La moda dei ciarlatani dei social si diffonde con una rapidità incredibile. Scrivono di tutto e di più, questioni di lana caprina, insignificanti e inconcludenti.
Difficilmente quello che si legge nel numero immenso di siti può farci crescere e soprattutto può farci capire come funzionano le cose in questo mondo. Tuttavia, essi si moltiplicano, per cui dobbiamo avere risorse mentali sufficienti per filtrare le informazioni che riceviamo dai social, scritte da persone che non hanno né arte né parte.
Perché questo preambolo? Perché, invece, vi vogliamo parlare di uno dei massimi inventori dei nostri tempi che, partendo da zero, ha realizzato un’impresa di livello mondiale. Ci riferiamo a Steve Jobs e alla sua Apple.
Egli ha raccontato la sua storia in un famoso discorso che ha tenuto all’Università di Stanford, in California, il 14 giugno del 2005. Dopo avere illustrato un percorso che invitiamo a leggere, questa volta online (perché ci sono anche cose buone), evidenziamo l’appello: “Cari giovani, siate affamati, siate folli”.
Affamati di che cosa? Di crescita, di conoscenza, di novità, di voglia di realizzare l’inesistente. Da questo, il secondo appello: “Siate folli”, il che significa che quando si guarda al di là dell’orizzonte, come fanno pochissime persone, e si immagina la realizzazione di un qualche progetto, bisogna condire questa visione con un pizzico, neanche tanto piccolo, di follia.
Su questa parola invito a leggere il volumetto scritto da Erasmo da Rotterdam nel 1509, “L’Elogio della follia”. Il Frate anticipò Steve Jobs di cinque secoli, ma c’è un collegamento fra i due attraverso il significato di follia.
Perché occorre un pizzico di follia, oltre che una volontà strenua? Perché quando si inventa qualcosa di nuovo la Collettività la rifiuta, spesso per ignoranza o anche per paura, e subito c’è il solone di turno che afferma: “Questo non si può fare”. Ma questo non si può fare non perché è effettivamente così, bensì perché chi lo dice non ha la capacità né la fantasia non solo di realizzarlo, ma neanche di immaginarlo. È un dato di fatto inoppugnabile.
L’appello di Steve Jobs a universitarie e universitari di Stanford, ormai vecchio di quasi vent’anni, è tuttavia attualissimo perché è sui giovani che le attuali generazioni devono puntare e devono farlo con senso di responsabilità, vale a dire fornendo loro tutti gli strumenti mentali e cognitivi per crescere, per allargare il loro sguardo a ciò che è accaduto, a ciò che accade e a ciò che potrebbe accadere.
Se non vengono forniti gli strumenti mentali idonei a questa visione – presente, passata e futura – le generazioni attuali vengono meno a un loro preciso dovere. Ed è purtroppo quello che sta accadendo, perché il materialismo che si diffonde sempre di più a scapito delle cognizioni e della cultura non arreca vantaggio alle future generazioni, ma le “conia” in modo negativo, perché pensano che tutto sia dovuto, che lo svago e il divertimento siano un diritto, che non ci sia alcun dovere a procurarsi quanto necessario per essere liberi.
È ovvio che i giovani sono spensierati ed è giusto che sia così, ma fin da piccoli bisogna insegnar loro che debbono avere un progetto di vita; debbono sapere quello che comunemente si dice: “Cosa farò da grande?”.
Molti di questi giovani raccolgono i frutti di coloro che ancora, per fortuna insegnano. Sono bravi, eccellenti e soprattutto disposti a fare sacrifici, rinunciando a ore di svago e divertimento, utilizzando il proprio cervello per saperne di più e individuare la propria via, che dev’essere la sintesi del proprio pensiero e della propria voglia di fare.
Il mondo si divide fra buoni e cattivi, fra bravi e infingardi, nonostante le sfumature. Per fortuna i secondi e i quarti sono in minoranza. Ma non basta essere brava gente per giustificare la propria vita. Bisogna essere brava gente che pensa bene, che lavora bene, che costruisce il futuro delle prossime generazioni. E ce n’è tanta di brava gente che lavora e funziona così, anche se non basta.
Insomma, lo scenario che descriviamo è in chiaroscuro e resta a ciascuno di noi decidere in quale parte soggiornare: in quella chiara o in quella scura.