Editoriale Grimaldi

Chi non beve con me peste lo colga

Anatema pronunciato da Amedo Nazzari, Giannettino nel celebre film di Blasetti (1942), che assieme ad Osvaldo Valenti ed alla bellissima Clara Calamai interpretava il film – soggetto Sem Benelli – “La cena delle beffe” ambientato nella Firenze dei Medici. Anatema ripreso ora – parrebbe – da Michelle Obama, accorsa a capeggiare i Capuleti democratici nella lotta all’ultimo virus che si concluderà martedì 3 novembre, con le presidenziali Biden vs. Trump.

Lotta fino all’ultimo anticorpo policlonale dato a due vecchi (74 e 77), al “boss” in terapia compassionevole al Walter Red Hospital di Bethesda e allo sfidante in prevenzione (?) di mali peggiori, con statunitensi in preghiera-protestanti gli uni, cattolici gli altri- acché la più grande potenza del mondo sia preservata da mali peggiori di quelli temuti: sanitario, economico, sociale. Nulla di eguale dalla guerra di secessione!

Onde anatemi, insulti, offese per cui Salvini (ante litteram) e Conte (toutjour le meme) appaiono gentiluomini di antico stampo del bel Paese che tale è – oggi – solo per un accettabile formaggio. Per i democratici Trump è il male assoluto che se (Dio ne scampi!) fosse rieletto porterebbe il Paese a una sia pur smooth dittatura (sic). Per i repubblicani Biden è un indementito politicante fallito, vice di Obama solo per dare alla Clinton (poi battuta) la gloria di prima donna presidente. Giochi renziani in Italia: kindergarden.

Sondaggi (sinistra bravissima nel manipolarli) danno in testa Biden di quasi dieci punti con democratici felici perché significherebbe certa successione in caso “triste”, e comunque elezione tra quattro anni della candidata alla vice presidenza Kamala Harris, prima donna e nera, con attributi presidenziali, che porterebbe finalmente il partito fuori dalle sabbie mobili.

Repubblicani in apnea anche da virus (al punto che temono salti la seduta del Senato per la conferma della Barret a Giudice della Corte Suprema per quattro senatori beccati dal “virus cinese” e niente maggioranza per approvarla) perché con Trump non eletto perderebbero la maggioranza in ambedue le Camere (si rinnova un terzo del Senato e tutta la Camera dei Rappresentanti) che a conti fatti significherebbe stare fuori da Casa Bianca e Parlamento fino al 2028.

In queste condizioni la 59^ elezione della storia delle presidenziali, e ora delle Camere, è open! E lo è perché gli elettori che hanno già cominciato a votare nel “early voting” e per posta, votano per i loro rappresentanti al Capitol, ma per quanto riguarda il Presidente votano per i componenti il “Collegio Elettorale” composto da 538 “Grandi Elettori” (pari al numero dei senatori cento – e dei Rappresentanti 435 – più tre del Distretto di Columbia ove c’è la Capitale Washington) che nella loro riunione del 14 dicembre eleggono de iure, con una maggioranza non inferiore a 270 e senza vincolo di mandato, il 46° Presidente degli Stati Uniti che entra in carica, dopo il giuramento, il 20 gennaio del 2021. Campa cavallo!
Ma in quella parte di mondo è “Law”. Dal 1776.