Politica

Fava, “Malaffare, la classe politica sa ma vive in stato di felice narcosi”

PALERMO – Impegnato nelle primarie del centrosinistra, Claudio Fava la settimana scorsa ha annunciato le sue dimissioni dalla presidenza della commissione regionale Antimafia, non prima però di avere tracciato un bilancio del lavoro svolto in quattro anni. Fava ha detto di essere soddisfatto del lavoro prodotto dalla Commissione e che questa è stata la stagione migliore della sua carriera politica. Il Quotidiano di Sicilia lo ha intervistato per capire a che punto è la lotta per la legalità.

In occasione della missione in Sicilia della Commissione parlamentare antimafia, il presidente Morra in una intervista al nostro quotidiano ha detto una triste verità: “Segnaliamo gli impresentabili che poi vengono votati in tutta Italia”. Una verità che getta nello sconforto i cittadini onesti. L’impressione è che sulla lotta per la legalità ci sia ancora troppa ipocrisia e poca concretezza.
“I cosiddetti ‘impresentabili’ che poi vengono puntualmente candidati (e votati) sono solo una parte del problema. Forse la meno rilevante. Il punto centrale è la moratoria di fatto sulla questione morale. L’elettore ritiene che l’unica misura di giudizio civile e politico sia piuttosto da affidare alla giustizia ordinaria: là dove c’è condanna, pollice verso; altrimenti, nessun problema. È un vecchio errore, perché la questione morale non è questione giudiziaria: è il senso profondo di una nazione, il combinato dei suoi valori, il sentimento di un’onestà civile che non c’entra con le norme del codice. Esempio paradigmatico, la vicenda dell’Azienda Siciliana Trasporti, la più importante partecipata della Regione Siciliana. L’inchiesta della Procura di Palermo, che ha portato al rinvio a giudizio di molti suoi amministratori, ha messo in evidenza un consolidato sistema clientelare sulle assunzioni e non solo. Quel sistema non è reato, per altre ipotesi penali gli amministratori sono stati rinviati a giudizio. Ma resta come un macigno la ricostruzione che l’ordinanza di rinvio a giudizio propone su un’azienda trasformata in fabbrica del consenso. Quella ricostruzione non è destinata all’aula di un tribunale ma alla politica, alla sua capacità di intervenire, di rimediare, di raddrizzare, di bonificare l’azienda da quelle vecchie pratiche. Accadrà?”

L’inchiesta sull’Ast di cui lei ha parlato nella sua relazione la dice lunga sul fatto che si tratti solo della punta dell’iceberg. La politica s è impegnata troppo poco per tirare fuori il marcio?
“A proposito di Ast. La politica (non tutta, non si può generalizzare) vive in uno stato di felice narcosi. Ignava e ignara di ciò che accade. Anche quando l’evidenza dei fatti è macroscopica. La prima delle nostre dodici inchieste è stata sul cosiddetto “sistema Montante”. Ne è emerso lo spaccato di una costituzione materiale, oscura ai più, che ha accompagnato gli affari e le scorribande amministrative di un governo parallelo. Una specie di P2 nata all’ombra di un’antimafia molto declamata, falsa e stonata come una campana ma capace per dieci anni di condizionare i destini della Repubblica, le carriere delle più alte cariche istituzionali, le scelte politiche e legislative. Il punto è che di questo governo parallelo erano tutti al corrente. Tutti. Ma nessuno pensava di aver ruolo, voce o coraggio sufficiente per denunciarne le malefatte. Un po’ com’è accaduto con l’Ast e le sue pratiche clientelari: ammesse perfino dal direttore generale, in un’intervista di qualche anno fa in cui candidamente riconosceva che una decina di autisti erano del suo paese ed erano stati assunti grazie ai suoi buoni uffici. Reazione del governo regionale (la Regione è socio unico al 100%): zero! Nella geografia del sottogoverno, l’Ast appartiene ad alleati politici che non si possono contraddire”.