Quasi 1,3 milioni di bambini e adolescenti vivono in condizioni di povertà assoluta, pari al 14% del totale dei minori italiani. A riferirlo sono dati ISTAT che confermano come la povertà minorile abbia raggiunto livelli allarmanti nel Paese. Tradotto: un numero crescente di famiglie non riesce più a soddisfare i bisogni essenziali dei propri figli. Si parla di alimentazione adeguata, istruzione e anche cure mediche.
Un dato ancora più preoccupante è che non esiste una significativa differenza tra le famiglie dei lavoratori e quelle di coloro che sono in cerca di occupazione: il 16,5% dei minori poveri è figlio di operai o assimilati, mentre il 20,7% appartiene a famiglie di disoccupati. Chi lavora, dunque, non guadagna a sufficienza per consentire ai propri figli un accesso adeguato ai bisogni dell’età.
Tra le causa, l’inflazione, che insieme alla stagnazione dei salari e all’insicurezza lavorativa ha reso più difficile per molte famiglie mantenere un livello di vita dignitoso, anche nel contesto di una ripresa occupazionale. Un dato che, incrociato con l’ultimo report pubblicato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef), mostra il divario sempre più amplificato tra il Nord e il Sud.
Il fenomeno della crescita esponenziale della povertà minorile stride con i dati del Mef riferiti all’anno d’imposta, che indicano un balzo deciso nella ricchezza degli italiani. Il reddito medio si è infatti attestato a 21.752 euro, cioè 1.007 euro in più dei 20.745 euro del 2021: l’aumento più forte da almeno 15 anni a questa parte (+4,85% su base annua).
Da sottolineare come, dal 2008 al 2022, il reddito medio è passato da 18.026 agli attuali 21.752, eppure il costo della vita cresce e la ricchezza pro capite non aumenta davvero per come raccontano le statistiche. Basti pensare che l’ultima ingente progressione (2021 su 2022) è stata erosa da un’inflazione che nell’ultimo rilevamento disponibile preso in analisi (2022, ndr) si è attestata all’8,1%. E se le regioni ricche diventano sempre più ricche, quelle povere restano inermi se non regrediscono. La Calabria la regione col reddito medio più basso; Sicilia quart’ultima.
L’inflazione ha determinato un impatto devastante sulle famiglie già vulnerabili. Sebbene nel 2023 si sia registrato un aumento degli occupati del 2,1%, la crescita incontrollata dei prezzi ha annullato gli effetti positivi sull’economia familiare. Secondo l’ISTAT, oltre 2,2 milioni di famiglie vivono oggi in condizioni di povertà assoluta.
Se si considera il numero di individui poveri, il dato sale a circa 5,7 milioni, pari al 9,7% della popolazione residente in Italia. Una persona su dieci, quindi, non riesce a mettere insieme il pranzo con la cena. Tra questi, i minori risultano particolarmente esposti: non solo soffrono la mancanza di beni materiali, ma anche le disuguaglianze nell’accesso all’istruzione e alle opportunità di crescita personale.
A pagare il prezzo più alto continuano a essere le famiglie del Mezzogiorno, dove l’incidenza della povertà assoluta è più elevata rispetto al resto del Paese. Al Sud la percentuale di poveri assoluti raggiunge il 10,2%. E non è un caso se i primi dieci comuni italiani per ricchezza pro capite siano tutti localizzati al settentrione. Così come la conseguenza naturale – stante ai dati Mef – è che le uniche regioni che muovono passi in avanti per la propria crescita, sono le regioni del Nord.
Se la Lombardia (25.698 euro pro capite) resta quella più ricca, la Calabria (16.108 euro) è la regione con i redditi più bassi del Paese. Nel contesto del Meridione, la Sicilia (17.286 euro) si distingue per una situazione particolarmente critica. L’Isola ha uno dei tassi di povertà minorile più alti del Paese, con quasi un quarto dei bambini e adolescenti che vivono in condizioni di disagio economico. Le famiglie siciliane non solo faticano a sostenere le spese quotidiane, ma sono spesso costrette a rinunciare a servizi essenziali per i propri figli, come la scuola a tempo pieno, il supporto educativo e le attività extracurriculari.
In Sicilia, i dati sulla povertà minorile sono drammatici. Nonostante gli sforzi per ridurre il tasso di disoccupazione, il mercato del lavoro rimane fragile e inadeguato a soddisfare le esigenze di una popolazione giovane e in crescita. Secondo l’ultimo rapporto dell’ISTAT, l’incidenza della povertà assoluta è in costante aumento, colpendo in particolare le famiglie numerose e quelle monoreddito. Questo fenomeno ha gravi ripercussioni non solo sulle condizioni di vita dei bambini, ma anche sul loro futuro educativo e lavorativo.
Il tutto in una regione che sarà soggetta a ingenti tagli da parte del Governo in tema di istruzione e sanità. Tutto in attesa dell’Autonomia differenziata che rischia di produrre una macelleria sociale per una realtà che fa fatica a immaginare il proprio futuro accostato al concetto di benessere.
Uno degli aspetti più preoccupanti della povertà in Sicilia riguarda l’abbandono scolastico, come QdS ha raccontato a più riprese. L’Isola registra tassi tra i più alti in Italia, con molti adolescenti che abbandonano la scuola per entrare precocemente nel mondo del lavoro. Questo trend è confermato anche da un’indagine condotta da Save the Children, secondo cui più di un adolescente siciliano su quattro (28,1%) ritiene che non terminerà gli studi e cercherà un impiego per aiutare la propria famiglia. Questo circolo vizioso perpetua la povertà intergenerazionale, limitando le possibilità di mobilità sociale e creando un divario sempre più ampio tra chi può permettersi di studiare e chi è costretto a rinunciare.
Se il Mezzogiorno rimane l’area più colpita, anche il Nord e il Centro Italia non sono esenti dal fenomeno della povertà minorile. Nel Nord-ovest, l’8% delle famiglie vive in condizioni di povertà assoluta, dato non troppo diverso dal Nord-est (7,9%). Parità (18,6% e 18%) in costante crescita anche per l’intensità della povertà nelle due aree, ovvero la misurazione di quanto poveri risultino davvero i poveri. Dati che dimostrano come la ricchezza delle metropoli si affranca dalla povertà dei piccoli centri di provincia anche al Nord.
Nel Centro Italia, il tasso di povertà assoluta è il più basso del Paese (6,7%), ma anche qui si osserva una crescente disuguaglianza sociale. Le famiglie con minori sono particolarmente vulnerabili, soprattutto a causa dell’aumento dei costi legati all’istruzione e ai servizi per l’infanzia. Questo crea una frattura all’interno della società, con i bambini provenienti da famiglie povere che hanno meno opportunità di successo rispetto ai loro coetanei più benestanti.
Analizzando le province siciliane rigorosamente in ordine alfabetico, nel rapporto del Ministero si evidenzia come ad Agrigento la ricchezza pro capite sia cresciuta di 932 euro (+4,9% sul 2021) toccando quota 20.101 euro a fronte di 35.262 contribuenti attivi. Una crescita simile si registra a Caltanissetta (+4,1% sul 2021) per un reddito pro capite di 18.983 euro. Si tratta in questo caso di un incremento di 751 euro a fronte di 36.785 contribuenti.
Pressoché analoghi i riferimenti per quanto riguarda Catania, con un reddito pro capite che si attesta a 19.843 euro, con un +4,2% rispetto all’anno precedente e un incremento di 793 euro a fronte di 164.375 contribuenti. A Enna la crescita è del 4,7% con 903 euro in più per persona, poco meno di 20mila euro pro capite con 17.580 contribuenti.
Cresce meno (+3,7%) ma cresce comunque il reddito anche a Messina, con 20.983 euro pro capite e una variazione di 748 euro rispetto all’anno precedente. Il tutto a fronte di 132.584 contribuenti. Per Palermo i dati sono in linea con le altre province siciliane: +4,2% sul 2021, 843 euro in più e un reddito di 20.828 euro a fronte di 363.413 contribuenti.
Ragusa (+4,7%) è una delle province che cresce maggiormente (+811 euro) arrivando a 18.116 euro medi di reddito pro capite rispetto a 51.467 lavoratori. Cresce poco meno Siracusa (+4,3%) con 19.904 euro pro capite e +824 euro sul 2021 per 73 mila contribuenti. Infine Trapani (+4,8%) con i suoi 34.573 contribuenti e un reddito pro capite di 18.320 euro, +842 sul 2021.
In questo panorama si evidenziano tutte le sperequazioni rispetto a centri come Portofino (GE – 90.610 euro), Lajatico (PI – 52.955 euro), Basiglio (MI – 49.524 euro) e finanche la stessa Milano, non a caso prima città italiana per reddito con una media di 35.282 euro. Quattro comuni tra i primi dieci per reddito più alto in Italia fanno parte della provincia milanese.
Il fenomeno della povertà minorile non ha solo conseguenze immediate, ma rischia di avere un impatto devastante sul futuro del Paese. I bambini e gli adolescenti che crescono in condizioni di deprivazione materiale sono più esposti a problemi di salute, a difficoltà scolastiche e, in molti casi, a fenomeni di devianza sociale. La mancanza di risorse non solo limita le loro possibilità di sviluppo personale, ma compromette anche la loro capacità di integrarsi pienamente nella società da adulti.
L’assenza di politiche efficaci per contrastare la povertà minorile rischia di creare una generazione di giovani privati delle opportunità necessarie per costruirsi un futuro dignitoso. Save the Children ha lanciato un appello affinché vengano adottate misure urgenti, come il potenziamento del tempo pieno nelle scuole, l’accesso gratuito ai servizi educativi e il sostegno alle famiglie più vulnerabili. Il rischio, altrimenti, è quello di una società sempre più divisa, in cui la povertà diventa una condizione ereditaria e difficilmente superabile.
La povertà minorile in Sicilia, e in generale in Italia, è una piaga sociale che richiede interventi immediati e strutturali. Le famiglie più fragili, specialmente nel Mezzogiorno, stanno pagando il prezzo più alto della crisi economica, e le conseguenze rischiano di compromettere l’intero futuro delle nuove generazioni.
Senza un cambiamento radicale nelle politiche sociali ed educative, il divario tra chi ha e chi non ha continuerà ad allargarsi, con effetti devastanti per la coesione sociale del Paese. Come tutte le statistiche dimostrano già da anni. E si resta in attesa che anche la politica se ne renda conto.