Il Sismografo

B come Benevolenza

Scrive Hannah Arendt:
Quel che ora penso veramente è che il male non è mai radicale, ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla superficie come un fungo. Esso sfida, come ho detto, il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua banalità. Solo il bene è profondo e può essere radicale.

In questo celebre passaggio, Arendt rimarca la profondità e la radicalità del bene. Tuttavia, l’espressione “fare del bene”, la più alta delle esperienze umane, viene sovente ridotta a sentimentalismo retorico o, peggio, a pia illusione di qualche anima bella.

Eppure, come già sosteneva un pensatore del calibro di David Hume:
Se consideriamo la questione bene, troveremo che l’ipotesi che ammette una benevolenza disinteressata, distinta dall’amore di sé, ha realmente in sé maggiore semplicità ed è più conforme all’analogia di natura di quella che pretende di risolvere ogni sentimento di amicizia e di umanità nell’amore di sé.

Ora, che la benevolenza sia più conforme alla nostra natura rispetto all’egoismo, è tutto da dimostrare, resta comunque la sua possibilità di farsi esperienza di vita, radicale e profonda. La benevolenza non è un dato acquisto per sempre, è, come afferma il filosofo Salvatore Natoli, frutto di esercizio, di lavoro su sé stessi.

La benevolenza è dialetticamente legata all’orgoglio. L’orgoglio, infatti, rispetto a una certa sterile retorica che lo nega, è una virtù. E’ la consapevolezza, secondo misura, delle nostre qualità, del fatto che abbiamo capacità particolari per incidere nella vita, per lasciare un segno riconosciuto, tangibile: è benevolenza verso sé stessi.

La superbia e l’arroganza, di contro, nascono quando pensiamo di avere qualità che, in realtà, non possediamo, il cui mancato riscontro ci rende rancorosi, ostili verso gli altri. L’egoismo, dal canto suo, consiste nel pretendere di essere autosufficienti, di concentrare la vita su noi stessi, dimentichi che siamo esseri relazionali.

Dunque, una stima ben fondata di noi stessi consiste nella giusta misura con cui riconosciamo il nostro talento, e cosa ne facciamo di esso, da quanta forza di condivisione siamo abitati. La benevolenza è condivisione del giusto amore di sé, capace di contemplare anche il distacco da sé stessi e dalla propria autoreferenzialità, apertura agli altri a partire dalla nostra irripetibile vocazione.

Io uomo, a partire dalle mie qualità, so reggere la tensione tra amore di me stesso e amore per gli altri: anche su questo punto si fonda un sano equilibrio. Come uomo so, quindi, esercitare l’arte sartoriale, poiché implica finissima qualità di tessitura, di farmi apprezzare per ciò che creo e ciò che, nel contempo, condivido per attivare tutto ciò che promuove la bellezza, la vita. La benevolenza, dunque, è una capacità effusiva, generativa, donativa, a partire dal giusto, orgoglioso riconoscimento del nostro singolo valore, nel segno della relazione.