ROMA – Come è noto, l’articolo 12, comma 7, della Legge 212 del 2000 (Statuto di diritti del Contribuente), stabilisce che “Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori.
L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza.
L’intento del Legislatore, evidentemente, è quello che prima che venga emesso un avviso di accertamento, e salvi i casi di particolare urgenza (urgenza che non è ravvisabile quando si tratta di evitare che l’ufficio notifichi l’avviso dopo il trascorrere del periodo di decadenza), senza che il contribuente abbia fatto conoscere le sue osservazioni sulle contestazioni ricevute con il processo verbale di constatazione.
Spesso, infatti, notizie e informazioni fornite dal contribuente, praticamente realizzando il famoso “contraddittorio preventivo”, può evitare lavoro inutile per l’ufficio ed inutile contenzioso.
Su questo evidentemente tutti sono d’accordo.
Il problema nasce tuttavia che la citata legge 212/2000 comma 7 dell’articolo 12, dice che il contribuente può comunicare osservazioni entro sessanta giorni dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo.
Una frase, questa, che, anche dopo numerosa giurisprudenza, esclude l’applicazione della citata norma (il divieto di emettere l’avviso di accertamento prima dello scadere dei sessanta giorni) in caso di semplice controllo in ufficio.
Per la verità, anche su questo punto ci sono state grosse controversie, ma la giurisprudenza è stata costante, nel senso di escluderne l’applicabilità. Al contrario, specialmente in Sicilia, l’Agenzia delle Entrate ha sempre incentivato gli uffici di tenere sempre ed in qualunque momento in debita considerazione le osservazioni del contribuente, in qualsiasi modo indagato fiscalmente.
Recentemente, tuttavia, la Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sulla questione (sentenza n. 10352 del 31 marzo 2022)
Una CTR, infatti, ha sostenuto che la necessità di tenere conto del citato termine di 60 giorni prima della notifica dell’avviso di accertamento concerne il “verbale relativo a operazioni di ‘verifica’, ipotesi diversa da quella oggetto della controversia nella quale il verbale riguardava il ‘riscontro di richiesta di esibizione di atti e documenti’ prodromici non solo all’attività di accertamento ma alla stessa attività di verifica”.
In effetti, la problematica sull’applicabilità del termine di cui al 7^ comma dell’articolo 12 della Legge 2112/2000 esiste sempre e, fino a quando non sarà legislativamente chiarito, continuerà ad esistere.
Qui, però, la Cassazione, con la citata sentenza n. 10352 del 31 marzo 2022, si è espressa abbastanza chiaramente.
In pratica ha affermato che il discrimine tra possibilità o meno di applicare il menzionato termine dilatorio previsto dal ripetuto settimo comma dell’articolo 12 sta nell’esistenza e “decorre da tutte le possibili tipologie di verbali che concludono le operazioni di accesso, verifica o ispezione, indipendentemente dal loro contenuto e denominazione formale, essendo finalizzato a garantire il contraddittorio anche a seguito di un verbale meramente istruttorio e descrittivo”.
Conseguentemente, sempre secondo i Supremi Giudici, “si applica anche ai cosiddetti “ accessi cd. istantanei, ossia quelli volti alla sola acquisizione della documentazione posta a fondamento dell’accertamento, sicché, anche in detta ipotesi, è illegittimo, ove non ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’atto impositivo emesso “ante tempus”.
Speriamo, comunque, che la questione trovi veloce soluzione in tutti i casi dubbi, senza mai dimenticare che il contraddittorio preventivo rappresenta, anche secondo l’Agenzia delle entrate, una dei più validi elementi che, oltre ad evitare controversie inutili, fa aumentare la compliance, ossia la fiducia tra fisco e contribuente. Una fiducia che, specialmente con le difficoltà di incontri personali tra funzionari e cittadini, dovuti sia alla pandemia che alla carenza di personale, attualmente pare trovarsi ai minimi termini.