Pubblica amministrazione

Carceri, col Covid si riducono i detenuti ma sovraffollamento resta

ROMA – In un anno c’è stato un calo di circa il 12% del numero dei detenuti nelle carceri italiane, ma resta ancora superiore a quello dei posti regolamentari. E per rientrare nella “legalità” occorrerebbe “deflazionare il sistema” di 4-8mila persone. A fotografare la situazione è il Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione, intitolato “Oltre il virus”. In quest’anno, fortemente condizionato dall’emergenza coronavirus, il sovraffollamento, “da condizione oggettiva di trattamento degradante” è “diventato – sottolinea l’associazione, che dal 1998 entra con i suoi osservatori negli istituti di pena per monitorarne le condizioni di vita – anche questione di salute pubblica”: è quindi necessario alleggerire ancora la pressione.

Al 28 febbraio 2021 i detenuti erano 53.697, a fronte di 61.230 al 29 febbraio del 2020, a pochi giorni dalla scoperta del paziente zero: dunque in dodici mesi il calo è stato pari a 7.533 unità, corrispondente al 12,3% del totale. La riduzione ha riportato l’Italia vicina ai numeri del 2015, quando dopo essere stato messo sotto accusa dai giudici europei, il Paese avviò un processo di “deflazione”, arrivando a 52mila detenuti.

Anche in Sicilia la “media” dei reclusi nei 23 istituti di pena isolani appare in linea con la capienza complessiva: nella nostra regione si contavano sempre al 28 febbraio 5.793 detenuti contro una disponibilità massima pari a 6.447 posti. Si tratta, però, come si diceva poc’anzi appunto di una “media”: e infatti ci sono carceri dove il sovraffollamento supera addirittura il 100% della capienza. Accade per esempio a Gela, quattordicesima in Italia per sforamento, dove alla fine del mese scorso erano presenti 72 detenuti su 48 posti (+150%), oppure a Catania “Bicocca”, dove si contavano 201 reclusi contro una capienza regolamentare di 137 posti (+146,7%). Nel resto del Paese c’è di peggio: nel carcere di Taranto si arriva al doppio di detenuti (603 per 307 posti) e anche a Brescia (357 detenuti per 186 posti).

SERVE UNA LEGGE PER ALLEGGERIRE IL SISTEMA CARCERARIO
Insomma la situazione è tutt’altro che sotto controllo e, d’altra parte, la riduzione dell’ultimo anno, sottolinea Antigone, è “esito più di attivismo della magistratura di sorveglianza che non dei provvedimenti legislativi in materia di detenzione domiciliare”.

Il numero delle carceri è rimasto lo stesso, 189. La capienza regolamentare in tutta Italia è invece scesa da 50.931 posti a 50.551. Il tasso di affollamento ufficiale – il rapporto tra posti e detenuti – è al 106,2% ma considerando che il dato sulla capienza non tiene conto di eventuali situazioni transitorie, come la chiusura dei reparti, Antigone stima un sovraffollamento al 115%.

“Per arrivare al 98% della capienza ufficiale regolamentare – sostiene l’associazione -, considerata in alcuni paesi la percentuale fisiologica”, è necessario “deflazionare il sistema di altre 4.000 unità, che diventano 8.000 se si tiene conto dei reparti transitoriamente chiusi”. Un numero alla portata, se si considera che 19.040 detenuti hanno un residuo pena inferiore ai tre anni, una parte di questi sono potenzialmente ammissibili a una misura alternativa alla detenzione. Da tale cifra va sottratta la quota sottoposta a divieti normativi in ragione del reato commesso, ma – spiega Antigone – “se solo metà di loro ne fruisse avremmo risolto parte del problema dell’affollamento carcerario italiano”.

LE REGIONI PIÙ POVERE PRODUCONO PIÙ DETENUTI
“Se si rapporta il numero di persone detenute per regione di nascita a quello degli abitanti delle stesse regioni, si vede chiaramente come siano le regioni povere quelle da cui proviene la maggior parte dei detenuti”, scrive ancora Antigone nel rapporto.

Il numero di detenuti calabresi è di 19,2 ogni 10.000 persone residenti in Calabria. Seguono la Campania con 15,7, la Sicilia con 13,98, la Puglia con 11,2, la Sardegna con 5,9, il Lazio con 5,1, la Basilicata con 4,9, il Molise con 3,42, l`Abruzzo con 2,95, la Liguria con 2,94, il Piemonte con 2,9, la Lombardia con 2,58 e dietro tutte le altre. I numeri mostrano quanto la condizione sociale ed economica di provenienza influisca sulle possibilità di finire in detenzione”.

Il profilo dei reclusi

ROMA – Su circa 53.700 detenuti sono 851 le persone con più di 70 anni e una parte di loro è in regime di alta sicurezza o in 41-bis. Il Rapporto sulle condizioni di detenzione dell’associazione Antigone, fotografa la situazione socio-anagrafica della popolazione dei penitenziari italiani. Sono 9.497 gli infra-trentenni, “una popolazione giovane – afferma l’associazione che si batte per i diritti nelle carceri – che dovrebbe spingere l’amministrazione a organizzare un piano di azioni educative, scolastiche, culturali e di avviamento al lavoro che tenga conto della loro giovane età”.

Solo un detenuto su dieci ha la laurea o una licenza di scuola media superiore. I detenuti che frequentano la scuola sono circa un terzo del totale. Nell’anno scolastico 2019/2020 gli iscritti erano 20.263 (il 33,4% del totale). Sono 17.115 le persone detenute che lavorano (anche saltuariamente). Oltre l’85% (15.043 persone) è alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria, e solo 2.072 persone lavorano per datori di lavori esterni.

Le donne sono una piccola percentuale della popolazione detenuta, 2.250, cioé il 4,2%. A fine 2020, erano 13 le donne sottoposte al 41 bis. E sono 27 i bambini in carcere, o negli Icam, con le proprie madri: “Siamo – segnala Antigone – a uno dei minimi storici. Un anno prima i bambini in carcere erano 57”.

Gli stranieri sono circa il 32,5% del totale dei detenuti, erano il 37,15% alla fine del 2009, in termini assoluti sono diminuiti di ben 6.723 unità nel giro di 11 anni. Vi sono istituti con una presenza percentuale di detenuti stranieri elevatissima. È questo il caso delle due case di reclusione sarde di Arbus Is Arenas e Lodè-Mamone, rispettivamente con il 78,5% e il 78,2%, questo perché “la Sardegna è luogo di trasferimenti degli stranieri”.

Antigone al ministro Cartabia: “Un tavolo per visione della pena”

ROMA – L’associazione Antigone, che si batte per i diritti nelle carceri, chiede un tavolo per “una comune visione della pena”. “Siamo a disposizione per mettere insieme tutti gli attori del sistema penitenziario affinché abbiano lo stesso linguaggio e visione della pena. Abbiamo molta fiducia nella ministra della Giustizia, Marta Cartabia, e siamo certi che la nostra proposta sarà ben accolta”, ha detto Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, illustrando il Rapporto sulle condizioni di detenzione, che ogni anno fa il punto sulla situazione nelle carceri.

Antigone, nel rapporto, propone di utilizzare più risorse per le misure alternative e per la giustizia di comunità, usando il Recovery fund per investire in case di accoglienza per detenuti in misura alternativa, progetti educativi e sociali che riducano i rischi della devianza, trattamenti socio-terapeutici, per potenziare le dotazioni tecnologiche, le infrastrutture per la didattica a distanza, le reti wifi e telefoniche, e investire nel capitale umano, con giovani educatori. La presentazione è iniziata con il ricordo dei morti di Covid nell’amministrazione penitenziaria, i 10 poliziotti e i 18 detenuti morti di Covid, i 13 detenuti morti dopo le rivolte dello scorso anno: “Metteremo ancora più impegno per muoverci nel solco della visione costituzionale della pena”, ha assicurato Gonnella.

Bernardo Petralia (Dap): “Puntare su moderne strutture”

ROMA – “Bisogna puntare sull’architettura carceraria”, per creare “condizioni di esistenza sociale all’interno delle mure carcerarie che corrispondono a critieri di umanità, a criteri europei e rispettando i principi costituzionali. Ci vogliono strutture nuove, moderne, attuali e attualizzate. Una bella struttura può far funzionare meglio tutto”. Lo ha detto il capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Bernardo Petralia, alla presentazione del Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione, aggiungendo che “stiamo vedendo se possiamo avviarci verso una edificazione che risponda a canoni di buona amministrazione costituzionale dell’area penitenziaria”. Non solo strutture. “Spero di avere a breve una buona notizia, per potenziare l’attività degli educatori. Se si potenzia questo settore – ha sottolineato – stanno meglio i detenuti e sta meglio la polizia penitenziaria”.