PALERMO – Un alloggio sicuro per le donne vittime di violenza e ai loro bambini. Questo sono le case rifugio, strutture fondamentali per aiutare le donne che vivono, quasi sempre all’interno delle mura domestiche, una condizione tale di sopraffazione per cui la fuga è l’unica soluzione per riuscire a ricostruirsi una vita.
Secondo i dati riportati in questi giorni dall’ultimo aggiornamento dell’Istat, nel 2022 in Sicilia ne erano presenti ben 53, un numero importante che porta la regione in alto nella classifica nazionale.
In Italia, infatti, se ne contano in totale 453, quindi lo 0,08 ogni 10 mila abitanti, mentre in Sicilia tale incidenza sale allo 0,11. Se ci si riferisce alla sola popolazione femminile, si arriva ad un valore siciliano dello 0,21 su 10 mila donne, contro lo 0,15 nazionale.
Se si restringe ulteriormente lo sguardo alle donne vittime di violenza, i numeri siciliani salgono ulteriormente a 3,56, mentre la media nazionale si ferma a 1,93. Meglio della Sicilia soltanto la Lombardia, che sale a 144 case rifugio in termini assoluti, e l’Emilia Romagna a 55.
Numeri che potrebbero sembrare confortanti, segno di una rete di aiuto presente ed efficace, ma che perde forza nel momento in cui si vanno ad analizzare quali e quanti siano gli enti promotori, mostrando un netto vuoto istituzionale. Su 34 di queste strutture che hanno risposto alle domande dell’Istat, soltanto una ha come promotore un Ente locale, mentre le restanti 33 sono sorrette da un soggetto privato.
In percentuale, si parla del 2,9% contro il 97,1%. Al contrario, ad esempio, nel Trentino Alto Adige, in cui le strutture sono tutte sostenute da un ente locale, o il Lazio, dove tale percentuale arriva all’86,7%. Per macrocategorie, è il Centro a segnare la maggiore partecipazione degli enti locali nella gestione di queste strutture, al 36%, seguito dal Nord Est al 32,1%; le Isole si fermano ad un misero 7,7%.
In termini numerici, nel 2022 a livello nazionale è cresciuta l’offerta delle case rifugio: le donne vittime di violenza possono contare 450 case, il 4,4% in più rispetto alle 431 attive nel 2021 e +94% rispetto al 2017, primo anno in cui è stata effettuata l’indagine, anche grazie all’aumento dei finanziamenti erogati negli anni da parte del dipartimento per le Pari opportunità della presidenza del Consiglio.
La distribuzione territoriale delle case rifugio non è omogenea sul territorio nazionale. Nelle regioni del Nord-ovest si trova il 36,4% delle case, il 23,6% nel Nord-est, il 15,6% al Sud, il 12,9% nelle Isole e l’11,6% nel Centro. Obiettivo delle case rifugio è proteggere e salvaguardare l’incolumità fisica e psichica delle donne vittime di violenza e dei loro bambini, a titolo gratuito e indipendentemente dal luogo di residenza, garantendone l’anonimato e la riservatezza, e assicurando alle ospiti alloggio e beni primari per la vita quotidiana.
L’accesso alla casa rifugio può avvenire tramite segnalazione diretta, se proveniente dalla donna vittima di violenza o indiretta, se trasmessa da servizi quali centri antiviolenza, pronto soccorso, 1522, servizi sociali e forze dell’ordine.
Proprio per la delicatezza del lavoro svolto, il livello di professionalità delle case rifugio è molto alto. Il 95,1% degli enti promotori privati e il 94,6% dei gestori privati hanno più di cinque anni di esperienza in materia di violenza contro le donne; circa nel 73% dei casi è stata maturata un’esperienza di oltre 13 anni.
L’elevata specializzazione emerge anche considerando l’attività principale dell’ente promotore o gestore. Il 43% dei promotori privati delle case rifugio e il 42,8% degli enti gestori privati si occupa esclusivamente di violenza di genere. L’attività di prevenzione e contrasto alla violenza maschile è indicata nell’atto costitutivo del 69,7% di questi enti promotori e nel proprio statuto dall’85,3% di essi.