Cultura

Cinema… da casa con l’allenatore Ben Affleck

TORNARE A VINCERE
Regia di Gavin O’Connor. Con Ben Affleck (Jack Cunningham), Janina Gavankar (Angela).
Usa 2020, 108’.
Distribuzione: Warner Bros Italia (attualmente su diverse piattaforme video on demand)

Cos’altro è l’allenatore di una squadra sportiva se non il surrogato di un padre? L’associazione può essere immediata, e difatti la fortuna di questo piccolo sottogenere del cinema americano può riferirsi anche e soprattutto alla capacità di reinventare dinamiche familiari entro i limiti di uno spogliatoio. Nel caso di “Tornare a vincere”, però, è l’intera narrazione a ruotare attorno alla figura paterna, dentro e fuori gli spalti.

Dicendo ciò, non si vuole di certo riferire che il film riesca a proporre schemi innovativi, anzi abbraccia con orgoglio tutti i cliché del genere, a cominciare dal profilo del protagonista, loser amabile e autodistruttivo, preda dell’alcolismo, senza alcuna motivazione per cui riaffacciarsi alla vita.

Il regista Gavin O’Connor (suo “The Accountant” del 2016, sempre con Ben Affleck) scruta i suoi movimenti da vicino, spesso e volentieri con camera a spalla, e tra interni incrostati e lattine di birra non è quasi mai un bel vedere.

Quando l’opportunità arriva, perché in questo tipo di film lo sport gioca sempre un ruolo salvifico, sappiamo già che assisteremo ad alcuni passaggi obbligati della narrazione (la nottata a bere prima di accettare l’incarico, la presentazione in termini di azione dei componenti della squadra, le intemperanze tra i ragazzi e la loro schematizzazione in archetipi in pieno stile Libro Cuore) e che in alcuni casi lo stile visivo dovrà sottostare a degli obblighi ineludibili (può il canestro decisivo non essere raccontato con una lunga sequenza in ralenti?), ma qui è la prevedibilità che – come un canestro dopo l’altro, tutti uguali e diversi tra di loro – garantisce entusiasmo ed empatia.

I lunghi ed ellittici spezzoni di montaggio che accompagnano l’avvicendarsi delle gare, però, qui non imprimono un ritmo accelerato al film, e viene mantenuto anzi un passo piuttosto lento, con la macchina da presa saldamente incollata al protagonista e talvolta addirittura il respiro profondo di qualche paesaggio extraurbano. Un quadro ideale in cui far emergere a piccole dosi elementi del passato che ritraggono il personaggio prima come figlio deluso, poi come padre distrutto.

La sceneggiatura segue pedissequamente strutture “da manuale” e la rigidità e la perfezione di alcuni passaggi narrativi indeboliscono molto la vivacità dell’insieme, ma un finale equilibrato benché conciliante riesce a completare l’arco di trasformazione del protagonista senza assoggettarlo all’esperienza sportiva.

Voto: ☺☺1/2☻☻