L’altro giorno ho letto il bell’articolo di un mio coetaneo, scrittore valente, sicuramente più attrezzato di me dal punto di vista narrativo. Lui è Francesco Piccolo e raccontava la sua esperienza vaccinale svoltasi a Roma nella famosa Nuvola.
Come in ogni nuvola che si rispetti la sua storia era umida, di sudorazioni ed ansie. Ansia dell’ago, di un’acutezza invasiva, che irrompe con il suo carico di chimica straniera in un corpo già vissuto, il tuo, che nel bene e nel male ti è compagno da una vita, la tua.
E questa vita non sarà più la stessa, le tue cellule ascolteranno atre voci, altre informazioni, e diventerai improvvisamente, in maniera planetaria una statistica. Positiva, si spera, ma Francesco pensa e rimugina su quel dato trombotico, seppur infinitesimale.
E se fosse improvvisamente l’apertura di una porta sbagliata? Un klinamen democriteo di fato incidentale? Le palme delle mani gli sudavano e così pensiamo a quanto si stringa anche il perineo, ascoltando i discorsi delle persone di mezz’età in fila davanti a te.
La vita spesso ti pone dei bivi che scegli tu. Questo non lo hai scelto. Lo ha scelto in pipistrello in Cina per te. Pensare che il prosieguo della tua esistenza terrena dipenda da un volatile di immonde fattezze cieco fa capire cosa è la Dea bendata. E fa sentire a noi del 1964, anche io sono nato in quell’anno, prima dello sbarco sulla Luna e prima di Woodstock, l’epoca dei boomers, la crisi profonda di questa nostra età.
Al contrario di Piccolo io l’ho presa in maniera diversa. Non ho avuto ansia o sudore alle mani, nonostante un capannone caldo da isola africana, come solo a Palermo. Non mi spaventa l’acutezza cuneiforme dell’ago. Un giorno mio nonno a Santa Maria del Fiore a Firenze mi fece vedere un dipinto di Paolo Uccello, rappresentava un uomo a cavallo, Giovanni l’acuto, come veniva chiamato dai fiorentini John Hawkwood, il capitano di ventura al comando dell’esercito cittadino.
Tu devi essere come lui, mi disse mio nonno, acuto. Non conosco l’ansia, per fortuna, so cosa è la paura, perché non sono un incosciente, ma sono refrattario all’ansia. Quando i momenti diventano critici mi raffreddo come il ghiaccio, e nel caos divento improvvisamente calmo. Come nell’occhio di un ciclone.
I sensi mi si acutizzano in un ralenty già sperimentato in altre prove dell’esistenza umana. So che il fato è inevitabile. Succederà ciò che deve succedere. La nostra parte da superuomo va naturalmente a farsi benedire. Il futuro non è tuo nonostante il libero arbitrio.
Quella punturina ti darà immunità o inevitabili conseguenze. Tu non ci puoi fare nulla, per cui perché preoccuparsi. Il tuo tran tran, le tue abitudini, dopo un anno di lockdown sono andate a ramengo. Dopo questa pandemia tutto è cambiato. Altre generazioni ed altri modi di affrontare la realtà saranno vincenti e noi, uomini di mezz’età, saremo scavalcati.
Eravamo come in Tootsie, troppo giovani per il potere ed improvvisamente, a causa di un fottuto pipistrello, dopo una piccola iniezione, diventiamo già vecchi per il futuro. Per gli amori che non abbiamo vissuto, per le battaglie che non abbiamo combattuto. Io sono contento, ho vissuto una vita di amore e guerra, di figli, tanti e belli, e di avventure umane. Non ho rimpianti e del Covid, onestamente, me ne sbatto. Per cui fatemi questo vaccino giovani infermieri dalla perfetta organizzazione. A dispetto dei triti modi di pensare tutto funziona egregiamente, pertanto mi sentivo in un cantone svizzero e non in un noto e vecchio padiglione fieristico palermitano.
Avanti un altro che il mondo sta girando.
Gatto Silvestro