Inchiesta

Catania-Ragusa, meno dell’1% dei lavori in un anno. Regione e Anas: “Il cronoprogramma sarà rispettato”

Dallo 0,08 allo 0,69 e persino un caso in cui, apparentemente, sembra sia ancora tutto fermo. Sono le percentuali infinitesimali che, dodici mesi dopo la consegna dei lavori, descrivono l’andamento dei cantieri sui quattro lotti della Catania-Ragusa. Attorno al progetto della superstrada negli ultimi anni si è sviluppata una lunga serie di vicende che hanno trasformato il progetto – la cui storia affonda le radici alla fine anni Novanta (vedi più sotto) – in terreno di confronto e scontro tra il governo nazionale e quello regionale, e tra i partiti che a Roma si sono avvicendati alla guida del Paese.

Un lungo rosario di promesse, garanzie, rilanci

Un lungo rosario di promesse, garanzie, rilanci, timori che la scorsa primavera ha portato finalmente alla consegna dei cantieri nei quattro lotti in cui l’opera è stata suddivisa: il primo, il più a sud e del valore di 254 milioni, a WeBuild; il secondo da 300 milioni, che interessa il tratto fino allo svincolo Grammichele, a Icm; il terzo – per un importo di oltre 272 milioni – al raggruppamento formato da Rizzani De Eccher, Sacaim e Manelli, a cui spetterà la realizzazione del tratto tra Grammichele e Francoforte; e infine quello più a nord da oltre 427 milioni, aggiudicato da Cosedil, Fincantieri Infrastructure e D’Agostino Costruzioni Generali.

Stefania Campo punta il dito contro Renato Schifani

Un anno dopo, però, c’è chi solleva il dubbio che le cose non stiano andando come dovrebbero: “La Ragusa-Catania vedrà la luce, se va bene, nel 2050”, ha dichiarato ieri la deputata regionale Stefania Campo. L’esponente pentastellata, originaria del capoluogo ibleo, punta il dito contro Renato Schifani che, dopo essere stato eletto governatore, ha ereditato da Nello Musumeci i poteri di commissario straordinario. Lo stesso Schifani, tuttavia, a fine 2023 aveva annunciato di essere intenzionato a rinunciare al ruolo, di recente acquisito anche nel campo dei rifiuti, in quanto una volta appaltati i lavori ogni tipo di criticità legata all’avanzamento della procedura di affidamento dei lavori sembrava essere venuta meno. “Schifani non cerchi di smarcarsi implorando la revoca del ruolo di commissario per scaricare su altri la colpa dei ritardi. Se i lavori sono fermi, o quasi, la colpa è soprattutto sua”, è l’attacco che arriva dall’opposizione.

A contribuire ad alzare il polverone sono stati i dati incamerati da Anas, l’ente appaltatore e futuro gestore della Catania-Ragusa che ha in Raffaele Celia il sub-commissario chiamato concretamente a seguire lo sviluppo dell’opera per conto della Regione. Dal portale InfoCantieri, infatti, emerge che il lotto dove i lavori sono andati più avanti è il quarto, quello che vede coinvolta la società catanese Cosedil. Tuttavia, si tratta di appena lo 0,69 per cento rispetto al totale dell’opera: “Non ho nessuna dichiarazione da rilasciare”, chiosa contattato dal QdS Gaetano Vecchio, direttore generale di Cosedil e da qualche mese a capo di Confindustria Sicilia. Andando a ritroso nelle percentuali di esecuzione si trova lo 0,13 per cento del lotto affidato a WeBuild e lo 0,08 per cento di quello aggiudicato da Rizzani De Eccher, Saicam e Manelli. Nessun dato, invece, per quanto riguarda il lotto vinto da Icm.

La risposta dell’assessore regionale Alessandro Aricò

A rispondere alle recriminazioni del Movimento 5 Stelle è l’assessore regionale ai Lavori pubblici Alessandro Aricò. “Non possiamo che constatare la volontà di creare inutili allarmismi. In questo momento – ha commentato l’esponente della giunta Schifani – guardare alle percentuali di completamento è fuorviante e non restituisce la realtà dei fatti. Dopo l’affidamento in via d’urgenza è stato necessario completare tutte le procedure propedeutiche. Anzi, da questo punto di vista, passaggi come quello degli espropri hanno avuto tempi più veloci rispetto al solito. Al momento – aggiunge – si stanno rispettando i tempi tecnici previsti dal cronoprogramma senza alcun ritardo. Superate tutte le procedure propedeutiche, nei prossimi mesi si assisterà ad un’attività ancora più intensa nei cantieri. Il governo Schifani sta ponendo e continuerà a porre la massima attenzione su questa infrastruttura e su tutta la Sicilia sud-orientale come ha sempre fatto”.

Secondo la nota dell’Anas tutto regolare

L’assessore regionale fa riferimento a “una recente relazione sullo stato dei lavori” prodotta da Anas da cui si trarrebbero sufficienti rassicurazioni. In tal senso, le parole di Aricò ricalcano per buona parte quanto dichiarato dalla stessa Anas in una nota diretta al Quotidiano di Sicilia: “Il concreto avvio delle lavorazioni è stato fisiologicamente condizionato dalla necessità di dover completare su tutti i lotti diverse attività quali il monitoraggio ambientale ante operam, le immissioni nel possesso e gli stati di consistenza delle aree occorrenti all’esecuzione delle opere, le attività di bonifica dagli ordigni bellici e la rimozione delle principali interferenze”, si legge nel documento. Nel corso di questo primo anno, continua Anas, “si è data l’opportunità a tutte le imprese di completare le attività di cantierizzazione e di organizzare le filiere produttive”.

La nota della stazione appaltante conferma poi alcune informazioni verificate dal Quotidiano di Sicilia tramite fonti sindacali, secondo i quali nei singoli cantieri in questi mesi ci sono soltanto pochi operai: “Su tutti i lotti sono a oggi in esecuzione le lavorazioni di movimento terra per la realizzazione delle trincee e dei rilevati ed è stata avviata la realizzazione di diverse opere d’arte – prosegue la nota –. Nei prossimi mesi si assisterà ad un progressivo incremento delle attività”. Infine la conferma che il cronoprogramma verrà rispettato: “Non esistono al momento criticità pregiudizievoli al rispetto delle tempistiche programmate per il completamento delle opere”.

A gettare acqua sul fuoco è anche Santo Cutrone, il presidente di Ance Sicilia, l’associazione che riunisce i costruttori edili: “Mi capita spesso di muovermi tra Ragusa e Catania e posso confermare che i lavori non sono così indietro, specialmente nel secondo e nel quarto lotto le fanti di cantierizzazione sono ormai completate”.

Dagli anni 90 a oggi, il percorso accidentato di una delle infrastrutture più “promesse”

Se il ponte sullo Stretto vanta un primato probabilmente ineguagliabile in fatto di promesse, proclami, contestazioni, cambi di orientamento e chiaramente spese su spese senza arrivare mai a nulla – ma stavolta c’è chi garantisce che le cose andranno diversamente -, la vicenda della Catania-Ragusa può rivendicare un posto di primo piano nella classifica delle opere con le storie più accidentate. Quello sulle presunte lentezze nell’avvio dei cantieri, denunciate ieri dal M5s e a cui a stretto giro ha risposto il governo Schifani, è soltanto l’ultimo capitolo di una storia in cui nel corso degli anni si è andati avanti incespicando di continuo.

Il progetto per realizzare una super-strada capace di collegare la parte meridionale della provincia catanese con il capoluogo ibleo in modo più veloce – ma anche più sicuro grazie alla realizzazione di due carreggiate che dovrebbero contribuire a ridurre gli incidenti mortali – nasce a fine anni Novanta, quando l’imprenditore e deputato di era democristiana Vito Bonsignore ottenne dallo Stato la concessione per la realizzazione in project financing della Catania-Ragusa. A eseguire le opere e gestire l’arteria sarebbe dovuta essere l’impresa di famiglia Sarc. Tra il dire e il fare, però, ci sono stati decenni di quasi nulla, fino al 2018 quando il tema è tornato a essere centrale nella politica, tanto nazionale che regionale.

All’epoca del primo governo Conte, con ministro delle Infrastrutture il cinquestelle Danilo Toninelli, ha iniziato a prendere piede l’ipotesi di una revoca della concessione. L’idea nasceva dai dubbi sulla reale possibilità che il progetto così come immaginato originariamente da Sarc potesse vedere realmente la luce. A preoccupare più di tutto, tanto a Roma quanto a Palermo, era la possibilità di ritrovarsi con una super-strada per ricchi: conti alla mano, il pedaggio rischiava di costare 18 euro per una tratta di poco superiore a sessanta chilometri.

Tuttavia, lo spauracchio rappresentato dal rischio di aprire un contenzioso con il privato – e anche da questo punto di vista inevitabile pensare alla saga del ponte sullo Stretto – ha via via fatto accantonare la possibilità di arrivare all’atto di forza, aprendo invece a un altro scenario: la trattativa per rilevare il progetto e far sì che a realizzare la Catania-Ragusa fosse il pubblico. Tra perizie e qualche tentennamento l’accordo con Sarc alla fine è arrivato per la cifra di 36 milioni di euro.

L’accordo con Bonsignore è stato siglato all’epoca del governo Conte II, con la dem Paola De Micheli ministra alle Infrastrutture. La somma – la cui autorizzazione alla spesa, condivisa anche dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe), è stata inserita nel decreto Milleproroghe di fine 2019 – è servita a compensare le spese affrontate negli anni da Sarc e ad acquistare il progetto definitivo.

Su tale compravendita nel 2021 ha acceso i riflettori la Corte dei conti, mentre a inizio di quest’anno Bonsignore è finito tra gli indagati dell’inchiesta della procura di Roma sul giro di corruzione nelle commesse Anas, che avrebbe avuto in Tommaso Verdini – figlio del politico Denis, anche lui indagato – il principali protagonista. Proprio ieri è arrivata la notizia della richiesta di patteggiamento della pena di due anni da parte di Verdini jr. Agli atti dell’inchiesta ci sono anche alcuni incontri tra Bonsignore e i Verdini, con il primo che avrebbe chiesto un’intercessione presso Anas per farsi promotore di alcune opere infrastrutturali, tra cui lavori sulla Catania-Ragusa.