Nonostante tutto in Sicilia si continua a far figli. La media di figli per donna continua a scendere, eppure si mantiene sempre tra le più alte nella penisola. Secondo i dati dell’Istat, nel 2023 sono nati 1,32 bimbi siciliani per donna, contro una media nazionale di 1,20. Con questi numeri, l’Isola si pone alle spalle soltanto del Trentino Alto Adige, che sale a 1,42.
Ciò nonostante, il Trentino perde, rispetto al 2022, il 5% dei nati, mentre la Sicilia si ferma al -3,7%, in linea con la media nazionale.
In totale, nel 2023 nell’Isola si contano, su un totale di 379mila in Italia, 35.500 nuovi nati, il 9,3% del totale nazionale. Al terzo posto, la Campania, a 1,33 figli per donna. I valori peggiori, invece, si segnalano in Sardegna, ferma a 0,91 figli per donna, insieme a Basilicata, a 1,08, e Molise, a 1,10. In Sicilia, ancora, si segnala la maggiore giovinezza della donne al parto rispetto a tutta la penisola. Se la media italiana arriva a 32,5 anni al parto, in Sicilia si scende a 31,7, mentre la Campania e il Trentino Alto Adige arrivano a 32,2. In Sardegna, Basilicata e Lazio, addirittura, si superano i 33 anni.
A livello provinciale spicca la provincia di Palermo, che arriva a 1,39 figli per donna, seguita da Catania e Ragusa a 1,36. I valori peggiori, invece, si registrano a Messina a 1,16, e a Enna a 1,20, che comunque è in crescita rispetto al 2022, quando si fermava a 1,18. Le province siciliane si mettono in evidenza anche se si fa un confronto più ampio. Il più alto numero medio di figli per donna a livello nazionale si registra nella provincia autonoma di Bolzano, a 1,56, che presenta però una significativa discesa rispetto al 2022, quando era a 1,64. Seguono le province di Gorizia a 1,42, Palermo e Reggio Calabria a 1,37, Ragusa e Catania a 1,36. Tutte le province sarde, ai minimi nazionali, presentano una fecondità inferiore al figlio per donna: da quelle di Cagliari e del Sud Sardegna, 0,86 per entrambe a quelle di Oristano, a 0,93, Sassari, 0,95, e Nuoro, a 0,99. A queste seguono la provincia di Massa Carrara, a 1,02, nel Centro, e quella di Verbano-Cusio-Ossola, a 1,06, nel Nord.
È ormai evidente come il Paese intero abbia ormai consolidato una condizione di fecondità bassa e tardiva, con una distribuzione eterogenea del dato, anche all’interno di una stessa ripartizione geografica. Nel Mezzogiorno, ad esempio, coesistono regioni con più alta fecondità, come Sicilia, Campania e Calabria, e regioni con livelli minimi, da Sardegna, Basilicata e Molise. Nel Nord, tre regioni su quattro del Nord-ovest a partire dalla Valle d’Aosta, insieme a Liguria e Piemonte, evidenziano una fecondità al di sotto della media nazionale, fermandosi a 1,20 figli per donna, mentre tutte quelle del Nord-est rimangono al di sopra. Più coeso il Centro, dove solo le Marche, con un tasso di 1,17 figli, unica a presentare un minimo vantaggio rispetto all’1,16 del 2022, si distingue leggermente da Toscana, Lazio e Umbria, rispettivamente a 1,12, 1,11 e 1,10 figli. La diminuzione netta della natalità si riflette nel dato relativo all’età media della popolazione.
Non è un caso che le regioni con maggiori nascite siano anche quelle con le percentuali più basse di ultrasessantacinquenni e ultraottantenni: si parte dalla Campania, rispettivamente al 20,9% e 5,6%, seguita dal Trentino-Alto Adige, al 22,1% e 7,2%, e dalla Sicilia, al 23,2 e 6,6%. La Liguria è la regione più anziana, con una quota di over 65enni pari al 29% e una di ultraottantenni del 10,3%. Seguono il Friuli-Venezia Giulia, con il 27,1% e 9,2%, e l’Umbria, al 27% e 9,3%.
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