Con decreto del Presidente della Repubblica, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 21 luglio, i due rami del Parlamento sono stati sciolti. Questo, però, non significa che essi non possano essere ancora riuniti per legiferare. Lo prevede l’articolo 61, secondo comma della Costituzione: “Finché non siano riunite le nuove Camere, sono prorogati i poteri delle precedenti”.
Questa prescrizione costituzionale, ora, è estremamente utile perché consente di fare approvare alle Camere la riforma sulla concorrenza (da essa è stata stralciata la norma sui taxi) e probabilmente potrà essere approvata la riforma fiscale, mentre è in una condizione a mezza via quella sulla Pubblica amministrazione.
Le nuove Camere, dopo il 25 settembre, si devono riunire “non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni” (articolo 61 della Costituzione), cioé non oltre il 15 ottobre. Fino a quel giorno, le Camere uscenti possono deliberare.
In teoria le Camere sarebbero ancora in condizione di convertire decreti legge se questi fossero emessi entro il 15 di agosto. Non solo, ma possono procedere all’approvazione di leggi che questo Governo, con le mani libere, potrà proporre, ma non imporre. Infatti non ha più la facoltà di utilizzare il voto di fiducia.
Tuttavia, il Governo ha l’onere di approvare i decreti legislativi di competenza del Consiglio dei Ministri mentre i ministeri devono emettere decine e decine di decreti attuativi, che tutte le varie leggi già approvate prevedono.
Questa catena di formulazione del sistema legislativo è tutta italiana. Non esiste altra Nazione al mondo che, approvata una legge, abbia bisogno di decine o centinaia di decreti attuativi, molti dei quali vengono emessi a distanza di anni, rendendo operative le leggi dopo tempi interminabili. Di fatto il sistema legislativo frena quello esecutivo e la sottostante Pubblica amministrazione perché senza i decreti attuativi nulla si può fare.
Questo perverso meccanismo è un vero disastro, ma non sembra che coloro che formulano i testi di legge vogliano cambiare metodo, dimenticando tutto ciò che è previsto in materia di chiarezza e semplicità della formulazione delle leggi.
La caduta del governo “ordinario” presieduto da Mario Draghi continua come governo per gli “affari correnti”; sostanzialmente però può fare le stesse e più cose di prima, senza avere la preoccupazione delle critiche parlamentari che, con l’inizio della campagna elettorale, diventano sempre più frequenti, speciose e spesso fuor di luogo.
È comprensibile che durante tale campagna elettorale tutti i partiti, dai conservatori ai progressisti, cerchino di portare acqua al proprio mulino, con vuote parole ed altrettante vuote promesse. Ed è proprio su di esse che dovrebbero intervenire le intelligenze degli elettori, cercando di pensare con la propria testa e non con quella degli altri, nel valutare se le proposte fatte da questo o da quello siano concretizzabili veramente, oppure se rimarranno inesorabilmente senza seguito.
Oggi è ancor più è indispensabile la capacità di valutazione degli elettori che votano, non dimenticando mai che è loro dovere-diritto farlo.
In questo bagno di democrazia, quali sono le elezioni – che non devono essere mai demonizzate – non bisogna dimenticare quanto sia essenziale capire. Capire che cosa? Quali siano i punti programmatici di ogni formazione politica e capire se ognuno dei candidati, o di altri esponenti che parlano, siano attendibili e se i loro argomenti possano trovare concretizzazione negli atti di Governo e del Parlamento che approva le leggi.
Bisogna fare attenzione ai tromboni, che continuano a dire che bisogna spendere soldi a favore di questo o di quello, ovviamente per aiutare i deboli, i poveri e via elencando, senza che indichino quali possano essere le fonti finanziarie cui attingere per fare quello o quell’altro provvedimento.
Si tratta quindi di avere la capacità, per ogni elettore, di comprendere se si ascolta un trombone o una persona che abbia cognizione di causa di ciò che dice.
Attenzione anche a chi afferma che farà riforme indicando le risorse necessarie, senza poi precisarle, con ciò gabellando ancora i cittadini-elettori, che però non devono farsi gabellare.