Dossier Illustri personaggi siciliani

Biagio Tinghino, da Catania alla National School of Medical Tobaccology

Biagio Tinghino, medico laureato all’Università di Catania, specialista in Malattie Infettive e in Gastroenterologia, già presidente della Società Italiana di Tabaccologia, è esperto di promozione della salute, ma anche responsabile del Servizio di Alcologia e Nuove Dipendenze dell’Asst della Brianza.

Come tantissimi altri medici, ha vissuto la prima ondata della pandemia in prima linea, continuando ad assistere i pazienti e allontanandosi per quanto possibile dalla famiglia per evitare qualsiasi possibilità di contagio. Intervistato in esclusiva per il Quotidiano di Sicilia, ci ha raccontato la sua storia.

“La storia – ha detto – è lunga, sì, ma potrei riassumerla in una idea che ho sempre avuto: fare le cose in cui credo. Le prime esperienze sono state tutte in Sicilia. Poi, fuori da ogni programma, è nato l’interesse per la medicina delle dipendenze, le neuroscienze e la psicologia”.

“A Monza – ha aggiunto – ho cominciato a lavorare con le tossicodipendenze ed ho subito capito che ce n’era una di cui quasi nessuno si occupava, la dipendenza da tabacco. Ottantamila morti l’anno, una impressionante scia di invalidità, mentre i medici fumavano ancora in ospedale. È stata la mia battaglia, la battaglia di una vita”.

È riuscito ad ottenere qualche risultato?
“Più di quello che mi sarei aspettato. Nel 1997 ho fondato uno dei primi centri per la cura della dipendenza da tabacco a Monza, poi abbiamo costituito la Società Italiana di Tabaccologia, la società scientifica di cui sono stato presidente dal 2008 al 2017. Sono iniziati i rapporti con l’Istituto Superiore di Sanità e nel 2003 abbiamo dato vita ad un grande progetto formativo, la National School of Medical Tobaccology, che dirigo. Negli anni credo di avere formato 6.000 medici e sanitari sul tema del tabagismo”.

Lei è specializzato anche in Malattie infettive e si è ritrovato a lavorare in Lombardia, la Regione più colpita dalla prima ondata epidemica da Sars Cov-2.
“La pandemia mi ha ‘chiamato in causa’ in modo inaspettato. Ho avuto colleghi che sono deceduti a causa del Covid. Ben presto ho cominciato ad occuparmi di vaccinazioni, insieme a molti altri medici. Ma ho sentito il bisogno di spendere la mia esperienza di formatore e i lontani trascorsi giornalistici per buttarmi a capofitto nella comunicazione. Ho scritto un libro (‘Pandemie’), ho messo su con altri un gruppo di 300 medici per aiutare la gente a orientarsi, in mezzo alla tempesta delle fake-news”.

Dalle dipendenze all’informazione sui vaccini. Ci sono punti in comune? Cosa direbbe oggi ai “No vax”?
“Ci sono delle trappole del pensiero, i bias cognitivi, che possono ingabbiare fino al punto da modificare la visione del mondo. È successo ad alcuni contro i vaccini. Sono partiti da vissuti personali di rabbia, sfiducia verso le istituzioni ed una visione del mondo diffidente. Poi sono stati catturati da una ‘droga’ cognitiva che è l’informazione a senso unico. È una strategia che ti dà l’impressione di avere capito tutto, fornisce sicurezza, euforia, e viene continuamente alimentata dal circuito delle notizie false. Ma è una bolla chiusa, perché esclude le ‘altre’ informazioni. Sarebbe servita una comunicazione istituzionale costante, semplice, presente sia in Tv che sui social, oggi abbandonati al loro destino. Agli amici no -vax dico due cose: parliamo del metodo della scienza, del ‘come sapere’, dalle regole del pensiero critico, prima di ingaggiare dibattiti. E comunque parliamone: io posso cambiare opinione davanti ai fatti, vi chiedo la stessa cosa. Dobbiamo provarci”.

(bt)