Nel 2006 in Sicilia le aziende attive solo commercio online erano appena 146 in tutta l’Isola. Nel 2022 sono diventate 2.264. In mezzo c’è stata la pandemia, certo, che ha cambiato tante abitudini dei consumatori ma anche l’avvio della legge Bersani (era il 2006) che recepiva le indicazioni della Unione europea sulle liberalizzazioni. In Italia in quel periodo le aziende che trattano solo Internet sono passate da 2.765 a 38.867 (14 volte in più dal primo rilevamento), mentre il fatturato è passato da 3,3 miliardi a 75,9 miliardi arrivando a 23 volte il dato iniziale. Sono dati del Ministero delle imprese che sono stati elaborati da Confimprese Italia che ha tracciato un quadro del settore. In Sicilia il fatturato delle aziende siciliane di commercio online o che ricorrono all’online equivale al 2,2% del dato nazionale (stima Confimprese Sicilia) ovvero poco più di 1,5 miliardi. E i primi dati disponibili che riguardano l’anno che si è appena concluso parlano di un aumento del 13%.
Tutto bene? Non sembra, ad ascoltare i responsabili delle associazioni che chiedono che questa crescita sia governata e il settore regolamentato. In Sicilia, ad esempio, nota l’associazione “è molto diffuso il fenomeno, completamente abusivo, delle dirette sui social, Facebook in testa”. “Un fenomeno che ha raggiunto numeri oramai insostenibili, spesso questo tipo di attività non rappresenta solo una attività di necessità, ma è diventata anche un hobby ed un secondo lavoro remunerativo. Eppure, è fatto alla luce del sole”, continuano i responsabili. Ma la crescita del settore, attacca ancora il vicepresidente vicario di Confimprese Italia, il palermitano Giovanni Felice “avviene in larga parte a danno del commercio in sede fissa che vede una continua decrescita sia in termini di numero di imprese, di occupati e di fatturato. Nell’ambito del commercio fisico – continua Giovanni Felice – la crisi colpisce in maniera sempre più preoccupante le microimprese commerciali ed artigianali con effetti collaterali importanti poiché il numero di aziende commerciali che annualmente chiudono sta mettendo a rischio la coesione sociale del Paese per non parlare degli aspetti non meno gravi quali la diminuita sicurezza causata dalla desertificazione commerciale”.
Il presidente di Confimprese Italia Guido D’Amico insiste: “Questa transizione epocale dal commercio fisico al commercio virtuale che causa sconvolgimenti nei rapporti sociali, economici e culturali del Paese, è lasciata in balia delle regole del mercato mentre invece dovrebbe essere guidata dalla politica”. “Nessuno immagina di fermare il tempo e la tecnologia – continua Guido D’Amico – che sarà sempre più online, ma occorre rideterminare le regole del confronto tra commercio online e commercio offline per liberare da tanti cappi burocratici, da costi aggiuntivi il commercio tradizionale al fine di consentire una competizione commerciale ad armi pari”.
L’associazione ha preparato un pacchetto di proposte tra le quali rientrano anche sgravi fiscali che equiparino le microimprese ai trattamenti previsti per le aziende che operano all’interno delle Zone Economiche Speciali, destinatarie di sgravi fiscali ed elevare, per commercio ed artigianato, il limite del regime forfettario a 200.000 euro.
Esistono anche casi virtuosi però e di opportunità che sono nate grazie all’online. E’ il caso delle 1300 aziende dell’Isola censite da Amazon che hanno deciso di affidarsi al colosso del commercio on line per vendere i loro prodotti all’estero. Queste hanno fatturano nello scorso anno circa 30 milioni di euro, in maggioranza all’estero ovvero in paesi che da soli avrebbero difficilmente raggiunto.