Ritorniamo sulla questione di fondo che tiene il nostro Paese indietro rispetto a quelli più avanzati sia in Europa che nel mondo.
Vi sono almeno tre cause di questo stato dei fatti. La prima riguarda l’arretratezza infrastrutturale, burocratica e, per conseguenza, socio-economica del Mezzogiorno d’Italia.
La seconda riguarda l’inefficienza generalizzata delle burocrazie italiane a livello statale, regionale e locale.
La terza causa riguarda il livello culturale della nostra popolazione, che via via si abbassa in proporzione all’estensione dell’informazione digitale, sempre più falsa e fuorviante.
Si tratta di cause strutturali che dovrebbero essere affrontate da governi pluriennali, capaci di attuare riforme adeguate negli anni, con costanza e determinazione.
Tutto ciò sarebbe fattibile solo se vi fosse una classe politica del miglior livello possibile, eletta fra i migliori cittadini e non fra disoccupati, sfaticati e ignoranti, come accade ora.
La Scuola ha un ruolo fondamentale per la crescita della Popolazione. Quella nostra non sembra adeguata a questa missione, perché il livello medio degli insegnanti risulta insufficiente per almeno due cause: la prima riguarda la mancata selezione dei concorsi pubblici, per due terzi degli ottocentomila insegnanti; la seconda si riferisce agli insegnanti che non hanno avuto un’adeguata formazione didattica per procedere all’insegnamento dei giovani.
Conoscere una materia non significa saperla trasferire ad altri. Insegnanti si diventa con un addestramento che tenga conto della psicologia degli allievi, dell’ambiente; che sia capace di instillare nella mente dei più giovani il concetto di Comunità e quali debbano essere le regole che la presiedono.
Sentiamo da tante famiglie e da tanti insegnanti che il rapporto docente-discente è quasi sempre basato sull’oggetto della materia di insegnamento, mentre a essa dovrebbe essere affiancata una formazione etica del cittadino, che si fondi sulle regole del rispetto altrui e della partecipazione al funzionamento della società.
In questo quadro socio-economico, vi è il settore privato che tira molto bene, che ha successo nell’esportazione e che fa approdare in tutto il mondo le capacità imprenditoriali di molti italiani.
Per esempio, il lusso ha trovato uno sbocco formidabile in Cina, ove sono state formate numerose partnership con imprenditori locali. Le vendite in quel Paese non solo hanno salvato i bilanci delle imprese italiane del settore nel 2020 e 2021, ma, addirittura hanno portato incrementi di fatturato e utili.
A fronte di questo settore, cui ha dato un altro grosso contributo l’esportazione, vi è tutto il comparto pubblico, deficitario, asfittico e incapace di spingere la ruota socio-economica. Invece dovrebbe essere un locomotore capace di trainare il treno-Italia.
È pur vero, però, che in questo quadro non rientrano alcune partecipate pubbliche che sono adeguatamente funzionanti e producono redditi e imposte.
Ci riferiamo a Cassa depositi e prestiti, Enel, Eni, Fincantieri e altre. Mentre non sono sullo stesso livello Anas, Ita (ex Alitalia) e l’ex Ilva (Acciaierie italiane).
Il settore bancario, con le nuove concentrazioni in esecuzione delle norme europee, si modernizza con una certa rapidità. La totale digitalizzazione dei servizi ha portato a un miglioramento dei rapporti con la clientela, soprattutto quella retail, anche se ha creato l’espulsione di un numero non indifferente di dipendenti, espulsione morbida perché temperata dai pensionamenti e dalle facilitazioni in uscita.
Dove vi è una carenza insopportabile è nella produzione dei servizi pubblici in tutte le varie branche, rappresentate dai ministeri del Governo e dagli assessorati di Regioni e Comuni.
La macchina burocratica è asfittica, lenta e insufficiente, perché in essa mancano i tre requisiti fondamentali: merito, responsabilità e produttività.
Occorre rimediare presto a queste carenze, con riforme lungimiranti ed efficaci.