Doppia sfida per il governo Meloni: da una parte continuare a sostenere famiglie e imprese contro il caro energia, dall’altra rilanciare la stagione degli investimenti, sia pubblici che privati. Parola di Svimez, che ieri ha presentato alla Camera dei Deputati il Rapporto 2022, giunto ormai alla 49esima edizione.
Brutte, bruttissime notizie per il Sud: nel 2023 il prodotto interno lordo si contrarrà fino a -0,4%, mentre quello del Centro-Nord, pur rimanendo positivo a +0,8%, segnerà un forte rallentamento rispetto al 2022. Il dato medio italiano dovrebbe attestarsi invece intorno al +0,5%.
Questi numeri sono figli del “nuovo shock che – si legge nel Rapporto – ha cambiato il segno delle dinamiche globali (rallentamento della ripresa; comparsa di nuove emergenze sociali; nuovi rischi operativi per le imprese), interrompendo il percorso di ripresa nazionale coeso tra Nord e Sud. Gli effetti territorialmente asimmetrici dello shock energetico intervenuto in corso d’anno, penalizzando soprattutto le famiglie e le imprese meridionali, dovrebbero riaprire la forbice di crescita del Pil tra Nord e Sud”.
Secondo le stime Svimez, il Pil dovrebbe crescere del +3,8% a scala nazionale nel 2022, con il Mezzogiorno (+2,9%) distanziato di oltre un punto percentuale dal Centro-Nord (+4,0%).
La Svimez valuta che a causa dei rincari dei beni energetici e alimentari l’incidenza delle famiglie in povertà assoluta potrebbe crescere di circa un punto percentuale salendo all’8,6%, con forti eterogeneità territoriali: + 2,8 punti percentuali nel Mezzogiorno, contro lo 0,3 del Nord e lo 0,4 del Centro. In valori assoluti si stimano 760 mila nuovi poveri causati dallo shock inflazionistico (287 mila nuclei familiari), di cui mezzo milione al Sud.
In base alle stime Svimez, l’aumento dei prezzi di energia elettrica e gas si traduce in un aumento in bolletta annuale di 42,9 miliardi di euro per le imprese industriali italiane; il 20% circa (8,2 miliardi) grava sull’industria del Mezzogiorno, il cui contributo al valore aggiunto industriale nazionale è tuttavia inferiore al 10%.
Le previsioni Svimez segnalano per il 2023 il rischio di una contrazione del Pil nel Mezzogiorno dello 0,4%, un peggioramento della congiuntura determinata soprattutto dalla contrazione della spesa delle famiglie in consumi, a fronte della continuazione del ciclo espansivo, sia pure in forte rallentamento nel Centro-Nord (+0,8%).
Il 2024 dovrebbe essere un anno di ripresa sulla scia del generale miglioramento della congiuntura internazionale, unitamente alla continuazione del rientro dall’inflazione che scende al +2,5% e +3,2% nel Centro-Nord e nel Mezzogiorno nell’anno. Si stima che il Pil aumenti nel 2024 dell’1,5% a livello nazionale, per effetto del +1,7% nel Centro-Nord e dello +0,9% al Sud.
Il dato del Sud, di per sé apprezzabile visto che dovrebbe tornare in territorio positivo dopo il calo del 2023, sarebbe comunque sensibilmente inferiore a quello del resto del Paese.
Un aspetto strutturale che contribuisce a spiegare la debole ripartenza meridionale è rintracciabile sul lato dell’offerta: a seguito dei continui restringimenti di base produttiva sofferti dal Sud dal 2008, si è sensibilmente ridimensionata la capacità del sistema produttivo dell’area di agganciare le fasi espansive del ciclo economico.
Lavoro di bassa qualità, scuola “diseguale”, questione femminile irrisolta e una politica industriale che va messa finalmente in moto: sono queste le bestie nere del Mezzogiorno, le vere emergenze attorno alle quali si consuma il disastro di un Sud Italia a motore spento, i temi sui quali si gioca la partita del rilancio di un’area del Paese che si allontana sempre più dal Nord. Una frattura che, oggi, nella fotografia scattata da Svimez, appare insanabile.
Uno scenario preoccupante per il Sud quello tracciato dal Rapporto Svimez 2022 (Associazione per lo sviluppo dell’impresa nel Mezzogiorno) e presentato ieri alla Camera dei deputati dove è intervenuto il presidente Adriano Giannola. Il Quotidiano di Sicilia lo ha intervistato in esclusiva
Rispetto allo scenario che delineate e alle indicazioni che fornite nel Rapporto, il governo meloni che sta muovendo ancora i primi passi, sta andando secondo lei nella direzione auspicata che dovrebbe essere quella di riagganciare il Sud al resto del Paese?
“Sono molti gli aspetti che si dovrebbero approfondire. La finanziaria di questo governo nazionale mi lascia molto perplesso, non si capisce cosa vogliono fare. Sul il Reddito di cittadinanza l’Esecutivo ha preso le sue decisioni che riteniamo una follia. Si tratta di un problema che rappresenta in realtà più una opportunità del governo di tirar fuori una strategia chiara. In merito agli adempimenti del Piano di ripresa e resilienza Raffaele Fitto (ministro per gli Affari europei, il Sud, le politiche di Coesione e il Pnrr) è quello che ha le idee più chiare rispetto agli altri componenti dell’Esecutivo e questo per lo meno è un fatto che mi conforta poiché vi sono politici che invece le idee non le hanno chiare. Penso al tema dell’autonomia differenziata. Per Fitto va fatta rispettando i dettami della Costituzione e questo rappresenta un passo in avanti rispetto alle posizioni dei passati governi a partire da quello di Gentiloni, nonostante le ambizioni di Roberto Calderoli.
Quale deve essere la ricetta vincente?
“Innanzitutto bisogna avere ben chiara la visione di quello che si deve fare e Fitto ce l’ha. Ora si tratta di discutere la visione e penso che almeno con Fitto un ragionamento si riuscirà a fare poiché il suo parere in questo governo conta, e conta molto”.
Ci vorrebbero scelte più coraggiose da parte del governo Meloni per risollevare il Mezzogiorno?
“Certo, di sicuro scelte che riguardano i fondi del Pnrr, per dare priorità a quello che diciamo da anni: zone economiche speciali, porti, logistica e connessioni nel territorio con una strategia non a spizzichi e bocconi ma sapendo da dove si parte e dove si vuole arrivare. Per fare questo cambiamento di rotta il governo Meloni ha tempo un anno, ma si tratta di cambiamenti che si possono fare con rapidità, come le autostrade del mare. Ci vuole il coraggio di esplicitare questa volontà politica, cosa che altri governi non hanno fatto. Questo governo avrebbe la possibilità di farlo, ma non so quanti al suo interno hanno la volontà”.