In Sicilia esistono ben 23 opere di inestimabile valore che la Regione avrebbe dovuto proteggere e valorizzare dal 2013. Almeno secondo il Decreto assessoriale n.1771 del 27 giugno dello stesso anno. Ancora oggi, purtroppo, le performance dei musei in cui sono collate rimangono davvero scadenti e parte di queste opere – grazie a una deroga particolare del cosiddetto decreto “blinda prestiti” – girano per il mondo, contro il parere dei tecnici e a discrezione degli assesoratti di diversa materia. Ecco quali sono le 23 meraviglie che forse non tutti conoscono.
Nell’elenco delle 23 opere “particolarmente inamovibili”, incluso nel decreto firmato dall’allora assessore Mariarita Sgarlata – prematuramente scomparsa lo scorso anno -, si proteggono in primis le Metope di Selinunte, conservate nel Museo archeologico regionale “Antonio Salinas” di Palermo. Testimonianza dei greci in Sicilia (tra il VI e il V a.C.) che adornavano con queste sculture in pietra i loro luoghi di culto. Il tempio C, tra l’altro, è uno dei più antichi templi in pietra dorici d’occidente.
Nello stesso museo è conservata la seconda opera d’eccellenza: l’Ariete di bronzo – detto anche “Ariete di Siracusa” – risalente al III sec a.C. . Attribuito alla scuola di Lisippo, è l’unico superstite di una coppia di sculture che probabilmente conferivano lustro alla reggia di Agatocle di Siracusa. L’opera, realizzata con la tecnica della fusione a cera persa, è stata trasferita al museo per volontà di Vittorio Emanuele II.
Sempre a Palermo, la Galleria regionale di Palazzo Abatellis è un vero e proprio concentrato di beni protetti. Lì si trova il Vaso Alhambra, un’anfora in ceramica a lustro del XIV sec d.C., proveniente dalla Chiesa della Madonna del Paradiso di Mazara del Vallo. Il Trionfo della morte, il grande affresco del XIV secolo originariamente posto nel cortile di Palazzo Sclafani – il cui autore rimane sconosciuto -, che raffigura la morte galoppante su un cavallo, mentre scaglia le sue frecce sui nobili e sul clero. Il Busto di Eleonora d’Aragona, scultura marmorea a tuttotondo realizzata in stile rinascimentale da Francesco Laurana nel 1489, dapprima conservata nell’Abbazia di Santa Maria del Bosco. E soprattutto la celebre Annunziata di Antonello da Messina, realizzata in olio su tavola e raffigurante la vergine con atteggiamento quasi laico, in perfetta sintesi prospettica, durante un probabile dialogo con l’angelo.
Nell’elenco dei beni protetti nel palermitano, anche la Phiale d’oro – detta “di Caltavuturo” – realizzata in oro e decorata con la tecnica della lavorazione a sbalzo, tra la seconda metà del IV sec e la prima del III sec a.C.. Oggi è tenuta in sicurezza nel Museo archeologico regionale di Himera. Si tratta di un’espressione dell’eccellenza dell’oreficeria antica, utilizzata per le libagioni.
A essere protette sono pure tre opere del Museo archeologico regionale di Agrigento “Pietro Griffo”: l’Efebo di Agrigento, una scultura greca marmorea in stile severo – risalente al V sec a.C. – ritrovata nella cisterna di S. Biagio; il Cratere di Achille e Pantasilea del V sec a.C., originariamente ritrovato in una necropoli in provincia di Gela., uno dei più famosi vasi in ceramica attica – con le sue distintive caratteristiche delle figure rosse su sfondo nero – che raffigura l’Amazzonomachia, ovvero la guerra tra amazzoni ed eroi greci; il Vaso con deposizione di Patroclo, in fine ceramica attica, raffigurante il trasporto del cadavere del guerriero dell’Iliade di Omero.
Nel Museo regionale “Agostino Pepoli” di Trapani ben due opere di inestimabile valore: la Lampada pensile di Fra’ Matteo Bavera, costruita nel 1633 in rame dorato, smalto e corallo per la Chiesa di S. Francesco; il Polittico di Trapani – detto anche “Madonna in trono con bambino che incorona S. Caterina e altri santi” – realizzato tra il XIV e il IV sec d.C in tempera su tavola, da un autore ignoto, per la chiesa della confraternita trapanese di Sant’Antonio Abate.
Nel trapanese, pure la ventesima opera il lista. È il Satiro Danzante, ospitato dal Museo del Satiro di Mazara del Vallo (Trapani). Una rarissima opera bronzea di età ellenistica (III-II sec a.C.) o di una copia romana del I sec d.C. che raffigura, con tutta probabilità, un satiro che danza durante l’ebrezza del vino. Oggi il soggetto è purtroppo privo di una gamba e di entrambe le braccia, perché rimase impigliato nelle reti di un motopeschereccio nel 1997, per essere poi sottoposto a restauro.
Nell’isola di Mozia (Marsala, TP), nel Museo “Giuseppe Withaker”, c’è invece l’Auriga da Mozia, statua marmorea raffigurante un Efebo e realizzata tra il 450 e il 440 a.C..
A Siracusa, all’interno del Museo archeologico regionale “Paolo Orsi” si trovano la famosissima Venere Landolina, copia marmorea del II sec d.C. di un originale ellenistico del II a.C. costruito per Tempio di Afrodite. E il Kourotrophos, una statua in pietra calcarea risalente al 550 a.C. raffigurante la dea madre che allatta due neonati, ritrovata nel 1952 nella necropoli di Megara Hyblaea (Siracusa).
Nella Galleria regionale di Palazzo Bellomo, sempre a Siracusa, c’è l’Annunciazione di Antonello da Messina. Proveniente dalla Chiesa dell’Annunziata di Palazzolo Acreide (Siracusa), è stata realizzata dall’autore nel 1474 con la tecnica dell’olio su tavola, trasferita poi su tela. Essa raffigura la vergine avvolta dal manto azzurro, durante l’annunciazione della buona novella da parte dell’angelo Gabriele, che si trova proprio di fronte a lei. Il dipinto è impreziosito dai colori ricavati direttamente dalla lapislazzuli e metalli preziosi. Attorno alla vergine, elementi simbolici – come il vaso bianco e blu – rimandano a significati religiosi.
Sempre di Antonello da Messina è il famosissimo Polittico di San Gregorio, realizzato nel 1473 e custodito dal Museo regionale “Maria Accascina” di Messina. Costituito da cinque pannelli di visione unitaria – raffiguranti rispettivamente l’Angelo annunciante, la Vergine annunciata, San Gregorio Magno, la Madonna con il bambino in trono e San Benedetto – proviene dal monastero benedettino di Santa Maria extra moenia ed è oggi, purtroppo, privo della cornice e del pannello centrale che avrebbe dovuto raffigurare la Pietà o il Cristo morto.
Nello stesso museo, poi, si trovano due famosissimi dipinti – in olio su tela – di Caravaggio: l’Adorazione dei Pastori e la Resurrezione di Lazzaro. Il primo, realizzato nel 1608 e proveniente dalla Chiesa dei Cappuccini di Messina, fu commissionato dal Senato della città per l’ornamento dell’altare e rappresenta – in un ambiente di toni caldi e scuri, in cui la luce entra diagonalmente – la Vergine sulla paglia, mentre protegge il suo bambino davanti all’adorazione di poveri pastori. Nel secondo, confezionato l’anno successivo per la Chiesa dei Padri Crociferi, un Lazzaro illuminato durante la resurrezione voluta da Gesù, accerchiato da uomini e familiari intenti a sostenerlo, nell’incredulità.
La diciannovesima opera in lista è l’Arula fittile con figura di Gorgone, un altare in terracotta costruito alla fine del V sec a.C. – visitabile al Museo archeologico regionale di Gela (Caltanissetta) – raffigurante la Gorgone-Medusa che tiene stretti al seno i due figli avuti con Poseidone, Pegaso – il cavallo alato – e Crysaor.
Chiudono l’elenco del decreto le due opere d’arte dell’ennese non menzionate nella pagina dell’assessorato: gli Argenti di Morgantina – tornati quest’anno in Sicilia, dopo quasi 15 anni di viaggi in giro per il mondo, e custoditi dal Museo archeologico regionale di Aidone -, composti da sedici pezzi unici risalenti al III sec a.C.; la Dea (o Venere) di Morgantina, collocata nello stesso museo. Quest’ultima è una statua a tuttotondo di un autore ancora ignoto – ma discepolo della scuola di Fidia – realizzata nel V sec a.C. in marmo e calcare. È tornata in Sicilia solo nel 2011. Infatti – secondo la ricostruzione del tribunale di Enna – il ricettatore Enzo Canavesi l’avrebbe venduta negli anni ’80 alla Robing Symes di Londra che, poi, l’avrebbe a sua volta rivenduta, nel 1986, al Paul Getty Museum di Los Angeles. La perizia del tribunale ha consentito l’identificazione della provenienza siciliana del calcare utilizzato dall’autore e il rimpatrio dell’opera.
Domani torneremo sul tema con interviste esclusive sull’argomento