PALERMO – Per il Consiglio dei ministri della prossima settimana è previsto un provvedimento del governo Draghi che metterebbe sul piatto tra i 5 e i 7 miliardi di euro contro il caro-energia. Una misura necessaria, visti gli ultimi dati, e stando anche alle preoccupazioni espresse dall’Istat in merito al peso che avrebbe sull’andamento della crescita del Pil per l’anno in corso. Il caro bollette, insomma, si è abbattuto come una tempesta su famiglie e imprese, producendo un impatto devastante per la tenuta del bilancio familiare e per la produzione. Nel mirino anche la tenuta dei fragili conti degli enti locali isolani: alcuni sindaci siciliani hanno spento le luci simbolicamente il 10 febbraio scorso, seguendo l’appello dell’Anci Sicilia che in una nota aveva evidenziato la difficoltà di garantire i servizi essenziali ai cittadini.
A dare un quadro dettagliato del peso che il caro-energia ha avuto sul sistema produttivo italiano ci ha pensato il Centro Studi di Confindustria che, nei giorni scorsi, ha evidenziato la caduta della produzione industriale italiana (-1,3% a gennaio, dopo il -0,7% di dicembre), considerando che l’elettricità è aumentata del 450% nel periodo compreso tra gennaio e dicembre dello scorso anno. Secondo la Cgia di Mestre, per le imprese siciliane si prevede una stangata da 3,5 miliardi di euro, perché si spenderà più del doppio rispetto al 2019.
Rischia di allargarsi, inoltre, la forbice tra le famiglie – con quelle a redditto basso che potrebbero diventare ancora più povere – mentre il futuro di risparmi e crescita resta in dubbio. Anche in questo caso una grossa fetta di responsabilità ce l’ha l’energia: l’Istat ha registrato come a gennaio i prezzi al consumo hanno avuto un incremento del 4,8% su base annua, nonostante l’euro che – spiegano dall’Istat – dalla sua introduzione, “sembra aver svolto una funzione di contenimento delle dinamiche inflattive”.
Ad approfondire le ragioni che hanno poi determinato l’attuale situazione, si può intuire che la tempesta che si è abbattuta, in fondo, data la fragilità riconosciuta del nostro sistema energetico, non può essere considerata una sorpresa. Carlo Stagnaro, direttore ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni (leggi l’intervista), ha spiegato al QdS che “purtroppo i rincari dei prodotti energetici hanno ragioni profonde, quindi molto probabilmente la situazione resterà tesa ancora per diversi mesi e, forse, anni”.
Bisogna infatti considerare che “le tensioni geopolitiche si innestano su una situazione di scarsità pre-esistente, dovuta da un lato al fatto che la domanda è (fortunatamente) ripresa più rapidamente di quanto credevamo, dall’altro al fatto che l’offerta è insufficiente”. Ad aggiungere un ulteriore elemento di analisi è Chicco Testa, presidente di Fise Assoambiente, che, sempre al QdS, ha sottolineato come “già con le crisi petrolifere degli anni Settanta ci rendemmo conto della nostra debolezza energetica e ancora oggi importiamo il 90% dell’energia che ci serve, un elemento che ci condiziona anche a livello geopolitico. E in tutti questi anni non abbiamo fatto nulla, anzi abbiamo persino bloccato opere importanti come il terminale per la rigassificazione di Brindisi”.
E di gas, insomma, proprio in questa fase avremmo un certo bisogno e il peso delle mancate infrastrutture è determinante: “insufficiente è, anzitutto, l’offerta di gas – ha aggiunto Stagnaro –, a causa del perdurante sotto-investimento degli scorsi anni; e purtroppo anche le fonti rinnovabili hanno dato un contributo insoddisfacente a causa soprattutto della scarsa ventosità degli ultimi mesi del 2021”.
Di certo, secondo l’esperto dell’Ibl, questa “crisi, almeno nelle sue dimensioni principali, poteva e doveva essere compresa per tempo” e “adesso, al di là degli interventi emergenziali, non si può far altro che giocare di rimessa: cercare di promuovere investimenti nell’efficienza energetica (per contenere la domanda) e, dal lato dell’offerta, nella ripresa della produzione nazionale di gas e nella velocizzazione dell’iter autorizzativo per le fonti rinnovabili”.
Su tutto domina, appunto, la questione infrastrutture. È stato stimato, in un servizio del Sole 24 Ore di fine dicembre, che la Trans adriatic pipeline (Tap), che consente il passaggio del gas azero in Italia, abbia permesso di calmierare il costo della materia prima di almeno il 10%. È questa la via da battere: “le infrastrutture – ha sottolineato Testa – vanno sviluppate e anche la possibilità di nuove estrazioni di gas nell’Adriatico”. Anche perché rischiamo di restare sotto scacco dei Paesi da cui importiamo gas: principalmente dalla Russia, ma anche dall’Algeria e dalla Libia, realtà che per ragioni diverse sono molto delicate dal punto di vista geopolitico. Certo, ci sono pure il gas azero e quello che arriva dal nord Europa, ma non può essere sufficiente.
Sull’energia sostenibile si gioca una partita determinante, anche in una Sicilia che rischia di non centrare gli obiettivi di burden sharing sulle percentuali di consumi rinnovabili sul totale. Stagnaro sostiene che “le rinnovabili – non solo eolico e fotovoltaico ma anche, per esempio, biometano – sono fondamentali per consentire di ridurre le emissioni e centrare gli obiettivi europei”. Ed è un passaggio che riguarda da vicino i confini regionali: “la Sicilia ha una potenzialità enorme da questo punto di vista, soprattutto nel campo del solare e delle bioenergie. Ma per valorizzare questo potenziale serve sia potenziare le infrastrutture fisiche (a partire dalle reti elettriche), sia migliorare la qualità del settore pubblico: semplificare, creare strumenti per attrarre investitori nazionali ed esteri, investire per formare capitale umano adeguato”.
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