Abbiamo conosciuto Giancarlo Cancelleri in occasione di un convegno organizzato dal Qds, a Caltanissetta, il 27 giugno 2014, quando svolgevamo in tutta la Sicilia la campagna Etica & Valori.
Si presentò timidamente al banco della conduzione, chiedendo di poter fare un intervento che molto volentieri gli fu concesso. Parlò con chiarezza ed oculatezza in un momento in cui il Movimento 5 Stelle, nel Paese e in Sicilia quasi non esisteva.
Poi, l’abbiamo incontrato in occasione delle elezioni regionali del 2017, quando non riuscì a superare l’attuale presidente, Nello Musumeci, all’incirca per cinque punti percentuali.
Dopo di che l’abbiamo seguito come vice ministro delle Infrastrutture, quando ha cominciato timidamente a mettere mano al dossier del Ponte sullo Stretto di Messina. Via via si è convinto dell’esigenza e urgenza che si aprano i cantieri sulle due rive dello Stretto, in modo da realizzare l’opera nei previsti otto anni, con una spesa dello Stato modesta rispetto alle grandi opere del Nord, cioé circa quattro miliardi, con una nuova occupazione di oltre diecimila posti di lavoro.
Nelle scorse settimane, Cancelleri è andato oltre ed ha decisamente sposato l’iniziativa, dicendo che il Ponte si deve fare, anche se ha inserito una variabile che annullerebbe la stessa e cioè tre campate anziché una.
Ora, è del tutto illogico che un progetto che ha avuto decine di controlli e di approvazioni, che è già stato contrattualizzato con We build, che ha fatto aprire un primo cantiere a Cannitello, frazione di Villa San Giovanni, che è già avanti con le prime espropriazioni, diventi oggetto di modifiche strutturali, il che significherebbe rimettere in moto un processo che abbisognerebbe di altri cinque o sei anni.
No, il Ponte va costruito come è stato progettato e come è già stato appaltato, nonostante le obiezioni di molti minus habens che sono ignoranti o in malafede.
Sono ignoranti perché non hanno letto l’incartamento dal quale risulta che l’impatto ambientale della struttura è di gran lunga inferiore all’inquinamento che provocano migliaia di viaggi di traghetti nello Stretto. Oppure sono in malafede, perché, pur sapendo quanto precede, continuano ad affermare il contrario contro l’evidenza dei fatti.
La società Stretto di Messina S.p.A. è stata costituita nel 1981, dunque quarant’anni orsono. Poi è stata messa in liquidazione al Governo Monti nel 2013, ma ancora sembra che tale liquidazione, a distanza di otto anni, non sia stata completata, con un dispendio di risorse finanziarie enorme del tutto a perdere, perché la stessa società deve essere considerata giuridicamente morta; i funerali non possono durare otto anni: il solito spreco del denaro dei cittadini.
A parte ciò, abbiamo calcolato che se il nostro governo e quelli che lo succederanno saranno efficienti, potrebbero completare la linea ad alta velocità (Lav) Salerno-Reggio Calabria, la linea a bassa velocità (Bav) Messina-Catania-Palermo ed il Ponte sullo Stretto di Messina entro il 2030.
Cosicché i catanesi potrebbero raggiungere Roma in circa quattro ore e mezzo, contro le attuali dodici ore, perché la percorrenza totale sarebbe di poco superiore a seicento chilometri.
Non sappiamo se Draghi avrà il coraggio di autorizzarne la realizzazione sapendo che è stata progettata la Lav baltica Varsavia-Helsinki, i cui treni ad alta velocità attraversano un tunnel sotto il mar Baltico del costo di sei miliardi. Confidiamo nella sua capacità di prevedere il futuro, mettendo la firma definitiva su questa quarantennale storia della Penelope siculo-calabra-italiana, anzi europea, perché il Ponte fa parte del Corridoio europeo uno che parte da Helsinki e arriva a Palermo.
È inutile continuare questa manfrina: Ponte si, Ponte no. Il Mose è stato realizzato con una spesa di sette miliardi. Funziona dall’anno scorso. Si stanno costruendo le linee ad alta velocità dei Trafori, della Torino-Lione, del Brennero, della Milano-Venezia, della Napoli-Bari. Ora, e non domani, serve aprire i cantieri del Ponte sullo Stretto.
Siamo al redde rationem. Continuare a negare la necessità e l’urgenza di unire la Sicilia all’Italia è criminale. Basta detrattori. Ci vogliono i costruttori.