Inchiesta

Centri per l’impiego all’ingrasso, disoccupati dimenticati

I concorsi, in Sicilia, creano da sempre una certa frenesia, quasi eccitazione, come quando succede qualcosa fuori dall’ordinario, che non ti aspetti. Ed è un po’ quello che è successo con l’annuncio, da parte della Regione siciliana, di 1.024 nuove assunzioni nei Centri per l’impiego della nostra Isola.

Ma andare oltre il facile entusiasmo è doveroso. “L’Anpal non conosce il mercato del lavoro, i Centri per l’impiego non dialogano”: la Corte dei Conti con queste parole conclude l’indagine sul “Funzionamento dei centri per l’impiego nell’ottica dello sviluppo del mercato del lavoro” condotta dalla Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato. Dotazione informatica insufficiente e organizzazione eterogenea che rallenta le procedure: è attorno a questi due nodi (irrisolti) che i magistrati contabili hanno concentrato la loro attenzione al fine di documentare l’inefficienza di un sistema che non va da nessuna parte.

La pandemia ha certamente rallentato la creazione di nuovi posti di lavoro ma lo scollamento tra domanda e offerta di lavoro e la carenza di professionalità adatte alle esigenze di un mercato del lavoro in continua evoluzione affondano radici ben più profonde.

Torniamo al concorso: che senso ha ingrassare i Centri per l’impiego, assumere altro personale se restano irrisolte le criticità che ne impediscono il funzionamento?
Dai dati forniti dalle amministrazioni regionali la Rete pubblica dei servizi per il lavoro, riferibile all’anno 2019, nel complesso risulta composta da 739 Cpi: di questi, 64 in Sicilia (numero più alto d’Italia dopo Puglia 86 e Lombardia 82).

Proprio in Sicilia, i Centri per l’impiego di personale sono strapieni: se escludiamo i navigator (409), gli operatori nell’Isola sono 1.782: una dotazione di organico significativa che non ha eguali in altre regioni italiane.
Era lo scorso 23 giugno. In un’intervista rilasciata al Quotidiano di Sicilia, l’assessore regionale al Lavoro, Antonio Scavone, ammetteva il mancato collegamento in Sicilia tra i Centri per l’Impiego la Formazione professionale: “Grave vulnus del sistema – ci aveva detto – che non coinvolge solo la Sicilia ma anche altre Regioni d’Italia”.
A che serve, dunque, imbarcare nuovo personale che di fatto non potrà dare una mano, stando così le cose ai disoccupati siciliani? Fino a quando i Centri per l’impiego continueranno ad essere contenitori pieni solo di personale non sarà possibile dare risposte a quei disoccupati che cercano disperatamente una collocazione nel mondo del lavoro. Intanto, disoccupazione e povertà dilagano in Sicilia.

Quasi il 20% dei percettori del reddito di cittadinanza risiede in Sicilia. I dati dell’osservatorio sul reddito e pensione di cittadinanza dell’Inps raccontano di un continuo aumento dei nuclei che percepiscono l’ammortizzatore sociale: se nel 2019 erano 172 mila, nel 2020 sono cresciuti a oltre 250 mila e nei primi undici mesi del 2021 sono arrivati a quasi 278 mila. In totale, si parla di 694.565 persone coinvolte, con un assegno dall’importo medio di 626,66 euro; oltre 200 mila persone in più in soli due anni, segnale chiaro di quelli che sono stati due anni di emergenza sanitaria che hanno sconvolto l’economia regionale, nazionale e mondiale. Anche le pensioni di cittadinanza sono aumentate negli anni: nel 2019 erano 19.847, cresciute a 23.644 nel 2020, e ancora, nel 2021, a 25.303, con un importo medio di 268,44 euro e 29.090 persone coinvolte. In totale, sono ben 723.655 i siciliani che percepiscono uno dei due ammortizzatori sociali, con un importo medio di 595,41 euro.

Una cifra importante e preoccupante, se si pensa nel panorama nazionale che, nel periodo gennaio-novembre, secondo i dati Inps, i nuclei percettori del RdC sono stati quasi 1,57 milioni, mentre i percettori di PdC sono stati più di 166 mila, per un totale di quasi 1,74 milioni di nuclei e oltre 3,89 milioni di persone coinvolte, per un importo medio di circa 546 euro. Il peso specifico siciliano è imponente rapportando il dato a quello nazionale: il 17,7% dei nuclei familiari che agganciano il sussidio sono siciliani rispetto al contesto nazionale; si scende al 15% invece per quanto concerne la pensione di cittadinanza. Mettendo assieme le cifre di reddito e pensione di cittadinanza il totale dei nuclei coinvolti è quasi il 17,5% del totale nazionale.

La Sicilia quindi si conferma una delle regioni che maggiormente pesa sull’esborso di questo assegno. Andando a dare uno sguardo adesso alle cifre nazionali il singolo mese di novembre parla di oltre 1,36 milioni di nuclei percettori totali, con tre milioni di persone coinvolte e un importo medio erogato a livello nazionale di 544 euro (575 euro per il RdC e 279 euro per la PdC). L’importo medio in Italia varia in base al numero dei componenti il nucleo familiare, e va da un minimo di 445 euro per i monocomponenti a un massimo di 697 euro per le famiglie con quattro componenti. Sul totale dei percettori, sono 313 mila cittadini extra comunitari con permesso di soggiorno Ue e circa 115mila cittadini europei. La distribuzione per aree geografiche, nel mese di novembre scorso, vede quasi 588 mila beneficiari al Nord, oltre 425mila al Centro e due milioni nell’area Sud e Isole. Il grande aumento in termini numerici diventa ancora più importante se si pensa che, nei primi undici mesi del 2021, le revoche del sussidio hanno riguardato oltre 103 mila nuclei e le decadenze sono state oltre 278 mila. Numeri alti riguardano anche il reddito di emergenza: per i mesi di marzo, aprile e maggio sono stati oltre 594mila i nuclei a cui è stata pagata almeno una mensilità nel 2021, delle tre previste, con un importo medio mensile di circa 545 euro e un numero di persone coinvolte di oltre 1,35 milioni. Oltre 828mila sono cittadini italiani (quasi 324 mila nuclei con un importo medio mensile di 582 euro), quasi 442mila cittadini extracomunitari (quasi 234 mila nuclei con un importo medio mensile di 494 euro) e quasi 82 mila cittadini comunitari (quasi 36 mila nuclei e importo medio mensile di 536 euro).

L’assistenzialismo ha affossato la Sicilia. Basta sussidi, invertire subito la rotta

Ha ragione il Presidente della Regione, Nello Musumeci: “La Sicilia sconta 40 anni di vergognoso abbandono da parte dei governi che si sono alternati a Roma”.

Ma ha ragione anche quando “bacchetta” i siciliani: “Smettiamola – ha detto, intervistato dal Quotidiano di Sicilia a margine della conferenza stampa di fine anno a Palazzo d’Orléans – con il senso della rassegnazione, smettiamola con il considerare tutto immobile. Questa terra può e deve cambiare e noi abbiamo già avviato questo processo. Serve la complicità di tutti, serve un linguaggio improntato alla responsabilità e non alla violenza verbale. Serve una maggiore consapevolezza del ruolo di cittadino”.
Cambiare, giustissimo. Come? Si potrebbe cominciare col rompere le catene dell’assistenzialismo: la cultura dei sussidi ha prodotto solo schiavi.

Molti siciliani, incapaci di ribellarsi, hanno preferito la scorciatoia e scelto di accettare l’elemosina. Ma accontentarsi degli spiccioli non è stato un bene.
Dov’era la classe politica siciliana negli anni in cui si consumava l’abbandono della Sicilia?
Gli effetti della mancata volontà della politica siciliana di cambiare le cose sono oggi sotto gli occhi di tutti. Il disastro si è consumato ma dalle ceneri si può risorgere. Ma solo rimboccandosi le maniche, cambiando il nostro modo di pensare e risolvendo le nostre contraddizioni saremo in gradi di invertire la rotta.
Un anno fa Eurispes pubblicava il dato “scandaloso”: è di 840 miliardi il “furto” perpetrato dal Nord ai danni del Sud in diciassette lunghi anni.
Diciassette lunghissimi anni di mancati investimenti e di silenzi ingiustificati che hanno condannato la Sicilia e tutto Mezzogiorno al sottosviluppo.
Tacendo, anche noi siamo stati complici.

Navigator, addio. Anzi no

Anche i 409 navigator siciliani sono salvi. Per ora. Il loro contratto, come quello degli altri 2.000 navigator presenti in tutta Italia, è scaduto proprio qualche giorno fa, il 31 dicembre ma nel decreto Recovery è stata inserita la proroga al 30 aprile 2022 grazie al pressing di Partito democratico e Movimento Cinquestelle.
Cosa ne sarà di loro dopo quella data non è dato saperlo. “I navigator – aveva detto qualche tempo fa in un’intervista al Quotidiano di Sicilia Giuseppe Messina, segretario Ugl Sicilia – sono nati da una precisa scelta nazionale. Sono innestabili in questo processo di riforma ma non è possibile che vengano stabilizzati senza passare da un concorso”. Una voce fuori dal coro, quella di Messina, dal momento che la gran parte dei sindacati si erano invece trovati tutti d’accordo nel chiedere a gran voce la stabilizzazione di tutti i navigator nella pubblica amministrazione, in barba alla Costituzione.

Al momento l’unica cosa certa è che che resteranno in capo ad Anpal Servizi e non passeranno a carico delle Regione come inizialmente ipotizzato.
Sul fallimento della “mission” affidata ai navigator si è a lungo parlato: dovevano “accompagnare” i disoccupati (percettori del reddito di cittadinanza) in un percorso di reinserimento del mercato del lavoro. Così non è stato. Certo, non per una loro diretta responsabilità ma perché i navigator si sono ritrovati da un giorno all’altro parte di un sistema che già di per sé non funziona a causa di gravi carenze sotto il profilo dell’organizzazione, della dotazione informatica e delle infrastrutture digitali, come tra l’altro già certificato dalla Corte dei Conti nell’indagine condotta dalla Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato e pubblicata lo scorso 27 settembre.

di Michele Giuliano e Patrizia Penna