Siccità, ondate di calore, alluvioni, uragani al centro del Mediterraneo. Gli effetti del cambiamento climatico hanno un impatto sempre più importante e sempre più frequente sulle vite dei cittadini italiani. Secondo l’ultimo rapporto di Legambiente, il 2022 è stato l’anno nero degli eventi estremi: sono stati registrati 310 fenomeni meteorologici estremi che hanno causato 29 morti. Siccità, grandinate, trombe d’aria e alluvioni gli eventi con l’incremento maggiore. E le regioni più colpite sono state Lombardia, Lazio e Sicilia. Una situazione drammatica dovuta all’incredibile aumento delle emissioni di CO2 e degli altri gas climalteranti in atmosfera che è in essere dall’inizio del secolo scorso.
Una situazione che rischia di aggravarsi giorno dopo giorno. Nonostante gli oltre quarant’anni di ricerca e studio sui cambiamenti climatici raccolti da un’istituzione europea appositamente costituita come l’Ipcc, infatti, le emissioni di CO2 non hanno fatto altro che aumentare. Era il 1990 quando fu pubblicata la prima raccolta di studi sul climate change e la concentrazione di CO2 nell’atmosfera in quel periodo era di 354 ppm. L’ultimo rapporto dell’Istituto europeo è stato pubblicato alcuni mesi fa, quando la concentrazione di CO2 ha toccato quota 420 ppm.
Un aumento costante che in quarant’anni ha avuto l’effetto opposto rispetto a quello voluto dalla maggior parte del mondo accademico: la temperatura media globale è aumentata di 1,1 gradi rispetto ai livelli preindustriali e rischia di continuare ad aumentare. Nel 2018, l’Ipcc ha evidenziato la portata senza precedenti della sfida necessaria a contenere il riscaldamento entro 1,5°C. “Cinque anni dopo – si legge in una nota – questa sfida è diventata ancora più grande a causa del continuo aumento delle emissioni di gas serra. Il ritmo e la portata di ciò che è stato fatto finora, e i piani attuali, sono insufficienti per affrontare il cambiamento climatico”.
Secondo il rapporto, ogni aumento del riscaldamento comporta una rapida escalation: ondate di calore più intense, precipitazioni più violente e altri fenomeni meteorologici estremi aumentano ulteriormente i rischi per la salute umana e gli ecosistemi. “In ogni regione – scrivono gli scienziati dell’Ipcc – le persone muoiono a causa di estremi di calore. L’insicurezza alimentare e idrica legata al clima è destinata ad aumentare con l’aumento del riscaldamento”. Il rapporto fornisce un focus deciso sul tema delle perdite e dei danni che stiamo già sperimentando e che continueranno in futuro, colpendo in modo particolare le persone e gli ecosistemi più vulnerabili. “La giustizia climatica è fondamentale perché coloro che hanno contribuito meno al cambiamento climatico sono colpiti in modo sproporzionato”, ha dichiarato Aditi Mukherji, uno dei 93 autori di questo Rapporto di sintesi, il capitolo conclusivo della sesta valutazione del Panel. “Quasi la metà della popolazione mondiale vive in regioni altamente vulnerabili ai cambiamenti climatici. Nell’ultimo decennio, i decessi per inondazioni, siccità e tempeste sono stati 15 volte superiori nelle regioni altamente vulnerabili”, ha aggiunto.
Gli effetti del cambiamento climatico finemente descritti dal rapporto dell’Ipcc, in Italia sono amplificati. Questo perché il Bel paese si trova al centro di un vero e proprio hotspot del climate change. “Nel bacino del Mediterraneo – dichiara al QdS Leonardo Noto, coordinatore del master Cambiamenti climatici e sviluppo sostenibile dell’Università di Palermo – è previsto che gli effetti del cambiamento climatico saranno più intensi rispetto ad altre parti dell’Europa”. E la Sicilia, in particolare, nel Mediterraneo è stata una delle regioni più martoriate negli ultimi anni dagli eventi estremi. “I cambiamenti climatici in Sicilia – spiega Noto – sono legati ad una intensificazione degli eventi estremi come le precipitazioni sempre più intense sia in frequenza che in intensità. Tra questi eventi estremi si segnala un aumento della frequenza dei Medicane, gli uragani mediterranei che fino a qualche mese fa hanno colpito la zona della Sicilia sudorientale. Sono fenomeni sempre esistiti, ma ormai è evidente che la frequenza di questi eventi rari stia incrementando”. L’altra faccia della medaglia è rappresentata dalla siccità.
“Noi siciliani siamo storicamente abituati a questo fenomeno – dice Noto – tanto che ci giocava anche Benigni in Jonnhy Stecchino. Ma anche la siccità si sta intensificando in tutta l’area mediterranea, tanto che quest’anno vediamo segnali importantissimi di tipo siccitoso soprattutto nelle regioni del nord”. Tutte queste problematiche hanno un forte impatto sulla nostra società. “Il deficit di precipitazioni – spiega il professore palermitano – ha provocato un accumulo delle risorse idriche molto limitato rispetto agli scorsi anni. La diga di Pozzillo, la più importante della Sicilia sudorientale, è quasi a secco, per cui si prevede una stagione irrigua molto delicata sulla piana di Catania. Nel periodo estivo avremo una maggiore richiesta di acqua delle colture da un lato e una minore disponibilità dovuta al deficit di precipitazione dall’altro. Questo lo pagheranno gli agricoltori e si potrebbe tradurre anche un aumento dei prezzi”.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Ipcc questo decennio sarà quello decisivo per decidere le sorti del pianeta. Sarà quello in cui “un’azione accelerata di adattamento ai cambiamenti climatici è essenziale” per colmare il divario tra l’adattamento esistente e quello necessario. Nel frattempo, per contenere il riscaldamento entro 1,5°C al di sopra dei livelli preindustriali, “è necessario ridurre le emissioni di gas serra in tutti i settori in modo profondo, rapido e significativo”. Le emissioni dovrebbero già diminuire e dovranno essere ridotte di quasi la metà entro il 2030. Il mondo accademico ha quindi tracciato la via che i Governi di tutto il mondo dovranno seguire: adattarsi e mitigare.
“Una delle misure di adattamento più urgenti in Sicilia – spiega Noto – è l’aumento della disponibilità idrica con un efficientamento dei serbatoi e degli invasi artificiali. Molti hanno più di cinquant’anni e grossi volumi di interrimento dovuti all’erosione idrica: un invaso progettato per 100 milioni di metri cubi, nel momento in cui ha al suo interno 20 milioni di metri cubi di fango, ha una disponibilità utile di 80 milioni di metri cubi”. Per adattarsi alla galoppante siccità siciliana (una regione in cui, secondo il rapporto dell’associazione italiana dei consorzi di bacino, il 70% del territorio è a rischio desertificazione), bisognerebbe intervenire anche sulle reti colabrodo che riescono a portare nelle case dei cittadini solo il 50% dell’acqua che trasportano.
“Non serve a nulla – aggiunge Noto – accumulare acqua negli invasi e poi perderla nella strada per il destinatario finale. La Sicilia è una delle regioni che ha il più alto indice di perdite sia sulle reti consortili che su quelle acquedottistiche. Credo che alcuni interventi sul Pnrr siano stati previsti e ci consentiranno di risolvere questo annoso problema”. Ma l’adattamento passa anche per il risparmio idrico in agricoltura. “Dobbiamo considerare – continua – l’ipotesi che alcune colture particolarmente idroesigenti non si potranno più coltivare in maniera estensiva su tutta la Sicilia. E di fatto già si vedono colture che prima erano relegate solo alle fasce tropicali come il caffè, il mango o l’avocado”. Mentre le istituzioni locali e regionali possono fare tanto per favorire un adattamento celere, per incidere in modo decisivo sulle emissioni la loro azione da sola non basta.
“La mitigazione – spiega – non possiamo farla solo noi, è necessario farla a scala globale con le varie Cop. Oltre a questo, però, ci sono una serie di azioni su scala nazionale o regionale. In dipartimento, per esempio, stiamo lavorando ad un progetto che ha l’obiettivo di migliorare le capacità naturali del suolo di catturare la CO2 tramite l’utilizzo di un minerale (Olivina) che dovrebbe essere sparso sui terreni agricoli. Ci sono anche ricercatori che lavorano sulla capacità degli oceani di assorbire la CO2”.
Certamente la Sicilia può dare un contributo importante per lo sviluppo sostenibile e le energie rinnovabili invece. Anche se, a volte, scontri e prese di posizione da parte dei politici frenano la spinta imprenditoriale siciliana verso questo settore. È il caso delle dichiarazioni rilasciate del presidente della regione Renato Schifani a inizio mese in cui manifesta la volontà di voler sospendere il rilascio delle autorizzazioni ambientali per gli impianti fotovoltaici. Ma come si sposa questa scelta con gli allarmi che il mondo accademico lancia da oltre quarant’anni? “penalizzare una regione che ha le capacità per dare un piccolo contributo sul cambiamento globale e per dare una spinta importante al mondo delle rinnovabili e a tutte le persone che ci lavorano è una occasione persa. È chiaro che bisogna guardare bene gli impianti ed evitare le speculazioni, cosa che ogni tanto alle nostre latitudini sono abbastanza comuni, ma azzoppare così le energie rinnovabili non mi sembra una mossa da portare avanti ancora dal punto di vista politico”.
Piero Lionello è uno degli autori che ha collaborato alla stesura dell’ultimo report dell’Ipcc. Professore ordinario di fisica dell’atmosfera e oceanografia presso l’Università del Salento, si è occupato dei capitoli sull’Europa e sul Mediterraneo del sesto rapporto di valutazione sui cambiamenti climatici.
Professore, si è occupato, come molti altri accademici, di redigere l’ultimo rapporto dell’Ipcc che pur in assenza di nuovi dati mette il mondo intero di fronte all’urgenza di intervenire per arrestare il cambiamento climatico. Quali sono i punti salienti del rapporto?
“In termini estremamente sintetici i 3 rapporti (il cui totale oltrepassa le diecimila pagine) presentano gli impatti che i cambiamenti climatici indotti dall’uso dei combustibili fossili hanno prodotto su ecosistemi naturali e società umane, che, in assenza di adeguate strategie di mitigazione, si amplificheranno enormemente. Il tempo a disposizione per riuscire a contenere il cambiamento globale entro i limiti stabiliti dell’accordo di Parigi e garantire un futuro sostenibile è ormai limitato. Ogni decimo di grado di aumento del riscaldamento globale che riusciamo a evitare è importante. Il rapporto propone azioni di adattamento, con cui fronteggiare i rischi dei cambiamenti che non riusciamo a evitare, e di mitigazione, per mantenere il cambiamento entro limiti che ne consentano la gestione”.
L’area del mediterraneo rappresenta un hotspot dei cambiamenti climatici. Quali sono, nell’attuale situazione, i rischi concreti per le popolazioni che abitano quest’area?
“I rischi sono molteplici: insufficienti risorse idriche per il settore agricolo, transizione verso climi aridi e caldi con perdita di ecosistemi sia terrestri che marini, abbandono di insediamenti e attività costiere per l’erosione delle coste, riduzione delle attività economiche legate al settore turistico, disagi e vittime causati dalle ondate di calore”.
Il rapporto vuole essere soprattutto una linea guida per i governi. Dopo la pubblicazione, crede che i governi abbiano attuato politiche per il clima in linea con quanto da voi scritto? E il governo italiano?
“In Italia e in Europa è in atto una riduzione delle emissioni di gas serra, che tuttavia non è ancora sufficiente per il contenimento del cambiamento in atto. I decisori politici si trovano ad affrontare molteplici problemi di cui viene spesso giustamente percepita l’urgenza. Se il cambiamento climatico in atto non viene percepito tra i problemi urgenti da affrontare, sarà sempre più difficile evitarne le conseguenze negative. Molte azioni di adattamento richiedono molte decadi per essere pianificate e implementate, e il loro successo futuro dipende da quello che politici e cittadini decideranno nei prossimi anni”.
Da un lato siccità e ondate di calore, dall’altro eventi atmosferici estremi come alluvioni e uragani. Gli effetti del cambiamento climatico sulla vita di tutti i giorni degli italiani sono evidenti. Quali saranno gli scenari per l’Italia se le immissioni di gas serra in atmosfera non diminuiranno nel breve periodo?
“I cambiamenti che osserviamo sono la conseguenza di un aumento della temperatura globale di circa 1.1.C rispetto al periodo preindustriale. Scenari di sviluppo socioeconomico che continuano a basarsi sull’utilizzo di combustibili fossili possono portare a un aumento quattro volte più grande. In questo scenario estremo a fine secolo sono attesi in Italia un aumento delle temperature medie estive oltre i 6°C, una diminuzione del 20% delle precipitazioni, un aumento di oltre 1m del livello medio del mare”.
Proprio per l’evidenza delle conseguenze del cambiamento climatico, sempre più attivisti si fanno promotori di scioperi e azioni per alzare l’attenzione sul tema. Spesso la risposta degli stati nei loro confronti è stata la repressione (come l’arresto di Greta Thunberg in Germania o l’intervento delle forze dell’ordine italiane contro gli attivisti di Ultima generazione). Crede che metodi e ragionamenti portati avanti da una sempre più grande parte della società civile siano utili ad un cambiamento delle politiche sul clima?
“La consapevolezza in cittadini e politici dei rischi derivanti dal riscaldamento globale è un elemento fondamentale perchè vengano adottate strategie di adattamento e mitigazione. Il contenimento dei problemi ambientali e climatici si basa su uno sviluppo equo e sostenibile da adottare con il sostegno dei cittadini e delle comunità regionali e locali. Le azioni efficaci sono basate sulle migliori conoscenze disponibili e la collaborazione fra parti sociali e settori produttivi, e anche a livello nazionale e internazionale”.