CASTELVETRANO (TP) – Un pugno nello stomaco per togliere il fiato ad una città dormiente, sempre più fatalista. Un testacoda culturale per costruire una nuova coscienza civile in una comunità distrutta dalla sua stessa immagine. Castelvetrano, la città del superboss latitante Matteo Messina Denaro. Quasi un marchio, sicuramente una rappresentazione che cristallizza. Il boss va preso prima possibile, ma c’è anche un territorio da liberare, da far crescere con le sue forze.
E Castelvetrano è anche la città di Giacomo Bonagiuso. Professore, regista, ma soprattutto rivoluzionario. E la sua rivoluzione vuole farla con il teatro. Questo è il suo biglietto da visita: “Fare teatro è in primo luogo un’esperienza. In secondo luogo un’esigenza”. È anche uno strumento di lotta, di resistenza, un progetto antimafia, anti-potere ed anti-politica del nulla, che non cerca le luci della ribalta, che esce dagli schemi, spesso assolutori, della convegnistica e della retorica. “Faccio teatro con non-attori da 30 anni. Qui – aggiunge – non facciamo vetrina e siparietti, non facciamo travestimenti e recite, qui lavoriamo su noi stessi e sui personaggi da interpretare, perché crediamo che raccontare una storia abbia un senso. Se non avesse un senso, staremmo zitti. Se credete in un teatro simile, in questa drammaturgia delle emozioni, noi ci siamo”.
Qui si chiama “Kepos Performing Theater”, una struttura all’avanguardia – spazi, sale prove, teatri all’aperto – che dà a Bonagiuso la possibilità di esprimere e condividere la sua filosofia d’azione: “Reputo il teatro un viaggio dell’anima, della coscienza, non soltanto una routine da professionisti, magari usurata e standardizzata, ma un miracoloso approfondimento di sè, di paure, sorrisi, ansie, grida, tutto. Non ho alcuna remora a dire che spesso trovo più espressivi e veri i miei non-attori di tanti falsi attori professionisti”. La rivoluzione delle coscienze passa dal territorio, non importa se può essere considerato marginale, fuori dai circuiti culturali, perché ha in sé un elemento di forza: il territorio è vero, concreto. Se cresce da una mano al risveglio del senso di comunità. “Per questo – sottolinea Bonagiuso – continuo a dire che la provincia è il miglior luogo possibile dove poter mettere in pratica laboratori di teatro liberi, che non preparano al mondo delle star, ma che fanno crescere davvero. Dentro e fuori. Crescere. Se non vi importa nulla del vostro benessere interiore, di esplorare valli, abissi, montagne dentro e fuori di voi, ma vi interessa solo un applauso, allora non iscrivetevi ai nostri laboratori. Da noi si suda. E molto. E si lavora tanto. Qui usiamo il metodo delle officine teatrali, quello che forgia l’anima tramite il superamento di difficoltà, prove, lavorando su ritmo, corpo, voce, fiato, memoria fisica, emozionale e storica”. Un teatro di liberazione che non può avere ostacoli: “Qui noi accogliamo tutti, senza audizioni, senza provini, perché il teatro è necessario, vitale ed è inclusivo, differente per definizione. E non un quiz da superare”.
Metodo che ha un obiettivo dichiarato: “La gente di un posto ridotto così deve sperimentare l’altro lato della costruzione d’arte per svegliarsi dal torpore politico. I professionisti vengono, dicono, spariscono. Anzi, poiché soldi non ce ne stanno, non vengono proprio. Noi, invece, come società, abbiamo bisogno di una drammaturgia corale che rimetta al centro le nostre voci, le nostre consonanze e dissonanze, i nostri conflitti. I grandi temi tra la gente, con la gente”.
La missione è segnata: “Formare giovani col palato fine e pezzi di società civile a stare dalla parte di chi costruisce cultura. È un gesto totalmente rivoluzionario, eversivo addirittura nell’ambito della monarchia castelvetranese. Le persone che vengono da noi, sperimentato il magma della produzione culturale, non si accontenteranno più del tavolino col panno verde, con le solite cose, dette, ridette, i salamelecchi e lo specchio di Narciso. Queste persone protesteranno di fronte a orizzonti culturali sciatti e chiederanno di meglio”.
La sfida è avvincente ma anche durissima e delicata. Bonagiuso delinea una condizione difficile da affrontare: “La narcotizzazione operata dai nuovi potenti e dalle veline del potere è così profonda che serviranno anni e anni di shock profondo per restituire la città alla città. Per fortuna i potenti e i prepotenti di oggi sono destinati all’estinzione. Definitivamente. Troppo hanno giocato tra le macerie. Non ci si ricorderà neanche del loro nome, perché sono così provinciali da essere incapaci di piantare semi reali. Passeranno, così come il loro mandato”.
Il professore sta pure al gioco, quello di portare la politica del territorio in teatro. Ecco cosa proporrebbe: “Beckett. Aspettando Godot. Gente che attende qualcuno che gli dica cosa fare. Questo qualcuno arriverà domani. Sempre domani. Intanto arrivano solo starlette e prestigiatori che ripetono che la colpa è degli altri. Con ogni rispetto per i prestigiatori, s’intende. Mi scuso se cito Beckett, capisco che non si usa molto nei paeselli, ma io continuo a credere che nel sapere risiede il seme della rivoluzione. Perché se non si vola alto si finisce per strisciare. E a me strisciare o strusciarmi non piace affatto”.