La nuova “sfida” dell’estate passa dai social. È la Boiler Summer Cup, la challenge che in questi giorni sta prendendo piede su TikTok che consiste nel fingere di corteggiare (in alcuni casi spingendosi fino al sesso) le ragazze sovrappeso in discoteca, filmarle – senza che le suddette sappiano nulla – e pubblicare l’impresa sui social.
Vince chi conquista più punti, come? Più pesa la ragazza “conquistata”, più punti si fanno. In palio un ingresso gratuito in un locale a scelta. Ne abbiamo discusso con la sociologa Graziella Priulla.
A che tipo di fenomeno siamo di fronte? Come siamo arrivati fin qui?
“L’odio è strumento essenziale della retorica del capro espiatorio: si individua una categoria su cui orientare violentemente il risentimento sociale, evitando di affrontare le responsabilità e i vincoli che la realtà impone. Rappresenta un bersaglio su cui riversare la propria rabbia, scaricare il malcontento, le frustrazioni e le ansie diffuse nel vissuto. Si parte dalla diffidenza e si arriva alla stigmatizzazione, che legittima la discriminazione, e poi alla deumanizzazione, che legittima la violenza”.
“Mettere alla gogna è un’espressione figurata di utilizzo comune, che significa esporre qualcuno/a alla pubblica derisione, allo scherno. La gogna più comune fino al XIX secolo era il ceppo: la vittima, legata mani e piedi, veniva esposta in piazza alla folla, che la scherniva e la umiliava. Oggi l’Occidente è tornato sull’orlo di quell’abisso: ha individuato nuovi nemici per il pubblico ludibrio. La gogna più comune nel tecnologico XXI secolo sono i social, emblematici della trasformazione antropologica delle nostre società. Mandano segnali pericolosi che inquinano la vita di tutti. È uno dei fenomeni estremi cui hanno spinto le logiche congiunte della degenerazione dei social e del propagarsi del bullismo misogino”.
Il bersaglio è ancora una volta al femminile e in particolare il corpo delle donne, da ridicolizzare e umiliare se non conforme ad uno stereotipo e a un modello estetico imposto. Ancora una volta i corpi delle donne – in particolare quelli delle giovanissime – diventano oggetti e pezzi di carne da giudicare. Sessismo, bullismo, grassofobia e body shaming sono ormai la norma nella nostra società e tra i giovanissimi? Quanta consapevolezza abbiamo di ciò e quali potrebbero essere gli strumenti per uscirne? Quanto contano in questo senso i messaggi e i modelli che riceviamo dai media?
“I social network non sono ‘un paese per donne’. Anzi, sono il luogo in cui i sentimenti misogini e la paura nei loro confronti si esprimono con più forza ed evidenza. La lista delle categorie più odiate le vede in primo piano, cittadine qualunque o ministre, attrici o giornaliste, che abbiano 19 anni come Greta Thunberg o 91 come Liliana Segre. Ragazzi e uomini da sempre amano dire alle ragazze e alle donne che cos’è e che cosa non è attraente, e lo fanno sia in privato sia in pubblico, sia in modo pesante che in modo soft. È un enorme esercizio di potere. Basta essere maschi per conseguire il diritto implicito di esaminare e valutare i corpi altrui”.
“A far da contesto e retroterra oggi si aggiungono il pensiero unico dell’economia e lo strapotere del marketing; lo sfruttamento simbolico dei corpi fa da carburante per il consumo, ossessivo strumento di richiamo, scorciatoia magica per la felicità: dalla pubblicità all’industria, dalla cosmetica alla chirurgia estetica, dalla moda al circo delle diete, degli integratori e del fitness, tutto impone dall’esterno un modello forzato che ricatta le insicurezze umane con mete irraggiungibili (“Se ancora non siete pronte per la prova costume ci pensiamo noi”)”.
“Un giro d’affari miliardario prospera su queste ossessioni, fa da sedativo potente: una popolazione di maniaci tranquilli è manipolabile. Alla base di tanti, ricchi e articolati settori di attività vi è la pressione a consolidare l’idea che il corpo femminile, così com’è, sia inadeguato e dunque vada riplasmato, modificato e messo a norma per adattarlo a una triade imperativa: giovinezza-bellezza-salute. Non potendo più pronunciare l’incorrect “Va a fare la calzetta”, la società in questi tempi emancipati continua a dire “Il tuo valore coincide con la desiderabilità del tuo corpo”: spia di una concezione così profondamente radicata da non essere più nemmeno vista”.
Immancabile è arrivata alle critiche e alle polemiche sui social e sui media la replica di alcuni ragazzi che parlano di goliardia e di ironia.
“Levano commenti di giubilo alla morte di Camilleri o alla notizia della malattia di Emma Marrone. Quando si ribalta un barcone con dentro disperati di ogni età e genere scrivono “buon appetito ai pesci”. Vomitano contro una coppia lesbica: “La soluzione per farvi tornare etero è quella di stuprarvi”. Però sono pavidi, sono vigliacchi. Attaccano gli ebrei ma non vogliono esser chiamati antisemiti, dicono “sporco negro” ma non si definiscono razzisti, disegnano svastiche sui muri ma non c’entrano col nazismo, denigrano le donne ma guai ad accusarli di misoginia o di sessismo. ‘Era solo un gioco..'”.
“Quando Laura Boldrini, prima di passare alle vie legali, pubblicò i nomi di coloro che la minacciavano e li chiamò alla Camera a discutere pubblicamente, molti si sottrassero balbettando, alcuni fecero rispondere alla moglie o alla madre per domandare scusa. Tanto leggero è l’atteggiamento con cui una cattiva pratica viene messa in atto, tanto pesanti e profonde ne sono le conseguenze. Senza rispetto reciproco nessuna convivenza umana è possibile ma dovrebbero essere gli adulti ad insegnarlo con le parole e con l’esempio. L’odiatore da tastiera invece lo incontriamo al bar, per le scale del condominio, in ufficio. può essere di volta in volta un innocuo pensionato, una soave signora, un professionista stimato, un importante dirigente, un perfetto insospettabile: nel social si trasforma in un mostro di cinismo e di rabbia repressa, che per lo più ritira ciò che scrive in presenza di reazioni decise. “Era uno scherzo, non volevo offendere”. Fanno questo di solito, in un appoggio ai loro pargoli, anche le famiglie e gli amici degli stupratori reali: prima leoni e poi conigli da tastiera. Ma conigli mannari”.
Le ragazze coinvolte sono totalmente ignare di tutto e finiscono, loro malgrado, vittime della gogna social. Ancora una volta il branco contro il singolo (o meglio la singola) mettendo in piazza senza consenso il suo privato. Una pratica che ci ricorda da vicino, tra le altre, quella del revenge porn. Non trova?
“Fine ultimo di ambedue i fenomeni è il click che si autoalimenta: tutti sono in cerca di uno scampolo di notorietà. L’asticella spinge ogni giorno un po’ più in là la soglia dell’indicibile, poiché un dispositivo ben oliato s’innesca facilmente. Quando l’odio di uno diventa ondata entrano in gioco meccanismi premianti che derivano dall’approvazione degli altri e che accrescono le probabilità che il comportamento si riproduca. Proporsi aggressivamente è una scintilla scontata per innescare un’escalation di reazioni via via più aspre. In queste condizioni diventa sempre più difficile esprimere un’opinione percepita come minoritaria. Non è più isolato chi urla improperi ma chi parla pacatamente e ragiona. Avversare si trasforma in odiare: un’ideologia di massa che si dimostra vincente agli occhi di chi trova l’autostima nel numero dei click”.
La piattaforma TikTok sta prendendo le distanze dal ‘fenomeno’ (“Le nostre linee Guida della Community – ha spiegato un portavoce della piattaforma social – esplicitano in modo chiaro che non tolleriamo contenuti che promuovono bullismo o molestie e abbiamo rimosso i video che violano queste linee guida. [..] il nostro team dedicato alla sicurezza continua a monitorare attentamente e rimuoverà qualunque contenuto dovesse risultare in violazione”) ma i primi danni sono già stati fatti poiché alcune ragazze hanno già deciso di rinunciare ad uscire (“Boiler Summer Cup perché non avevamo già abbastanza paura di metterci qualcosa di carino, uscire la sera e sperare di non essere molestate, drogate, picchiate o altre mille cose” dice una ragazza in un post e una 21enne ha raccontato in un’intervista che una sua amica 16enne dopo essere incappata in uno dei partecipanti “vive nel terrore di trovare su internet video o foto di una serata trascorsa in discoteca, sta attraversando settimane molto difficili e si vergogna di quello che è successo, come se avesse scelto lei di partecipare a questa sfida..”) per non rischiare di incappare in qualche ‘partecipante alla challenge’ visto che la “sfida” dovrebbe iniziare il 21 giugno ma, a quanto pare, molti hanno già iniziato producendo video e commenti a dir poco agghiaccianti: da «Ho toccato una boiler di 130 kg» a «Quella mi sembra una da 100/110», «Ma quale estate da fidanzato, devo vincere la boiler summer cup».
Soprattutto tra gli adulti è partita la demonizzazione di TikTok e in generale del mondo social. È davvero dello strumento la responsabilità o dell’uso che se ne fa?
“Nessuno strumento è in sé, proprio perché strumento, “responsabile” di nessuna cosa. Un coltello può affettare il salame o uccidere una persona. È il soggetto agente che decide. Colpevoli sono i proprietari delle piattaforme, attratti più dal numero – che fa guadagno – che dalla qualità; responsabili siamo tutti noi, che permettiamo che queste tecnologie, potenzialmente sia utili che letali, vadano in mano a giovanissimi o addirittura ai bambini, lasciandoli in balia di esempi perversi, di narrazioni tossiche, di abitudini crudeli. Probabilmente molti genitori non sanno nemmeno di che si tratta”.
In palio per il ‘vincitore’ un ingresso gratuito in un locale. Si riduce a questo il valore che le nuove generazioni danno alla dignità altrui?
“Non partecipo alla demonizzazione delle nuove generazioni che hanno trovato un mondo fatto così e non ne conoscono un altro. Chi ha insegnato loro che il denaro è tutto, che nel mondo bisogna farsi strada a qualunque costo? Chi ha coniato la categoria dei losers, dei perdenti? Chi ride di fronte alle battute sprezzanti, agli scherzi osceni, all’esibizione machista dei maschietti? Chi fa commenti non richiesti, per strada o al bar o davanti alla tv, sui corpi femminili?”.
Come si può reagire a tutto ciò? Che risposta possono dare scuola e famiglia?
“Sono solo parole, solo giocattoli, solo manifesti, solo film, solo pubblicità, solo moda, solo uno scherzo, solo un buffetto, solo una barzelletta, solo una battuta, solo solo solo.. un’autoassoluzione in nome della libertà di espressione. La libertà di manifestare il pensiero non può essere disgiunta dalla responsabilità. Siamo stati ciechi quando abbiamo evitato di guardare in faccia la realtà, quando non abbiamo parlato a viso aperto con i nostri figli e le nostre figlie, quando abbiamo lasciato loro in mano strumenti esplosivi senza controllo, quando abbiamo detto – spesso non sapendo nemmeno che cosa sia – che la scuola non deve occuparsi dell’educazione di genere”.
“Cambiare il modo consueto in cui si parla di donne è un problema pedagogico. Lo è anche la complicità silenziosa. L’inglese ha un termine per definire chi assiste a comportamenti discriminatori e se ne chiama fuori: bystander. Al prossimo commento greve, al prossimo insulto sessista, al prossimo atto di violenza non solo fisica ma simbolica sottraete attivamente il vostro consenso: ‘No, non ci sto, non voglio discutere in questi termini, non voglio essere complice dei tuoi abusi, se non riesci a mutare quest’attitudine io non voglio parlare con te..'”.
Il rischio che fenomeni come questo portino le vittime, spesso giovanissime, sulla strada della depressione o dei disturbi alimentari è altissimo. Sbaglio?
“Se chi riceve questi commenti riesce ad avere distacco (il che è tutt’altro che facile), rimangono offese gratuite. Ci sono invece molte persone, soprattutto adolescenti in cerca di identità, che soffrono di bassa autostima e non vivono bene nel proprio corpo. Sentirsi criticare da persone estranee può peggiorare la situazione e portare a problemi psicologici molto pesanti e a conseguenze pericolose anche sul piano fisico. È accaduto e accade, fino ai tentativi di suicidio”.
Cosa si sente di dire a questi ragazzi e alle ragazze che temono di diventare vittime di questi ‘simpaticoni’ e della gogna social che segue alla pubblicazione dei video?
“Il body shaming può distruggere con un click. Gli esempi sono numerosi ma forse loro non li conoscono abbastanza. Mostriamoli, parliamone. Le parole sono importanti, insegniamo con gli esempi che forma e sostanza sono due facce della stessa medaglia. Travolti dall’utilitarismo spicciolo spesso ci limitiamo a pensare che la lingua sia solo un repertorio convenzionale di segni, dimenticando che è anche enérgeia, attività: codice di scambio, certo, ma anche processo che progressivamente struttura la nostra visione del mondo e la posizione che vi occupiamo. Una società in cui si possa denigrare o sbeffeggiare un essere umano senza essere mal giudicati è a rischio di barbarie, testimonia un fallimento delle agenzie regolative. Non dimentichiamo infine che in molti casi il fenomeno può assumere contorni di rilevanza penale”.