La Warner Bros. Discovery, il colosso americano, è concessionaria del canale numero nove della televisione italiana.
In sordina, il suo amministratore delegato, Alessandro Araimo, di poco più di cinquant’anni, ha cominciato a scalare lo share ed è riuscito ad arrivare al dieci per cento, dato medio delle ventiquattr’ore, ponendo così quella rete al terzo posto dopo Rai e Mediaset, dopo aver superato le altre nell’apposita graduatoria.
La crescita è dovuta a una programmazione efficace che ha scalato i gradini uno dopo l’altro con un andamento normale, nel quale ha spiccato nel segmento dell’intrattenimento il programma di Maurizio Crozza, intelligente, ironico, che ha colpito e continua a colpire i/le telespettatori/trici.
Poi, però, vi è stato il salto di qualità consistente nell’acquisire i personaggi televisivamente noti e, quindi, abbiamo assistito al trasloco di Fabio Fazio e di Luciana Littizzetto, con il risultato che si sono trascinati dietro quasi tutti/e i/le telespettatori/trici che li seguivano fedelmente su Rai 3.
In questo quadro di acquisizione è seguito quello di Bianca Berlinguer da parte di Mediaset, col suo programma È sempre Cartabianca, cui inoltre è stato affidato uno spazio preserale che si chiama Prima di domani.
Tornando a Discovery, il colpo più grosso è stato quello dell’acquisizione di Amadeus, alias Amedeo Umberto Rita Sebastiani, a colpi di decine di milioni di euro, il quale nella prossima stagione cercherà di portarsi i/le suoi/e affezionati/e telespettatori/trici sia di Affari tuoi, la seguitissima trasmissione Rai, che quelli/e che lo hanno seguito nei suoi cinque Sanremo.
La Rai è stata forse colta di sorpresa per questo “spopolamento”, ma ha subito serrato i ranghi per evitare che altri personaggi di primo piano, come Rosario Fiorello, possano traslocare.
I personaggi elencati hanno detto che nella Rai non vi era molta libertà di movimento o di espressione di pensiero. Non sappiamo se sia vero. Tuttavia, dobbiamo dire che non sembra che i vari personaggi subiscano censure, né limitazioni di vario genere.
Le trasmissioni radiotelevisive che una volta monopolizzavano la comunicazione nei confronti dei/delle cittadini/e, vanno al di là dello svago o del divertimento perché, anche indirettamente, colpiscono il subconscio di radio e telespettatori/trici.
È vero che nel versante delle telecomunicazioni hanno assunto un ruolo primario i siti web, anche perché essi si sono moltiplicati in maniera considerevole, per cui si può trovare di tutto al loro interno. Ma è anche vero che i programmi radiotelevisivi sono ben congegnati e ben mirati.
Intendiamoci, non ci riferiamo solo alle reti nazionali, ma anche a quel nugolo di televisioni locali che ha una forte presa sui/sulle cittadini/e e che si è professionalizzato sempre di più, per cui offre programmi di buon livello sia nel versante dell’informazione che in quello dell’intrattenimento.
Probabilmente le televisioni locali dovrebbero avere la capacità di consorziarsi e formare reti regionali, le quali a loro volta dovrebbero confluire in una rete nazionale.
Quanto precede non è di facile realizzazione perché ogni editore, piccolo o medio, ha le sue ragioni, difende il suo territorio e quindi ha difficoltà a confluire in un organismo collettivo. Però la dimensione nel settore è fondamentale: più essa è piccola e minori capacità economiche ha.
Tornando alla Rai, è vero che essa insegue l’audience, tuttavia, non deve dimenticare che è un servizio pubblico per effetto della convenzione che firma con i vari Governi.
Vi è da aggiungere in questo quadro che circa due terzi del bilancio sono finanziati dai canoni che pagano gli/le abbonati/e, per cui l’ente del servizio pubblico dovrebbe anche preoccuparsi di potenziare i servizi culturali e di informazione generale e specifica, anche cedendo qualche punto di share.
Per far questo – e quindi incassare un po’ meno pubblicità – dovrebbe fare una spending review al proprio interno, per tagliare molte spese non produttive sotto il profilo economico e culturale.