Editoriale

Attuare per tutte l’autonomia delle Regioni

Com’è noto in Italia vi sono cinque Regioni a statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige), poi vi sono quindici Regioni a statuto ordinario istituite con l’articolo 116, terzo comma della Costituzione e con legge ordinaria n.281 del 1970. Già questa distinzione fra le prime cinque e le ultime ordinarie è una discriminazione inaccettabile in una Comunità.
Una nazione dovrebbe essere formata da soggetti istituzionali che hanno pari diritti e doveri. Quindi, tutte le Regioni dovrebbero avere gli stessi compiti, mentre come nel caso in esame, alcune hanno privilegi. L’articolo 116 della Costituzione ha istituito le Regioni a Statuto speciale mentre l’articolo 117 ha stabilito la legislazione esclusiva dello Stato in svariate materie. Per altre vi è la cosiddetta legislazione concorrente, vale a dire che le discipline devono essere concertate tra Stato e Regione.
L’articolo 118 della Costituzione ha poi affermato il principio della sussidiarietà secondo il quale le cellule più importanti del sistema istituzionale sono i Comuni; le Province devono intervenire quando essi non funzionano; le Regioni devono intervenire a supporto delle Province; lo Stato deve intervenire a supporto delle Regioni. Una catena chiarissima che però è poco utilizzata.


Il 22 ottobre 2017 sono stati svolti due referendum consultivi in Veneto e in Lombardia per attivare un procedimento che consenta di ottenere l’attribuzione di varie materie alle stesse Regioni. L’Emilia si è accodata con una dichiarazione di intenti.
A questo punto tocca a Governo e Parlamento stabilire se accogliere la richiesta delle tre Regioni e concordare con esse quali attribuzioni legislative dar loro. Lombardia e Veneto ne hanno richieste oltre un centinaio. Se così fosse accordato, di fatto, quelle nuove Regioni autonome avrebbero più prerogative delle cinque Regioni a statuto speciale.
L’attuale duello fra le tre Regioni e il Governo non riguarda tanto la questione dell’autonomia, bensì quali materie trasferire dallo Stato. Su queste scelte le controversie saranno innumerevoli, perché insieme al trasferimento delle attribuzioni vi è in parallelo il trasferimento delle relative risorse.
La questione non è di forma ma di sostanza, e cioè verte sull’amministrazione di risorse pubbliche, in atto dello Stato e dopo delle Regioni.

I presidenti delle tre Regioni, che chiedono con forza il provvedimento di legge, che trasferisca loro le competenze legislative, affermano che il quadro nazionale rispetto alle Regioni del Sud non cambierebbe, perchè lo Stato trasferirebbe attribuzioni e risorse, con la conseguenza che l’operazione sarebbe neutra.
Infatti se ciò che fa lo Stato per cui spende determinate cifre, viene trasferito alle Regioni con le stesse cifre, non vi è aggravio per l’erario.
E allora perché si elevano alte le proteste delle Regioni del Sud? Forse perché in atto molte risorse non vengono spese per inefficienze delle stesse mentre le tre regioni del Nord, essendo molto efficienti, spenderanno sino all’ultimo euro.
Vi sarebbe un trasferimento di ricchezza, è vero, però in base a meriti e demeriti. Dunque l’iniziativa va sostenuta perché non è più possibile che nel nostro Paese in nome dell’equità si premi l’inefficienza e l’incapacità di amministrare il denaro pubblico.


La questione investe tutta la Pubblica amministrazione che non funziona, sia delle istituzioni nazionali che in quelle regionali e locali. Mentre però in queste ultime le Regioni che funzionano riescono a spendere bene il denaro, in quelle che non funzionano, segnatamente al Sud, il denaro pubblico viene usato per alimentare i tre cancri del Paese: mafia, evasione, corruzione.
Bisogna snidare gli incompetenti, bisogna cacciarli indipendentemente da dove si trovino.
Noi auspicheremmo l’abolizione della specialità delle cinque Regioni e l’istituzione invece di una uguale forma di autonomia come quella richiesta dalle tre Regioni del Nord. Insomma, una riforma costituzionale all’insegna dell’equità sarebbe opportuna per evitare le attuali discrepanze fra una Regione e l’altra.
La Sicilia col suo statuto approvato nel 1946 ed entrato in vigore con la Costituzione il 1° gennaio 1948 è l’esempio di una autonomia che ha danneggiato i cittadini piuttosto che emanciparli. Ecco perché sarebbe opportuno che questa specialità venisse cassata.