Editoriale

Codice appalti, il trucco dei prezzi

Il Consiglio dei ministri ha approvato in via definitiva il decreto legislativo n. 36/2023, avente per oggetto il Codice degli appalti.

Ha così recepito una norma europea semplificando le procedure di assegnazione delle gare. Infatti, dal prossimo primo luglio, tutti gli appalti fino ai cinque milioni di euro possono essere assegnati senza gare.
A prima vista questo sembra aumentare fortemente la discrezionalità degli enti appaltanti perché potrebbero favorire gli amici e gli amici degli amici. Vero, ciò è possibile, ma vi sono delle ragioni che hanno spinto verso questa sorta di semplificazione.

Va ricordato infatti che l’espletamento di una gara per l’aggiudicazione di un’opera ha sempre preso tempi lunghi, lunghissimi, rallentando tutto l’iter procedurale. Cancellando le gare, ripetiamo, fino al limite di cinque milioni di euro, si è di fatto eliminato tutto il tempo che prima occorreva per l’espletamento delle stesse.

Contro questa semplificazione sono sorte le proteste più varie e più feroci. Così, ha osservato chi ha protestato, si favoriscono le imprese amiche piuttosto di altre che avevano migliori qualità per eseguire le stesse opere.
Vi è inoltre la questione dei prezzi e cioè che gli appalti potrebbero essere assegnati non a chi fa i prezzi più bassi, ma a chi garantisce migliore qualità delle esecuzioni.

In ogni caso, vi sono parametri europei relativi a qualità e prezzi che potrebbero essere presi come modelli cui uniformare gli stessi delle opere in appalto, ripetiamo fino a cinque milioni, senza gare. I prezzi medi europei sono un giusto punto di riferimento che non sempre viene preso per uniformarvi o avvicinarvi qualità e prezzi delle opere italiane.

Il nostro Paese ha bisogno di infrastrutture di ogni tipo, di ristrutturazioni di ogni tipo, di aggiornamenti e impianti per metterle in sicurezza e di adeguamento di ogni altra forma necessaria ad adattare le strutture ai parametri europei.
Quindi c’è molto da fare e soprattutto da far bene, cioè con la necessaria qualità che viene spesso trascurata e non accertata da chi fa poi i verbali di consegna delle opere.
Tutti gli appalti superiori a cinque milioni continueranno a essere oggetto di apposite gare. Chi le mette in atto? Le cosiddette stazioni appaltanti, che sono decine di migliaia, con un frazionamento enorme che alimenta i tempi in modo sproporzionato.

Nel Codice degli appalti in esame c’è una sorta di semplificazione con la riduzione delle stazioni appaltanti, ma probabilmente essa non è sufficiente, per cui i tempi continueranno a rimanere più lunghi del dovuto.
Vi è da aggiungere che la lotta contro gli sprechi e contro le lungaggini non sembra sia stata affrontata in maniera adeguata dal Codice perché manca il nervo dello stesso e cioé le sanzioni da applicare a chi, per qualunque motivo, deborda dal cronoprogramma.
In altri termini, non è prevista, se non in maniera del tutto formale, una sanzione per tutti coloro che travalicano le scadenze adducendo scuse di ogni genere.

In ogni caso, la legge entrata in vigore apporta una certa semplificazione; bisognerà vedere come gli attuatori agiranno, se in uno spirito costruttivo e cioè nella direzione di tagliare i tempi morti, ovvero col solito criterio burocratico di osservanza formale dei tempi e dei modi.

Un esempio virtuoso di cronoprogramma rigoroso è stato quello che ha consentito di ricostruire il ponte Morandi di Genova in soli due anni. Sembra che l’attuale ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, intenda attuare lo stesso metodo per la costruzione del Ponte sullo Stretto, le cui norme sembrano efficaci leggendo il relativo decreto legge n. 35/2023, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale di venerdí 31 marzo.
Ricordiamo ai disattenti che la legge n. 1158 del 1971 (Governo Colombo) ebbe per oggetto il progetto di costruzione del Ponte.
Chissà che a distanza di ben sessantadue anni sia arrivata la volta buona perché si metta la prima pietra, in modo che verso il 2030, chi ci sarà, potrà correre sopra il Ponte in treno o in auto.