offesa non richiedono necessariamente la presenza di elementi di riscontro esterno che ne confermino l’attendibilità, essendo le stesse, ex se idonee, ad essere valutate quali fonti di prova. La tematica della credibilità della persona offesa ripropone un’annosa questione, oggetto di una vasta casistica giudiziaria. Costituisce jus receptum, del resto, il principio secondo cui, ai fini della prova della colpevolezza dell’imputato in tema di violenza (in cui l’unica fonte di prova è costituita, il più delle volte, dalla sola parola della parte lesa), è sufficiente anche la valutazione di quanto riportato dalla persona offesa.

Tale principio di diritto deve evidentemente coniugarsi con quello secondo cui, è necessario che tali dichiarazioni, prima di essere poste a fondamento di una sentenza di condanna, siano sottoposte a una verifica pregnante e particolarmente rigorosa da parte dell’autorità giudiziaria, rispetto al vaglio avente ad oggetto la deposizione di un qualunque altro testimone, con conseguente obbligo del giudice di motivare in merito all’attendibilità intrinseca del racconto e alla credibilità soggettiva del dichiarante, specie se costituitosi parte civile e rivelatosi, come tale, portatore di un interesse economico rispetto agli esiti del processo.

È pur vero, però, che secondo il libero convincimento del giudice, sia innegabile che ogniqualvolta le dichiarazioni concernano, vicende inserite nel contesto di rapporti affettivi travagliati, che ben possono determinare l’insorgenza di ragioni di contrasto se non di vero rancore fra le parti in causa – come nella vicenda processuale di un’assistita S.A.M che si doleva di essere stata vittima, insieme alla figlia, del reato di maltrattamenti ad opera del marito – la valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni medesime, laddove queste costituiscano la sola fonte di prova di quanto in esse rappresentato, non può che essere condotta con il dovuto rigore al fine di escludere che l’interesse ad accusare, fisiologicamente connaturato nella vittima di un delitto che legittimamente vuole ottenere la punizione dell’autore dello stesso, trasmodi nel diverso ed ultroneo interesse a punire il responsabile di sofferenze provocate da convivenze mal tollerate o drasticamente interrotte.

Nel caso di specie, in sede di denuncia la denunciante asseriva di essere venuta a conoscenza della relazione extraconiugale dell’indagato, dopo aver letto alcuni messaggi nel telefono, e ascoltato delle conversazioni tra questo e la presunta amante e che dopo la succitata vicenda reiterate sarebbero state le condotte di violenza fisica sessuale e verbale subite dalla stessa ad opera del marito, molte delle quali in presenza dei figli della coppia. Il giudice ha disposto l’archiviazione del procedimento penale scaturente dalla denuncia proposta, fondando la sua decisione sulla forte conflittualità che traspariva dalle affermazioni della S.A.M., tenuto conto del suo narrato animato dal profondo astio e spirito di rivalsa emerso, ragion per cui tali fattori impedivano di attribuire alle dichiarazioni della medesima piena e autonoma valenza probatoria, essendo tra l’altro prive di adeguati elementi di riscontro ricavabili aliunde, segnatamente da fonti di prova esterne ed estranee alla vicenda in oggetto.