Compare Tino, seduto come un presidente, sugli scalini della chiesa, sputava sentenze: Sentite a me; prima della rivoluzione era tutt’altra cosa. Adesso i pesci sono maliziati, ve lo dico io!
No; le acciughe sentono il grecale ventiquattr’ore prima di arrivare, riprendeva padron ‘Ntoni; è sempre stato così; l’acciuga è un pesce che ha più giudizio del tonno. Ora di là del Capo dei Mulini, li scopano dal mare tutti in una volta, colle reti fitte.
Chi sostiene che la storia si ripete, farebbe bene a rileggersi I Malavoglia per comprendere come parlare di sardine dalle parti di Catania sia cosa piuttosto seria. Soprattutto se se ne parla in quella Piscaria dei pisciari in cui la destra sociale di Benito Paolone era padrona.
La serietà di parlare di pesce in Pescheria
Una cosa seria, sì, parlare di pesce, da queste parti.
La manifestazione è prevista per le diciotto, le sei del pomeriggio, ma alcuni arrivano prima.
A vedere il cartello “‘I sardini ‘a Piscaria, cu’ s’i ‘ccatta s’arricria!”, subito si avvicina qualcuno per spiegarti che la sarda (sardella la chiamava, da viva, Giovanni Verga) appartiene alla stessa famiglia di pesci, gli engraulidi, di quella che in italiano viene chiamata acciuga e qui da noi masculina (il masculu è un piccolo petardo).
Il discorso si complica quando sottolineano che la sarda diventa sardina e il masculinu diventa anciova, soltanto dopo esser stati salati.
Poi, mentre la piazza Alonzo Di Benedetto si riempie di un altro genere di Sardine, il discorso si sposta inevitabilmente sulla masculina d’a magghia, che prende il nome dal tipo di rete menaide con cui viene pescata, dalle maglie larghe appena un centimetro: mani aperte descrivono archi amplissimi a magnificarne il sapore.
“Non c’è più lavoro, non c’è più decoro”
Il tempo di ascoltare “Com’è profondo il mare” di Lucio Dalla, “sigla” ufficiale della manifestazione (È inutile/Non c’è più lavoro/Non c’è più decoro/Dio o chi per lui/Sta cercando di dividerci/Di farci del male/Di farci annegare) e la piazza diventa d’improvviso troppo stretta.
Si tratta con la Digos per invadere la piazza del Duomo, proprio sotto l’elefante, il liotru. L’autorizzazione arriva e chi esce dal dietro la fontana dell’Amenano si incontra con i ritardatari al ritmo dell’indiavolato fischietto di Manola Micalizzi che guida i ragazzi percussionisti di Sambazita, il naso per aria ad ammirare le enormi bolle di sapone che fanno tornare bambini.
Lo stupore per l’etereogeneità dei partecipanti
E’ in quel momento che scatta lo stupore.
Intanto per l’eterogeneità dei partecipanti: giacche e cravatte, jeans e maglioni (persino qualche eskimo!), trucco accurato e piercing, permanente e tatuaggi, attempate signore e giovani barbuti, pelate e capelli d’ogni lunghezza, foggia e colore.
Tante famiglie e bambini
E soprattutto tanti bambini, alcune sulle spalle dei padri, come si usava una volta, per vedere meglio quella grande folla. Famiglie c’erano. Le famiglie di oggi: allargate, diverse, separate e ri-unite. Un banco (non un branco, sottolinea un cartello) composito: c’è chi ti aspetti di trovare e chi non ti aspetti.
Come coloro i quali hanno sempre convintamente votato il centrodestra ma la Lega non l’hanno mai digerita.
C’erano anche pesci “azzurri”
Alcuni, che allora militavano nel Fronte della Gioventù catanese, nel giugno del 1991, lungo la via Etnea avevano urlato a squarciagola “Bossi razzista sei il primo della lista” facendolo scappare e tirando sulla sua auto monete da cento lire.
Molti sottolineano di non aver dimenticato che i leghisti gridavano “Forza Etna”, che hanno imposto quel federalismo fiscale che ha affamato i Comuni del Sud, e che la Lega ha truffato agli italiani 49 milioni di euro.
E adesso sono qui, tra le Sardine. Nel banco ma non nel branco. Diversi e uguali.
“Anche noi pesce azzurro!” scherza uno, canticchiando il motivetto di Forza Italia. E sussurra che il 14 dicembre tra le Sardine di Roma ci sarà anche Francesca Pascale, fidanzata di Silvio Berlusconi.
Chissà se porterà Dudù…
Il messaggio a Salvini, adesso basta odio
Intanto, stretti sotto il liotru ché l’amplificazione non funziona e bisogna arrangiarsi con i megafoni comprati in tutta fretta dagli ambulanti, si manda una risposta al convitato di pietra, il Matteo Salvini dei “pieni poteri”: adesso basta odio.
Certo, non si sente molto, ma si ascolta con il cuore. Ci si passa la voce.
Vengono scanditi gli articoli della Costituzione repubblicana, si leggono poesie e un testo di Fava, salutato da un coro, “Pippo, Pippo”.
Quasi quanti a un concerto di Capodanno
Si mescolano le diversità, come nei Malavoglia: sembra di rivedere i caratteri degli abitanti di Trezza descritti da Verga in quel romanzo non a caso definito corale. E il coro s’ingrossa.
“Quanti sono!” esclama a mezza voce un tutore dell’Ordine.
Tanti sono. “Quasi quanti ce n’erano per i concerti di Capodanno” dice qualcuno. Davvero tanti in una città che pareva inerte e indifferente.
Più sociali e meno social
Persone, come si dice, più sociali e meno social. Uomini e donne d’ogni età e ideale e condizione sociale, che, nonostante la temperatura non ideale a queste latitudini, si incontrano, si salutano cortesemente, parlano, si stringono le mani, si abbracciano, si scambiano informazioni non più attraverso una tastiera o uno smartphone, ma attraverso i sorrisi, modulando la voce, esclamando, sussurrando.
“Bella ciao” e i cartelli antisalvini
Ballano, sembrano felici mentre accendono le torce dei cellulari, mentre scandiscono “Siamo tutti antirazzisti”, mentre cantano “Imagine” di John Lennon, “La Storia siamo noi” di Francesco De Gregori e l’immancabile “Bella Ciao”.
E mentre esibiscono grandi sagome argentate a forma di sardina e variopinti cartelli: “Leghisti, l’Etna vi abbraccia calorosamente”, “Sardine Unite. Sgombriamo il Capitone, la Sicilia non si Lega”, “Non ci farete a beccafico”, “Salvini, più Sardine più arancini”, “Meglio un giorno da sardina che cento da capitone”, “A Catania la Lega allicca la sarda” (e il retro “Viva il banco, abbasso il branco!”), “Sardine pesce azzurro con fosforo e memoria, la nostra protesta resterà nella storia”, “Nuotiamo tutti nella stessa direzione”, “Catania non si lega, no ai pieni poteri”, “Catania non si Lega, la gente non si annega”, “Le sardine siciliane amano nuotare in un mare globale”, “Non perdiamo la speranza, con le carezze facciamo opposizione” e tanti altri.
L’effetto della “passata” delle Sardine
Poi la piazza del Duomo, intorno alle venti, le otto di sera, lentamente, si svuota.
Ma così come per i pescatori di Trezza una “passata” di sarde rappresentava una fortuna, la manifestazione delle Sardine è apparsa un balsamo per la democrazia: Catania ha dato una risposta non solo a chi chiede pieni poteri, ma anche a tutti coloro i quali sembrano voler cedere alla tentazione dell’uomo forte, antidemocratico, dispotico, che esercita il proprio potere attraverso l’odio.
Ma anche la scoperta che la socialità in carne e ossa, quella praticata, come l’umanità, rende migliori.