Il Sismografo

C come Comunità (del silenzio)

C’è una dimensione dell’umano, oltre a quella della parola scritta e pronunciata, che il sociologo francese Michel Maffesoli chiama la Legge del silenzio. L’espressione è formidabile, rende l’idea di una discrezione che avvolge le cose, avida di un silenzio che si impone con la forza della legge contro la blasfemia delle parole urlate e violente, false e vuote, insensate e fuorvianti.

Scrive Maffesoli:
Come naturale conseguenza del disincanto, la parola scatenata è divenuta oscena: tutto deve essere in primo piano sulla scena, niente può essere nascosto o tenuto segreto.

In quella S di silenzio c’è una voce inarticolata che invita al tacere, alla sospensione di un dire che appare inopportuno, intrusivo, infecondo. Una possibile comunità della gioia germina dal silenzio, dalla pausa tra le parole, dal loro accoglimento nel grembo dell’anima perché partoriscano con dolcissimo dolore. La parola deve disarticolare, inquietare, ferire; per essere generativa, trasformativa, comunitaria, deve orientarci, scompaginando la voce urlata o uniforme, a un modo d’essere diverso, a una modifica profonda del gesto con cui ci annunciamo agli altri. Ma la parola che ferisce per modificare lo stato di cose esistenti orientandolo al bene, necessita del silenzio come il figlio necessita del grembo della madre.

Il silenzio è luogo privilegiato della pietas, di colui che amandosi, ama l’altro della sua stessa forma d’amore: custodia di un talento fragile, che invita a custodire altri talenti fragili. Sovente la parola che seziona, taglia, incide, analizza, scarta, divide, non trova il tempo per discernere, per appartarsi, farsi discreta, allora necessità del silenzio, la sospensione che accende di una luce nuova e impensata un certo volto, un certo progetto lavorativo o di vita.

Il silenzio che, una volta che abbiamo pronunciato la parola della dignità ferita nei confronti dell’invidioso, il rancoroso, il violento, ci ristora, ci pacifica nella consapevolezza che anch’essi sono impastati di vita friabile, incerta, incompiuta, come ogni vita di questo mondo. Estraneo al vaniloquio della parola e al mutismo, il silenzio si costituisce come un frangiflutti contro l’effetto soporifero del rumore, di un mondo turbolento, sempre presente alla mano e allo sguardo, per distaccarsi in un tempo meno affannoso, più dilatato e meditativo.

Sul silenzio esiste una letteratura sterminata, dalla mistica al canto dei poeti, dalla prosa alla filosofia, dalla medicina che indugia sul corpo silente, fino alla scienza che cerca di riconvertire nella trasparenza del numero il silenzio opaco della materia o quello maestoso e inquietante degli astri.

Tuttavia, è il canto dei poeti che, come sempre, più’ di sempre, ne fissa il sovrabbondante contenuto:
Acquistino le mie labbra, recuperino
la mutezza lontana, primordiale,
simile a una nota di cristallo
che vibra, fin dal suo nascere, pura!

Questi pochi versi di Silentium del poeta russo Osip Mandel’štam ci restituiscono quella innominabile purezza del silenzio, che la stessa pietas non smette mai di annunciare.