Riuscivano ad avere uno smartphone in carcere e con esso potevano continuare a gestire i loro affari sporchi. Sono circa 50 gli indagati di una maxi inchiesta che ha coinvolto anche professionisti esterni al penitenziario. Il traffico illecito col materiale proibito è stato scoperto nel carcere della Dozza di Bologna. Più di cento dispositivi, perlopiù smartphone e microtelefoni, e altrettante sim. Fra gli indagati dell’inchiesta in mano al pm Roberto Ceroni ci sono anche due agrigentini: Antonino Chiazza 53 anni, di Canicattì, e Carmelo Nicotra, 40 anni, di Favara.
Tra gli indagati anche un’avvocata e un fornitore esterno del carcere, entrambi accusati di fare da tramite per lo scambio di telefoni ma anche di stupefacenti. Alcuni dispositivi venivano consegnati ai detenuti tramite un drone. Tra i 50 indagati anche boss e killer di mafia, anche albanese, marocchina e nigeriana, camorra e ‘ndrangheta. Dall’interno delle loro celle, i capi di “cosa nostra” e delle organizzazioni criminali aumentavano il loro controllo, sia all’interno che all’esterno del penitenziario.