Durante la pandemia abbiamo assistito ad una trasformazione della sanità pubblica siciliana, con le principali Asp della Regione, quelle di Palermo, Catania e Messina commissariate per fronteggiare l’emergenza. A qualcuno, la scelta del commissariamento è sembrata voler indicare una scarsa fiducia del vertice della sanità regionale nei confronti di chi istituzionalmente è deputato a guidare la macchina organizzativa delle aziende sanitarie, i direttori generali in carica, i primi forse a storcere il naso rispetto alle scelte operate dall’Assessore regionale alla Salute, Ruggero Razza.
I Commissari non hanno però sostituito i direttori generali, ma soltanto affiancati, anche se col rischio di una sovrapposizione di poteri e competenze. Ma a ben guardare, l’inderogabile urgenza avvertita dall’Assessorato di commissariare la sanità pubblica nelle tre macro-aziende sanitarie siciliane, trova il suo fondamento nella necessità di fronteggiare in maniera più snella e rapida possibile l’emergenza legata alla pandemia da Covid 19. Probabilmente, in questo modo (proviamo ad interpretare il Razza-pensiero) i direttori generali sono stati sollevati anche dal compito di amministrare la fase emergenziale, lasciandoli liberi di continuare ad ottemperare al proprio compito di gestione ordinaria della sanità pubblica, già non facile in tempo di pace, figuriamoci in tempi di pandemia.
Non sappiamo quali saranno alla fine i risultati di questa visione strategica adottata con tanta determinazione dall’assessore Razza, certo è che i risultati provvisori non depongono bene, soprattutto relativamente all’intento, se la nostra interpretazione è corretta, di salvaguardare la gestione ordinaria della sanità pubblica, garantendo i livelli essenziali di assistenza a tutti, non solo ai pazienti del Covid 19, ma anche ai pazienti che soffrono di tutte le altre patologie che, come abbiamo già avuto modo di dire e che vogliamo con forza ribadire, non sono andate in pensione in epoca di pandemia, ma che sono state però trascurate e messe da parte, con ritardi alcune volte assai gravi nell’assistenza e nella presa in carico di pazienti oncologici, cardiopatici, neurologici, pediatrici e di tutti gli altri. Le liste di attesa per gli esami diagnostici e per i ricoveri si sono allungate a dismisura e alcune prestazioni nel pubblico non vengono di fatto più evase a tutto beneficio del privato che, ovviamente, le ha accolte a braccia aperte.
Non bisogna tuttavia dare l’intera responsabilità di questa decrescita infelice della sanità pubblica siciliana ai direttori generali, dal momento che molte scelte sono state da questi subite attraverso input di programmazione strategica non sempre rivelatisi condivisibili ed efficaci. Scelte politiche e programmatiche a parte, non possiamo non tornare a ribadire anche oggi come la sanità non sia solo quella emergenziale legata alla lotta al Covid 19. La sanità pubblica è e resta quella delle quotidiane attività di prevenzione, di assistenza territoriale e ospedaliera, di diagnosi e cura, che deve farsi carico dell’intera platea di soggetti con i soliti variegati bisogni di salute.
I vertici delle aziende sanitarie, o almeno delle tre più grandi, si sono trovati nella favorevole condizione di essere liberi di concentrarsi sull’ordinaria amministrazione delle proprie strutture e ci saremmo aspettati un cambio di passo che però non è arrivato e abbiamo dovuto assistere al drastico calo dell’offerta sanitaria che già non brillava in precedenza.
L’appello già espresso da Cimo Sicilia nel recente passato e rilanciato oggi con ancora più forza è quello di consentire agli operatori sanitari delle strutture pubbliche siciliane di essere messi nelle migliori condizioni possibili per continuare ad assistere i propri pazienti, senza le chiusure di interi Reparti, senza essere distolti da un’assistenza Covid che, nella stragrande maggioranza dei casi ha aspetti di bassa o media intensità di cure, nei confronti della quale sono sufficienti quelle figure reclutate ad hoc per fronteggiare l’emergenza pandemica. I professionisti più esperti non possono continuare a svolgere compiti di base, mentre il loro posto non viene sostituito in maniera adeguata. La medicina si impara sui libri e all’Università, ma medico si diventa in Ospedale e non è un processo rapido e indolore. L’esperienza si acquisisce imparando dai più esperti e navigati colleghi che hanno il preciso compito di trasmettere il proprio bagaglio di conoscenze, i trucchi del mestiere, ai più giovani che non possono essere sbattuti in trincea senza che siano veramente stati formati e preparati alla guerra.
Si, la medicina negli ospedali è una vera e propria guerra, combattuta colpo su colpo contro un nemico che può essere ogni giorno diverso e si deve essere pronti a riconoscerlo, a smascherarlo, a sconfiggerlo. Si lotta a difesa e a tutela dei pazienti, di tutti i pazienti. Nessuno di questi per il Medico può essere dimenticato, lasciato indietro, abbandonato al proprio destino. E allora lottiamo tutti insieme contro questa maledetta pandemia, facciamo le umane e le divine cose, ma, ancora una volta, senza dimenticare gli altri.
Riccardo Spampinato
Segretario nazionale organizzativo Cimo