Economia

Banche, “disimpegno” che fa male alla Sicilia

Mimma Argurio, segretario regionale Fisac Cgil

La desertificazione degli istituti di credito è uno problema che attanaglia la Sicilia e riguarda in particolare i piccoli comuni. L’allarme (l’ennesimo) è stato lanciato da Mimma Argurio, segretaria generale della Fisac Cgil Sicilia, in occasione del X Congresso regionale del sindacato dei lavoratori del credito. Questi i dati: in Sicilia tra il 2015 e il 2021 la rete delle Agenzie sul territorio ha subito una contrazione del 34%, da 1.583 a 1.122 (dati Bankitalia). Su 391 comuni siciliani 119 sono sprovvisti di agenzie bancarie. Il personale si è ridotto del 21%, con 2.600 addetti in meno cui se ne sono aggiunti 525 nel 2021.

Segretaria Argurio, perché, secondo lei, la politica non è riuscita a contrastare la desertificazione bancaria che in Sicilia presenta numeri drammatici? Cosa avrebbe dovuto fare la politica per evitare questo “disimpegno” sul territorio?
“Sia la politica nazionale che quella regionale avrebbero dovuto fare di più. Il governo regionale doveva fare pressione sul governo nazionale ma anche l’Abi, l’Associazione delle banche, a livello nazionale dovrebbe comprendere questo indebolimento e farsi forte nei confronti della politica come abbiamo fatto noi, come sigle sindacali e come Fisac Cgil. È un’emorragia che si può bloccare solo attraverso un’unità d’intenti tra politica nazionale e regionale ma occorre anche la partecipazione della politica europea che assume un ruolo importante sul fronte delle banche”.

In che modo si possono supportare i piccoli comuni, che sono i più svantaggiati, anche per le difficoltà esistenti per gli abitanti nel raggiungere i grandi centri abitati?
“Un intento è quello di garantire, attraverso il rafforzamento delle poste, il percorso di avvicinamento ai piccoli comuni. Ma le poste non hanno lo stesso ruolo delle banche, offrono altri servizi. Penso comunque che al giorno d’oggi un apporto fondamentale può venire dagli strumenti digitali che però vengono utilizzati prevalentemente dai giovani mentre nelle aree interne vivono soprattutto le persone più anziane, maggiormente a rischio truffe, usura e riciclaggio. Nei piccoli comuni dovrebbero essere molto rafforzate le banche del credito cooperativo anche per offrire nuove possibilità occupazionali ai giovani e alle donne”.

Quali sono i rischi a cui i cittadini e il tessuto imprenditoriale sono esposti sotto il profilo dell’usura e dell’illegalità se viene a mancare un adeguato flusso di credito a famiglie e imprese?
“Se non c’è un controllo dei flussi e se la banca non torna ad essere impresa sociale e soprattutto a dare fiducia ai piccoli imprenditori e alle famiglie, in alcuni territori l’usura e il riciclaggio saranno ancora più forti. Dunque noi faremo una forte battaglia perché si esaurisca quest’emorragia. Dobbiamo dare senso e valore alla banca, che può essere ancora di più impresa sociale e sviluppo sostenibile. Le belle parole che dicono tutti gli amministratori delegati delle banche vanno poi coniugate nei territori alle necessità delle piccole imprese e delle famiglie. Dovrebbero fare uno sforzo in più in sinergia con le politiche nazionali, regionali, europee e locali come ho detto prima e con le organizzazioni sindacali. Occorre creare un’alleanza che finora non c’è stata”.

Gianfranco Torriero, vice direttore generale vicario dell’Associazione Bancaria Italiana (Abi)

Sulle problematiche evidenziate da Fisac Cgil Sicilia, abbiamo intervistato Gianfranco Torriero, vice direttore generale vicario dell’Associazione Bancaria Italiana (Abi).

Torriero, la Fisac Cgil Sicilia, in occasione del decimo congresso regionale, ha lanciato l’allarme sulla desertificazione degli istituti di credito chiamando in causa non solo il Governo regionale ma anche l’Abi: cosa risponde l’Associazione?
“L’Associazione Bancaria Italiana, proprio per il suo ruolo di associazione, non può dare indirizzi sulle scelte commerciali delle singole banche, ma può contribuire alle riflessioni con proprie analisi. Va in primo luogo rilevato che il tema della presenza degli sportelli in Italia deve considerare sia la dimensione quantitativa del fenomeno sia le determinanti che ne hanno influenzato negli ultimi trenta anni la loro diffusione. Negli ultimi trenta anni la diffusione degli sportelli bancari in Italia ha mostrato due fasi ben distinte. La prima fase è iniziata con la liberalizzazione degli anni Novanta del secolo scorso, che ha determinato l’apertura di nuovi sportelli bancari il cui numero ha mostrato una continua crescita. In particolare, tra il 1989 e la fine del 2008 gli sportelli in Italia sono passati da 15.665 a 34.139 sportelli, il valore massimo storico. Dopo quel picco, è iniziata la seconda fase, caratterizzata da una inversione della tendenza ventennale, con il numero degli sportelli che si è progressivamente ridotto: a fine settembre del 2022 risultavano 21.262 sportelli bancari, una cifra lontana dal picco del 2008 (-37,7%), ma ancora significativamente superiore a quella antecedente la liberalizzazione degli sportelli. Inoltre, l’evoluzione della presenza degli sportelli bancari in Italia presenta dinamiche simili agli altri Paesi europei.

Quali i fattori che hanno contribuito alla riduzione degli sportelli?
Sono tre i principali fattori che hanno influito sulla riduzione degli sportelli: innanzitutto le innovazioni tecnologiche. Il ricorso a nuove tecnologie ha progressivamente reso sempre più inefficiente e costoso lo svolgimento allo sportello di una serie di servizi bancari, tra cui le operazioni di incasso e pagamento. Parallelamente, si sono affermate diverse modalità di utilizzo dei servizi bancari. La conseguenza è stata una riduzione della quota di italiani che si recano fisicamente agli sportelli a vantaggio dei canali digitali. Nel 2021, secondo i dati dell’Osservatorio Abi Banche-Clienti, quasi due bancarizzati su tre (il 64%) utilizzavano l’Internet o il Mobile Banking: una percentuale più che doppia rispetto al 27% rilevato nel 2008. Il secondo fattore è rappresentato dagli effetti della regolamentazione. Le richieste di rafforzamento patrimoniale in seguito alla grande crisi internazionale del 2007-2008 si sono indirettamente tradotte in una compressione della redditività delle banche, chiamate a quel punto a intervenire anche sulle reti per contenere i costi e preservare la stabilità finanziaria. Infine, le tendenze socio-demografiche. Non vanno sottostimati i movimenti in atto da decenni, con significativi spostamenti di una parte della popolazione italiana dai centri meno popolati a quelli più densamente abitati, tanto che oggi più di un quarto dei Comuni italiani ha meno di mille abitanti. Tali cambiamenti hanno ridotto, specialmente nei piccoli Comuni, il numero di clienti degli sportelli bancari e giustificato la chiusura di alcuni sportelli, ma il loro effetto ha interessato anche servizi essenziali come scuole, caserme dei carabinieri e anche i presìdi sanitari di urgenza, che in molti centri non esistono più. Riprendendo anche recenti analisi svolte dall’Istat, sono auspicabili strategie pubbliche di sostegno sociale ed economico alle zone geograficamente svantaggiate e meno popolate. Da questo punto di vista, il Pnrr rappresenta una opportunità che va colta senza esitazioni”.

Dagli amministratori delle banche solo “belle parole”, dice ancora il sindacato: è corretto parlare di una desertificazione degli istituti di credito in Sicilia o lei ritiene che non ci sia stato un disimpegno delle banche sul nostro territorio?
“I numeri dimostrano che non c’è disimpegno delle banche sui territori, stanno cambiando le modalità con cui si svolge la relazione tra banca e cliente. Stanno cambiando le modalità di offerta e di utilizzo dei servizi bancari. I canali di contatto banca-cliente si sono fortemente accresciuti così come sono aumentate le transazioni effettuate, pur in presenza di una riduzione degli sportelli fisici. Inoltre, il quadro complessivo è estremamente diversificato anche tra le singole regioni. Ad esempio, la quota dei comuni senza sportelli proprio in Sicilia è del 34%, valore sensibilmente inferiore a quello medio che si registra nel Mezzogiorno e Isole (48,1%) e non distante dal dato medio del Centro-Nord (35,7%)”.