CATANIA – Tra il dire e il fare, c’è di mezzo la cenere vulcanica. È stato necessario attendere quattro mesi per il primo test riguardante le capacità della Regione e dei Comuni di trasformare in azioni concrete quello che finora era stato stabilito sulla carta, ovvero riuscire finalmente a trasformare in risorsa ciò che da sempre è stato trattato come un rifiuto. Con tanto di costi aggiuntivi ad aggravare le sofferenti casse pubbliche in materia di smaltimento.
A due giorni dal parossismo che per la prima volta nel 2024 ha ricordato agli abitanti dei comuni pedemontani e non solo cosa significa vivere a ridosso di un vulcano attivo, si può dire che i processi stabiliti, a fine febbraio, con un decreto dell’assessore regionale Roberto Di Mauro sono ancora da mettere a regime. Qualche passo in avanti sembra essere stato fatto, ma da qui a poter dire che ogni qual volta che strade, piazze e proprietà private si ricopriranno di cenere vulcanica, la stessa sarà sfruttata per alimentare i cicli produttivi del settore delle costruzioni ne passerà.
Un fatto, questo, che per chi è avvezzo alle cose che accadono in Sicilia, ma più in generale a quello che passa per la burocrazia, non stupisce più di tanto anche se poi il quesito verso cui si tende è sempre lo stesso: non ci si poteva far trovare pronti per tempo? “Stiamo operando con servizi continui di spazzamento e raccolta, dando priorità alle strade principali, alle vie di soccorso e alle rotatorie – spiega al Quotidiano di Sicilia l’assessore all’Ecologia del Comune di Catania Salvo Tomarchio –. Ci vorrà un po’ di tempo per rientrare nella normalità, probabilmente qualche settimana. Ne è caduta in tutta la città”. Quando si chiede cosa ne verrà fatto della cenere, Tomarchio replica: “Si porterà tutto in una piattaforma dedicata che raccoglie solo cenere vulcanica. È un rifiuto che ha un suo flusso dedicato che prevede anche il riutilizzo. Queste sono le indicazioni che abbiamo dalla Regione e pertanto ci atteniamo, non è previsto altro”.
Altri dettagli non trapelano e la ricostruzione, in tal senso, risulta inevitabilmente parziale. Nelle linee guida diramate a febbraio dalla Regione, infatti, vengono descritti i passaggi che dovranno essere fatti sia per quanto riguarda la comunicazione del nuovo approccio di gestione della cenere vulcanica, ma anche l’individuazione delle rose di imprese che, a costo zero, potranno prelevare il materiale per utilizzarlo nel ciclo produttivo delle costruzioni.
Passaggi di cui al momento nessuno sembra saperne più di tanto. Perlomeno è questo ciò che emerge dai centri dell’area etnea, colpite a vario titolo dal fenomeno che ha causato problemi anche al traffico aereo. “Da noi ne è caduta tantissima, al momento ci stiamo occupando soltanto di pulire le strade. Siamo al lavoro per individuare un’area di stoccaggio, poi penseremo a ciò che dovrà essere fatto della cenere”, dichiara al Qds Alfio Cristaudo, sindaco di Pedara. “L’orientamento – commenta Francesco Laudani, presidente della Srr Catania Area Metropolitana ma anche presidente del Consiglio comunale a Pedara – è quello di andare verso un’ordinanza che disponga i conferimenti della cenere da parte dei cittadini senza l’utilizzo di buste di plastica, altrimenti si vanifica la possibilità di riutilizzare il materiale”.
Un altro centro in cui in queste ore il pensiero è rivolto alla pulizia delle strade e al ripristino delle condizioni di sicurezza è Valverde. “Ci sitiamo occupando della messa in sicurezza delle bambinopoli e delle aree comunali. La cenere caduta – spiega il primo cittadino Domenico Caggegi – è molto sottile e ciò rende le strade particolarmente scivolose. Smaltimento? Per ora stiamo disponendo i conferimenti in alcuni scarrabili che si trovano nell’isola ecologica, poi si vedrà”. Tra i Comuni risparmiati dalla pioggia di cenere c’è Acireale, che negli anni scorsi è stata però più volte colpita. “Ci siamo attivati per ottemperare a quanto previsto dalle linee guida della Regione per la raccolta, la detenzione e l’utilizzo della cenere”, è il commento che arriva da Palazzo di città.
A mancare, però, resta la messa in atto delle azioni che dovrebbero portare le aziende a prelevare il materiale. Un fatto non secondario se si considera che, negli anni scorsi, è già capitato che i luoghi di raccolta della cenere si siano trasformati con il passare dei mesi in discariche abusive. Al contempo va detto che il protocollo è più complesso di quanto si può pensare. Non basterà che un’impresa si faccia avanti con i propri camion per caricare la cenere. Bisognerà fare analisi per accertarne l’utilizzabilità, ma anche redigere un albo di operatori qualificati in modo da snellire un processo che altrimenti rischierebbe di essere pachidermico.
Quando ciò accadrà non è semplice dirlo. E anche dalla Regione, per il momento, le indicazioni che arrivano ai Comuni riguardano più la necessità di superare l’emergenza. Con l’avvertenza che le spese per la pulizia delle strade, ancora una volta, dovrebbero essere a carico dei Comuni. “Al momento, salvo ulteriori verifiche e variazioni di bilancio, non avendo sui capitoli ordinari sufficienti risorse non possiamo assicurare contributi per tali interventi”, ha fatto sapere la Protezione civile in un messaggio inviato ieri ai primi cittadini, ai quali è stato chiesto di comportarsi “come per gli altri casi avvenuti negli anni” e di procedere comunque “alla stima dei costi” distinguendo gli interventi per tipologie. “Invitate le persone a non smaltire la sabbia sulla strada ma lasciarla sui propri gradini e orti e aree verdi – continua la nota –. Se accumulate le ceneri fate in modo che non si sporchino o siano sporcate da altri rifiuti in modo che il recupero sia poi possibile a costi bassi”.
Infine un’avvertenza sulle modalità con cui effettuare le stime dei quantitativi ricaduti: “Scrivete i dati il più possibile precisi – viene richiesto –. Spessori stimati da un millimetro ovvero 1,5 chilo per metro quadrato a tre millimetri ovvero 4 chili per metro quadrato. I vostri tecnici sanno come fare. Non usare altre espressioni sul grado di copertura non di interesse della Protezione civile”.
Togliere l’etichetta di rifiuto e trasformarla in materia prima per le costruzioni. Il dibattito su cosa fare della cenere vulcanica ha una lunga storia in Sicilia, specialmente in quei comuni della parte orientale dell’isola che periodicamente sono chiamati a fare i conti con i parossismi dell’Etna.
A febbraio scorso, la Regione – sulla scorta di studi prodotti dal Dicam dell’Università di Catania – ha diramato le linee guida per la gestione di quella che i siciliani chiamano “rina”. Una possibilità che è resa possibile anche dal codice dell’ambiente che all’articolo 183 dice che “le operazioni di prelievo, raggruppamento, selezione e deposito preliminare delle ceneri vulcaniche, anche ove frammiste ad altri materiali di origine antropica, effettuate, nel tempo strettamente necessario, presso il medesimo sito di nel quale detti eventi li hanno depositati, non costituiscono attività di gestione dei rifiuti”.
Va da sé, però, che il materiale raccolto da strade, piazze, tetti e balconi deve fornire le garanzie necessarie a escludere che il suo riutilizzo possa causare danni all’ambiente o alla salute. Per questo l’iter previsto dalla Regione, e che ancora deve essere messo realmente a regime dai Comuni, prevede che le ceneri vengano sottoposte ad analisi specifiche.
“Sarà necessario prima della cessione ai soggetti interessati – si legge nel decreto varato dall’assessore Roberto Di Mauro – effettuare una caratterizzazione delle ceneri vulcaniche rispetto ad inquinanti di origine antropica, ad esempio gli idrocarburi totali e quelli di origine naturale, come mercurio, cadmio e nichel, oltre alla valutazione dei livelli di radioattività legati alla presenza di radionuclidi naturali”.
A essere coinvolte in queste indagini sarà l’Arpa. “Si tratta di prassi che in passato non venivano fatte. Il nostro personale sta pianificando il da farsi”, è il commento che arriva al Qds dall’interno dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente.
Le regole del gioco prevedono che a impegnarsi attivamente a monitorare la qualità del materiale debbano essere anche le aziende che a quella cenere potranno ambire a costo zero. Un’opportunità che ricambia il favore fatto ai Comuni nel momento in cui non dovranno più essere affrontati costi di smaltimento in discarica.
“È a carico del soggetto interessato – viene specificato nel decreto – l’effettuazione di tutte le verifiche per l’ottenimento di ogni certificazione atta a dimostrare l’idoneità del materiale all’utilizzo in un ciclo produttivo. Il soggetto interessato continuerà ad effettuare il monitoraggio delle matrici ambientali coinvolte al fine di verificare che l’utilizzo di tali materiali non comporti alcun danno all’ambiente né metta in pericolo la salute umana”.
Ma quali saranno le imprese coinvolte e i cicli produttivi? Al momento è tutto poco chiaro. Le linee guida, infatti, dispongono che se i sindaci saranno i soggetti responsabili della raccolta e dello stoccaggio in apposite aree comunali del materiale, coloro che saranno autorizzati dalla Regione a prelevare le ceneri dovranno essere inserite in uno speciale albo. “Il soggetto interessato al ritiro e successivo utilizzo delle ceneri dovrà effettuare comunicazione del proprio interesse al ritiro delle ceneri”, viene spiegato. “Dovranno preventivamente comunicare ai Comuni le caratteristiche del proprio ciclo produttivo, secondo uno schema che verrà predisposto dal Dicar dell’Università di Catania, che ne valuterà, su incarico di ogni singolo Comune, la conformità con gli obiettivi del presente decreto ai fini dell’inserimento nell’albo”.
Per adesso, l’impressione generale è che su questo fronte sia ancora quasi tutto da organizzare. “Forse dovremo indire una manifestazione d’interesse?”, ragionava ieri uno dei sindaci del comprensorio etneo.