È stato messo in cantiere a Barcellona il più grande impianto di desalinizzazione d’Europa, che produrrà circa 200 milioni di litri al giorno, approvvigionando più o meno 4,5 milioni di persone.
Questo impianto serve a compensare la carenza d’acqua della capitale della Catalogna, in Spagna, dovuta alla siccità conseguente ai cambiamenti climatici.
Da tempo il Governo autonomo di quella Regione aveva in animo di risolvere in modo strutturale il problema dell’acqua, sia quella corrente che per attività industriali, agricole e altre e non potendo incidere, ovviamente, sulle condizioni meteorologiche, ha pensato di fare ricorso a quell’immenso serbatoio d’acqua che è il mare e che ricopre circa il settanta per cento di tutta la superficie terrestre.
Per desalinizzare le quantità che occorrono alla città catalana, il costo in euro per metro cubo è circa tre volte quello necessario per trattare le acque piovane, che poi si raccolgono nei bacini e si distribuiscono.
Dunque, il vero problema è il costo economico della desalinizzazione dell’acqua. Tale costo triplicato è dovuto a tutte le risorse necessarie agli impianti industriali e soprattutto all’utilizzo di quantità enormi di energia per il processo di desalinizzazione.
Dal che si deduce ancor di più quanto sia prezioso questo liquido, che ci serve per vivere e che è uno dei quattro elementi: terra, aria, acqua, fuoco.
La scelleratezza degli/delle amministratori/trici pubblici/che italiani/e e non solo, che hanno il dovere di portare l’acqua dei bacini, ove si raccolgono le pioggie, nei domicili di chi la utilizza, consiste nel fatto che le reti sono disperdenti. Cosicché, vi sono regioni, come la Sicilia, nelle quali le acque arrivano ai rubinetti nella misura del cinquanta per cento rispetto alla loro quantità di partenza dalla fonte; ciò significa che la metà si disperde lungo il tragitto, il che è un vero e proprio spreco, per il quale – come troppo spesso accade, soprattutto nel nostro Paese – non vi sono colpevoli e nessuno paga.
Ma intanto le popolazioni e le attività economiche soffrono sia per la carenza che per il costo dell’“oro blu”.
Ancora una volta sono chiamati in causa la Pubblica amministrazione, i Governi e le Giunte regionali.
La Pa nel nostro Paese dovrebbe essere utilizzata come strumento per mettere in atto i provvedimenti delle Istituzioni, ma così non avviene perché vi sono cause misteriose che impediscono la sua organizzazione e il suo buon funzionamento a tutti i livelli: nazionale, regionale e locale.
Un coacervo di meccanismi perversi che al posto del merito, della produttività e dell’efficienza, hanno i disvalori del demerito, dell’improduttività e dell’inefficienza.
Il peggio, come accennato, è che di questa situazione caotica nessuno viene addebitato/a delle relative responsabilità, con la conseguenza che l’andazzo continua senza remore e senza freni e a farne le spese sono ovviamente i/le cittadini/e, soprattutto quelli/e più deboli e più fragili.
Mentre Barcellona costruisce il più grande impianto di desalinizzazione d’Europa – come prima si scriveva – in Sicilia si continua a blaterare sul problema dell’acqua senza prendere iniziative.
La questione infrastrutturale è la più grave carenza del deficit economico del Mezzogiorno d’Italia perché, com’è noto, il fattore infrastrutturale aumenta la capacità di sviluppo socio-economico in quanto facilita la gestione degli impianti industriali e agricoli, diminuisce il costo delle tariffe pubbliche di energia, acqua e altri e rende più facile la vita dei/delle cittadini/e.
Affinché tutto funzioni occorrerebbe che i gestori della Cosa pubblica, cioè Governo, Giunte regionali e comunali fossero gestite da professionisti/e capaci di organizzare i loro Enti in maniera efficiente ed efficace, il che significa assegnare compiti precisi a ogni dirigente, i relativi cronoprogrammi per l’esecuzione di tali compiti e controlli ferrei, anche digitali, per verificare il raffronto fra obiettivi e risultati. Ovviamente obiettivi fissati da terzi, indipendenti e imparziali.
Tutto ciò sembra essere un racconto di favole e non della realtà. Almeno per il momento.